Valentina Berneschi: “Sono una storica dell’arte che continua a studiare”

di Donatella Agostini

Valentina Berneschi

Sarà perché spesso associamo a torto l’idea dei musei a scaffalature polverose, a strutture vetuste con direttori anziani ed accigliati, che di fronte a Valentina Berneschi, storica dell’arte, già giovane direttrice scientifica del Museo “Antonio da Sangallo” di Montefiascone, già collaboratrice presso la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio, e infine prossima dottoressa in Archeologia, la reazione è quella della piacevole sorpresa. Perché Valentina è giovane, bionda e delicata anche se tenace come l’acciaio. E soprattutto –  è quello che conta – indiscutibilmente competente nella sua professione, che considera viva e vitale, e foriera di interessanti opportunità. Nata a Roma ma cresciuta a Viterbo, oggi il capoluogo della Tuscia è la base da cui spostarsi, per lavoro e per studio. «Terminata l’esperienza come direttrice del Museo di Montefiascone, ho pensato di utilizzare il tempo che avevo per prendere la magistrale in Archeologia all’Università di Siena». Un piede a Viterbo, uno a Siena; nel mezzo, gli spostamenti dovuti alla sua attività di guida turistica, portando gruppi di turisti alla scoperta della nostra bella Tuscia. Professionista che unisce la teoria di un notevole bagaglio culturale alla pratica del contatto vero e quotidiano con i turisti, ci offre il suo punto di vista circa il presente e il futuro turistico e ricettivo del capoluogo e della provincia.

Berneschi esordisce proprio dalla necessità di un costante aggiornamento professionale: «Lavorando con i turisti, accompagno persone di diverso livello culturale, e talvolta capita di sentirmi fare domande a cui non so rispondere. In questo campo bisogna sempre studiare e approfondire». I turisti poi arrivano da ogni parte d’Italia, e anche dall’estero. «A me piace viaggiare, conoscere culture, persone, luoghi, anche perché quando tu racconti il tuo territorio, devi prima conoscere anche il loro, se no non entri in sintonia. Prima ti devi formare, poi devi continuare a farlo costantemente. D’altra parte, non si può avere la pretesa di fornire una spiegazione su tutto: penso che un vero professionista sia quello che è presente e opera a fondo e con serietà su un unico settore». Con serietà e anche passione: quella che Valentina ha sempre sentito come vocazione, fin da giovanissima. «Era quello che volevo fare: se mi avessi chiesto da bambina cosa avrei voluto fare da grande, ti avrei risposto: voglio fare l’archeologa. Ho frequentato il liceo classico e poi la facoltà di Beni Culturali a Viterbo, proprio per raggiungere questo obiettivo che avevo chiaro in mente». Un esempio per i tanti giovani che, seppure tentati, esitano a scegliere il settore della cultura, temendo che non offra sufficienti sbocchi lavorativi. «Vorrei dire loro: se c’è qualcosa che vi piace, qualcosa in cui credete, provateci, anche se sembra impossibile. Nonostante tutti mi sconsigliassero questo settore, sostenendo che non offrisse abbastanza opportunità di lavoro, io ho sempre lavorato. Certo, anche qui c’è precarietà, c’è mobilità. Ci vuole la forza e la costanza di rialzarsi sempre e ricominciare, magari da un’altra parte». Quello che si è trovata a fare Valentina, per le vicissitudini che la cultura subisce quotidianamente: «Per me hanno rappresentato anche uno stimolo, un’opportunità. Ma se nell’ambito lavorativo non c’è la passione, si muore». È dunque una passione autentica quella che l’ha portata a curare l’allestimento di mostre, ad effettuare ricerche e progetti, a tenere conferenze, a collaborare con le scuole, a lavorare per un periodo presso l’Azienda di Promozione Turistica della provincia di Viterbo. «Un vero peccato la chiusura delle APT», afferma. «Ci lavoravano tutte persone molto competenti. Era un ente che coordinava, funzionava sul territorio: la sua mancanza si sente».

