Pietro Benedetti, i poeti a braccio rapper della tradizione

Luciano Pasquini

Pietro Benedetti è uno che non si nega, lo abbiamo incontrato nella pausa della sua ultima creatura Risveglio, il lavoro che a suo dire ha maggiormente sentito per l’elevata umanità che racchiude e per un ruolo ben tracciato di militanza culturale e d’impegno sociale. Un cortometraggio realizzato con il contributo di Regione Lazio, Comune di Civitavecchia, Cassa Edile di Viterbo, prodotto finale del laboratorio di cinematerapia che si è svolto del Nuovo Complesso Penitenziario di Civitavecchia. I 37 detenuti hanno partecipato attivamente a tutte le fasi di realizzazione del docufilm.
Benedetti sa ben avvicendare il ruolo di regista a quello di attore, che amalgama con grande passione e profonda umanità. Un percorso eclettico il suo, fatto di tanti personaggi, parole, versi.

Immedesimatosi agli abili improvvisatori che dal dopo guerra in poi, all’interno di cantine e fraschette locali, inventavano canzoni e poesie in ottava rima, riprende una tradizione che risale addirittura al ‘300 e si cantava a voce libera, cioè senza strumenti musicali.
Proviamo a chiedergli come per lui è nato tutto questo, perché nel rappresentarlo con i suoi lavori non si conoscono i retroscena di questo avvio, che in realtà c’incuriosisce non poco. Cominciamo dall’ottava rima, spesso utilizzata dai poeti improvvisatori e lanciata da Boccaccio.

Com’è nata la passione per l’ottava rima?
E’ una passione che hanno i maremmani in genere, almeno quelli che hanno raccontato la tradizione dei luoghi, io ho avuto un nonno oste, l’unico a Tuscania, lì si cantava in ottava rima e nel locale ho ritrovato le memorie degli anziani, in quella piccola trattoria a Tuscania oggi c’è il rinomato ristorante Il gallo.

E la scoperta dei poeti a braccio?
Per implementare la mia ricerca attraverso testimonianze ho scoperto i poeti a braccio e mi sono piaciuti. Ho cominciato ad andarli ad ascoltare. Ed è stato il mio inizio. Tante le interpretazioni a seguire. Domenico Tiburzi, la nascita di una leggenda della Maremma. Alfio Pannega, il poeta viterbese. Con 80 repliche in tutta Italia. Nello Marignoli, l’ultimo partigiano, un grande.

Poi l’unicum con la Banda del Racconto..
Sì, cito alcune iniziative insieme quali ”La vera Viterbo: omaggio a Piascarano”, nella tradizione e nei versi dialettali dei suoi poeti, pubblica narrazione “Di li du’ Goje” con Antonello Ricci e alle percussioni il bravo Roberto Pecci, sino a concepire il Master con l’Università della Tuscia di Narratori di Comunità, destinato prima di tutto a una nuova generazione da plasmare verso un racconto incarnato che preservi il ricordo di chi la storia l’ha avvalorata, salvaguardandone in primis le radici

Tra l’attore e il poeta qual è il ruolo che le si aderisce di più?
Chiaramente il mio esempio dimostra che le due possibilità possono coesistere, richiamano entrambi a un processo di interazione che consentono scambi di contenuti e di approcci nella specificità dei contesti di riferimento. Ma la via tra attore e poeta nasce da dentro, dal poeta. La mia concezione dell’attore è nel ritrovare il personaggio dentro di sé. In particolare, il mio essere attore nasce da un’esperienza autodidatta, il passaggio dal corpo alla parola invece avviene attraverso la testimonianza più alta, quella con il prof. Franco Cagnetta, docente di antropologia e contemporaneamente scrittore alla Sorbona e all’Accademia delle Belle Arti, mi ha insegnato l’avvicinamento dell’altro in modo empatico, attraverso elementi come lo sguardo, il sorriso.


Arriviamo all’esperienza forte di oggi, quella da regista. Qual è l’elemento più forte del lungometraggio?

Un cast composto da 45 persone di cui il 90 per cento rappresentato da detenuti. Con l’applicazione del metodo Strasberg “vivere sulla scena”, si è concepito un format di cinematerapia declinata su persone che non hanno la capacità di relazionarsi e punta attraverso il cinema e la troupe a oltrepassare un confine di sbarre, procedendo da un modo chiuso ad un modo aperto. Un passaggio difficile che se si supera può dare molto. Perché se c’è una cosa difficile in quel mondo fragile è quella di poter dare spazio ai propri sogni e saperli descrivere. Il risultato raggiunto ha reso questa esperienza unica.
Tanti incontri che a ripensarci non sono stati per nulla casuali e che hanno saputo trascendere dall’arte dello studio a un esempio di recitazione spontanea perfetta che ha dato vita a quel piccolo capolavoro che è Risveglio che definirei, prima di tutto, un’esperienza umana.

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