Il Principe Stanislas Klossowski, il Castello di Montecalvello “una dimora filosofale”

Francesca Pontani

«Ho passato una vita intera in questo mondo, dentro un Quattrocento molto misterioso e inesplicabile. Decorazioni bellissime che sembrano solo elementi decorativi ma di fatto sono esoterici. Cose straordinarie che rendono queste stanze di Montecalvello quello che il grande Fulcanelli chiama “una dimora filosofale”. Qui ogni dettaglio ha un significato profondo». Con queste parole il Principe Stanislas Klossowski, introduceva l’unicità del Castello di Montecalvello al Convegno del 23 settembre a Soriano nel Cimino: Principe Stanislas Klossowski, Conte de Rola, Barone de Watteville, figlio del celebre pittore Balthus.

Il progetto alchemico è la salvezza sia dell’uomo che della natura e il suo stesso processo è una “ricostruzione microcosmica della creazione” (Stanislas Klossowski, Conte de Rola, Barone de Watteville). E’ questa l‘atmosfera dentro la quale nasce questa intervista: arte, filosofia, linguaggio, colori, parole che intrecciate hanno reso il castello di Montecalvello nella Tuscia di Viterbo un luogo unico, un libro aperto da vedere e studiare.

Secondo l’alchimia, nella sua forma più semplice, la parte contiene il tutto. Da ciò consegue che un atto compiuto da parte di un organismo produrrà effetti sul tutto. L’uomo è parte del cosmo: un’operazione compiuta su di esso o nella sua interiorità, spiritualità, avrà pertanto effetti su tutto l’universo intero. Macrocosmo e microcosmo intimamente legati.

 L’alchimia riconosce una rigenerazione del mondo e la considera un processo continuo “perché nulla che è stato creato è in riposo ma, ogni giorno, è sottoposto ad una crescita da parte della Natura, fino a diventare ciò che è stato creato e disposto per essere il tesoro di tutta l’umanità”…

Ringrazio di cuore il Principe Stanislas Klossowski, Conte de Rola, Barone de Watteville per la gentilissima disponibilità e la Sua attenta accoglienza.Per me è stato un onore conoscerlo e poter parlare con lui di questi argomenti.

 Che cos’è l’alchimia? Qual è il suo scopo?

Lo scopo è un cambiamento totale, una trasmutazione dell’essere umano in essenzialità divina. Si tratta, su tutti i livelli, di un progresso basato sul fatto che, secondo la filosofia ermetica, la Natura prepara le cose alla perfezione, però con degli impedimenti, che vanno superati per raggiungere l’Essenza. E uno degli strumenti per superare questi “impedimenti” è l’arte.

 Secondo Lei la Tuscia la possiamo considerare una sorta di “alchimia”? la Tuscia può essere un “qualcosa” che riflette una natura perfetta, quella perfezione che può aiutarci in questo percorso che Lei dice?

Oggigiorno si parla di alchimia troppo spesso e in maniera spesso errata, distorcendo il suo vero significato. Sono delle cose molto difficili da far comprendere, oggi c’è la tendenza a mettere tutto insieme, come un minestrone dove però viene perso il senso profondo e originario delle cose.

 Come nasce questo suo interesse per l’alchimia, per l’esoterismo?

Da bambino. Sapevo intuitivamente alcune cose senza che nessuno me le avesse mai dette, ed ho sempre avuto questo interesse. Poi da adulto ho iniziato ad approfondire, studiare, ricercare.

Quindi non è stato Montecalvello la scintilla che l’ha portata ad entrare in questo mondo di studi filosofico-esoterici.

Assolutamente no. Avevo questo interesse e quando sono tornato dall’India avevo voglia di fare un libro su un manoscritto molto interessante, uno dei più bei manoscritti dipinti di alchimia che ci sono, si trova a Londra, è del 1582: lo “Splendor solis”. Era il 1971, andai al British Musem presso il quale c’era la British Library. Questo fu l’inizio ufficiale della mia attività di studioso e ricercatore: da questo momento iniziai a girare tutta Europa per capire e indagare l’espressione grafica di questa arte segreta, l’espressione grafica di queste cose. E’ così che nacque il libro “Alchemy the Secret Art” per la collezione “Art and Imagination”.

Nel frattempo mio padre aveva terminato il restauro di Montecalvello (ci ha messo anni perché questo posto era molto malridotto quando l’ha comprato quasi 50 anni fa!) e un giorno mi disse “ma tu dovresti venire ad esaminare queste pitture …”.