Come guida turistica, Valentina Berneschi ha operato anche in Toscana e in Umbria. «Negli ultimi mesi ho lavorato soprattutto su Viterbo città. Siamo a febbraio, sta per esplodere la stagione: dopo il Covid sarà la prima di reale risveglio turistico. Noi siamo già pronti. È bello anche perché in fondo stai facendo qualcosa per la zona in cui vivi». E i turisti arrivano, numerosi: li abbiamo già visti in gruppi durante l’inverno, malgrado le temperature. «A Viterbo i visitatori rimangono entusiasti nel vedere… tutto! Non immaginavamo di trovare una città così bella, dicono». Cosa manca alla Tuscia per essere un territorio compiutamente ricettivo e turistico? «Tutti danno la colpa di un certo ritardo turistico agli enti locali. Secondo me non possiamo più ragionare così. Le istituzioni sono importanti, ma di fatto, le proposte devono arrivare dai cittadini, soprattutto dagli operatori culturali. Non credo che il nostro territorio sia indietro. La Tuscia è cresciuta tantissimo, e ormai è ben nota: basti pensare alla quantità di film girati a Viterbo e nei paesi della provincia. Ora si va a cercare un turismo più di nicchia, il paesino meno conosciuto ma che ha tanto da offrire. Viterbo è in questo target». Ben vengano dunque le proposte “dal basso”, senza indulgere ad un certo vittimismo compiaciuto. «Noi ci lamentiamo tanto della nostra zona, di come è pensata turisticamente. Viaggiando tanto, io vedo realtà arretrate rispetto a noi di venti, trent’anni. Cercano ancora di capire cosa fare. Noi lo abbiamo capito, cosa fare». Abbiamo finalmente realizzato di avere un’offerta completa: mare, laghi, boschi e colline, arte, buona tavola. «Di Viterbo, e lo dico da cittadina più che da operatrice turistica, non apprezzo il fatto che sia maltenuta. Ci sono tante cose che ci portano notorietà: la Via Francigena, la vicinanza con Roma, il Giubileo… Ma se la città rimane con questa mentalità, è brutto invitare gente a casa e farla trovare in disordine. Ancora una volta, è qualcosa che deve partire dai cittadini, non dalle istituzioni, che pure fanno molto». L’accoglienza allora potrebbe diventare lo stimolo che ci impone di considerare la città un grande salotto della comunità, e di averne cura.«Il turismo deve essere prima di tutto per il cittadino. È la stessa impostazione che avevo quando lavoravo al museo di Montefiascone: io lavoravo per quella comunità. I musei nascono per il territorio, su quel territorio. Una volta che la comunità in cui lavori ha recepito il messaggio, allora si può cominciare ad allargare il raggio e a parlare a chi viene da fuori. È la stessa vocazione che dovrebbero avere la cultura e il turismo, in Italia». Ripensare e riproporre la cultura in un’ottica nuova, per esempio partendo dalle scuole. «Una soluzione potrebbe essere l’alternanza scuola-lavoro: quando dirigevo il museo di Montefiascone c’erano degli studenti, che con me lavoravano. Facevano visite guidate al loro stesso paese, guardandolo con occhi diversi, hanno visto cos’è uno scavo archeologico… e penso all’importanza delle associazioni culturali, nel coinvolgere i ragazzi, farli sentire parte attiva e creativa di questa città, non passiva». Tra i suoi tanti progetti per il futuro, Valentina Berneschi ne sceglie due.  «Sto portando avanti degli studi (e spero di avere presto dei buoni risultati), nella storia del Longobardi nella nostra provincia. A livello nazionale si parla molto delle invasioni barbariche e dei Longobardi, ma raramente vengono associati alla Tuscia. Invece da noi hanno avuto importanza fondamentale. Vorrei approfondire e realizzare una mappatura più completa delle aree dove sono passati e hanno lasciato tracce tangibili. Questo è possibile soltanto associando alle fonti scritte – molto rare – una ricerca archeologica di scavo e ricognizione. Se la Tuscia cominciasse a puntare sullo scavo archeologico, capiremmo cose che finora ci sono oscure o addirittura sconosciute. E poi vorrei portare avanti il tema di Matteo Giovannetti: un  pittore viterbese attivo soprattutto in Francia alla metà del Trecento, presente con le sue opere nel palazzo dei Papi di Avignone, splendido esempio di gotico internazionale.  Il palazzo dei Papi di Viterbo e quello di Avignone potrebbero portare spunti interessanti per tutta la città». Valentina Berneschi è tutto questo, e anche molto altro. Ma in quale veste di sé stessa preferisce pensarsi?  «Sono una storica dell’arte che continua a studiare».

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