Quindi è partita proprio da suo padre questa idea che probabilmente i dipinti del castello di Montecalvello potessero avere un significato particolare …

Lui ha subito notato e intuito che c’era qualcosa di molto interessante qui, e mi ha semplicemente detto “tu dovresti studiarli”. Ed è da allora che ho iniziato ad esaminare e analizzare il ciclo delle pitture del Quattrocento qui nel castello. E continuo ancora oggi, ogni volta si scoprono cose nuove.

Lei come ha fatto a capire che questo ciclo pittorico “nascondeva” questi elementi e significati alchemici ed esoterici?

Questa è un’abitudine del linguaggio. Quando uno impara una lingua è capace di vederla subito, a colpo d’occhio. La cosa diventa molto chiara con un solo sguardo. Generalmente la gente segue un rapporto inverso: si interessa alla storia delle cose e poi eventualmente al senso/significato delle cose. Però la storia non insegna il senso delle cose, qui siamo in una situazione radicalmente diversa: c’è la possibilità di leggere questo linguaggio. L’interpretazione rinascimentale dei geroglifici egiziani ha introdotto la radice diretta di questo linguaggio. E’ da lì che bisogna partire per capire questa forma di comunicazione, attraverso le immagini.

Noi infatti consideriamo i geroglifici semplicemente come delle lettere ma in realtà sono anche altro. Nel senso che noi egittologi sappiamo che in antico Egitto la ”parola” si pensava che dava vita alle forme viventi, pronunciando una parola a voce alta. Per es. nella piramide di Unas il geroglifico della ”f” che era la vipera cornuta viene raffigurato con un coltello infisso al centro del suo corpo: in modo tale da rendere innocuo il rettile al defunto faraone lì sepolto. Proprio perché gli elementi delle parole creavano una realtà concreta. Questo legame Lei lo ha trovato anche qui? nel ciclo pittorico di Montecalvello c’è questa visione?

Sì questa visione deriva particolarmente dalla scoperta del manoscritto greco “Hieroglyphica” di Horapollo, scoperto nel 1419 sull’isola di Andros e arrivato a Firenze nel 1422 alla corte Dei Medici, facendo grande scalpore. Dunque c’è un linguaggio per emblemi, come in una sorta di rebus, un modo di vedere le cose, che esisteva già nel Medioevo, ma che è stato rafforzato da queste scoperte nel Rinascimento.

Ritornando a Montecalvello: c’è un motivo specifico che portò suo padre ad acquistare il castello e a vivere qui una parte della sua vita? aveva intuito che c’era qualcosa di speciale?

No, mio padre era giunto a Villa Medici, e mai avrebbe pensato di rimanervi per 16 anni. Nessuno nella storia dell’Accademia di Francia è rimasto 16 anni.

Mio padre pensava di ritirarsi in Italia dopo la fine del suo mandato e a questo scopo cercava un posto molto grande da restaurare, ha cercato attraverso tutta Italia. Ha visionato almeno 60 castelli. Poi un giorno Giovanni del Drago (suo amico) gli parla di questo posto. Ma all’epoca i proprietari non avevano intenzione di vendere, quindi le trattative andarono avanti molto a lungo. Io mi ricordo che quando sono venuto qua la prima volta ero disperato, perché questo posto era molto malridotto e fatiscente. I lavori di ripristino furono molti e molto complessi: gli affreschi sono stati puliti con la squadra che aveva sistemato Villa Medici. E molto interessante è notare la tecnica usata sui muri: è una tecnica che mio padre ha inventato a Villa Medici e le persone vengono qui per vederla e studiarla per riprodurla in altri contesti. Non è una tecnica a spugna ma è un processo molto complesso e intenso. Non è casuale per niente.

Come viene fatto?

E’ una ricerca su diversi livelli, si ritrovano toni antichi, si dipinge, poi si antichizza, per dare alla fine un effetto marmo. E questo effetto marmo non stanca mai alla vista, anche su pareti enormi alte e larghe decine di metri. Il tono di colore cambia in ogni stanza in relazione con il colore degli affreschi.

Secondo Lei questa visione esoterica, alchemica del ciclo di affreschi di Montecalvello potrebbe aver influito nella produzione pittorica di suo padre?

No. Però quando mio padre ha dipinto il quadro “Paesaggio di Montecalvello”, dipinto nello studio in Svizzera, ha inserito dei dettagli che aveva “preso” da una stampa antica. Una stampa presente in un libro edito da Skira di un amico che era anche esoterista e che aveva scritto un testo relativo a Kircher. In questo senso c’è un’influenza esoterica.

Secondo Lei Montecalvello si lega ad altri siti esoterici della Tuscia? Se ce ne sono secondo i suoi studi, la sua esperienza. O Montecalvello è un caso unico?

No, non è un caso unico, però non ce ne sono tantissimi. C’è tutta una storia segreta di questo territorio. Nella Tuscia ci sono diversi monoliti, per esempio; ci sono cose molto antiche sparse in questo territorio. Una presenza etrusca, sacra; c’è questa dimensione magica molto molto importante in luoghi come la Faggeta sul Cimino, per esempio. C’è la geografia sacra. Il lago di Bolsena, i legami tra i laghi del Lazio.

Monumenti che segnano un paesaggio sacro, secondo determinate visioni e concezioni

Sì, ma non è una cosa di oggi e di ora, o un gioco rinascimentale: è una concezione molto antica che è stata rilevata, intuita, capita da ogni persona attraverso ogni epoca. A Bomarzo c’è tutto questo per esempio.

Come a Poggio Rota, questa presenza di conoscenze del territorio dal punto di vista geografico, astronomico

Sì. Ci sono posti molto interessanti, nascosti sotto la vegetazione, formazioni monolitiche che ovviamente non sono cadute lì per caso, ma sono grandi pietre spostate per una ragione ben precisa. C’è un mistero molto profondo di questi luoghi, un mistero molto bello.

Quindi secondo Lei questa antica conoscenza attraverso i secoli può essere giunta fino all’epoca di Montecalvello per comunicare un messaggio? C’è questo legame secondo lei?

Sì, nella storia ufficiale dei luoghi i luoghi stessi portano un messaggio che noi possiamo ancora cogliere. Per esempio nel sottosuolo del castello.

Perché che cosa c’è?

Ci sono una sorta di “catacombe”, dei cunicoli etruschi intagliati nel tufo, forse permanenze mitraiche.

Quindi il castello si imposta su un qualcosa che già era presente?

Sì, completamente. Resti antichi sui quali sorge il castello come fortezza del re Desiderio dei Longobardi, nel IX secolo; poi diventa piazzaforte, c’erano fossati, e poi, divenuto proprietà dei Monaldeschi con il Quattrocento, cambia aspetto e molte camere vengono murate. Questa sala con enorme sforzo l’hanno resa simmetrica, per esempio, che qui nel castello niente è simmetrico.

Il ciclo pittorico di Montecalvello è una sorta di narrazione continua oppure sono dei messaggi a spot che vogliono lanciare dei messaggi? Nel senso: il committente ha voluto far rappresentare queste immagini perché lui faceva parte di un circolo culturale che qui si poteva riunire? Questi affreschi erano “funzionali” oppure nascono per “ostentare”, “dichiarare” di far parte di un gruppo?

Non si sa mai se l’artista inseriva in un ciclo di decorazioni delle cose di cui lui stesso si interessava o se i signori del luogo avevano questi interessi tra loro. E’ difficile saperlo, perché la gente ha una vita intima e una vita pubblica, e queste cose non si scoprono mai. Come per es. per il famoso Fulcanelli sul quale ci sono tante teorie su chi fosse in realtà, tante ipotesi, perché la gente ha almeno una doppia vita.

Molto bella è la rappresentazione della ”Pietra Filosofale”: la donna nuda con il drappo rosso. Ce la può spiegare? In che senso è la pietra filosofale?

La donna è nuda perché pura, cioè la pietra filosofale. C’è la scoperta della materia prima, essa stessa un mistero profondissimo. Tutto viene da questo buio, quel pozzo, che rappresenta l’acqua primordiale e la spada infiammata è il fuoco segreto. La spada infiammata è il fuoco segreto che è il mezzo attraverso il quale si fanno una serie di operazioni per arrivare alla realizzazione suprema. Il mantello rosso corrisponde alla perfetta fissità, e poi gli alberi che vediamo dietro sono il rinascimento della materia che deve subire uno shock elettromagnetico per rifiorire come il giglio. Non c’è un simbolo né un dettaglio che sono casuali: gli alberi, il mantello rosso, il fatto che è nuda, il pozzo.

Tanti significati uno dentro l’altro, come le bambole russe: c’è ne è uno, c’è ne è un altro e un altro ancora …

Quasi due ore volano via dentro un Castello che è un macrocosmo e un microcosmo allo stesso tempo.  Montecalvello è un posto molto gioioso come atmosfera. Non è un posto triste e cupo come tanti castelli. Da fuori sembra un edificio austero, ma dentro, lungo tutte le stanze, l’aria è leggera. Chissà forse grazie all’energia delle parole incise, dei colori, dei volti dei putti, di Dafne, dei delfini, dei sileni, delle creature flessuose dipinte sulle pareti …

Foto a cura di Giuliana Zanni

 

 

 

 

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