Pier Paolo Pasolini, il marxista animato dal sentimento del sacro

di Rosella Lisoni

Nell’anno del centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini: lo sceneggiatore de La Comare secca, lo scrittore di Amado mio, il poeta di Poesie a Casarsa, il drammaturgo di
Orgia, il regista de La Trilogia della vita, il giornalista de Gli Scritti Corsari e di Lettere Luterane mi piace ricordarlo come il grande intellettuale del 900 che celebrò, da laico, la “razza sacra”, come colui che nei suoi film ricercò e onorò il “recinto del sacro”.

Intellettuale graffiante, sincero, non asservito al potere, pronto a gettare il suo corpo nella lotta, dotato di uno sguardo lucido sulla società contemporanea, attento a sottolineare i cambiamenti di quella società piegata alle leggi del consumismo divorante.
Acuto interprete della realtà italiana, sempre pronto a scandalizzare con la sua logica e a educare gli italiani come un attento docente fa con i suoi alunni, fiducioso nel potere della letteratura, usata come strumento per cambiare e guidare il mondo.
Ultimo poeta decadente della letteratura italiana, poeta maledetto, esistenzialista, Pasolini è lo specchio dell’uomo moderno, attraversato da infinite contraddizioni, dubbi, amarezze.
E’ il simbolo dell’uomo coraggioso, leale fino alla morte, dell’uomo libero, senza paura e con molte macchie.
Sicuramente il segreto del suo fascino senza tempo sta proprio questo, è questa la ragione che spinge l’Italia e il mondo a parlare ancora di lui a 100 anni dalla nascita.
L’intellettuale italiano del 900 più tradotto al mondo, l’amante della verità, colui che fu chiamato a svolgere una “missione sociale” fu animato da un profondo senso del sacro.
Con il film Accattone celebrò il sacro attraverso le imprese dei giovani sottoproletari, divenuti quasi personaggi mitologici, con La Ricotta, celebrò la sacralità degli ultimi, degli invisibili, dei reietti della terra; con il film Il Vangelo secondo Matteo delineò il sacro nella ieraticità dei Sacerdoti del Tempio, animati da una lentezza e staticità di movimenti contrapposta alla vitalità e all’attivismo del Cristo in continuo frenetico movimento del deserto, un Cristo rivoluzionario, per questo sacro, venuto a “portare la spada non la pace”; per concludere con il film Teorema in cui delinea la visione distruttiva del sacro, quando esso irrompe nella contemporaneità prevedendo le conseguenze nefaste della perdita del sacro sulla società borghese.
Teorema, “storia di un’irruzione religiosa in una famiglia milanese”, è un film dal carattere mistico, incentrato sul rifiuto dell’imborghesimento che aliena l’uomo.
Tratto dall’omonimo romanzo contenente nel finale la frase incisiva “Io sono pieno di una domanda a cui non so rispondere”, il film delinea la visione distruttiva del sacro e termina con una corsa di un uomo solo disperso nel deserto che urla la sua disperazione, deserto come luogo di perdizione, incontro con il divino che mette in luce tutto quello che di ambiguo è presente nella natura umana.
Pasolini sottolineò il disappunto della mancanza del sacro nel film Medea, nel momento in cui Medea, rappresentante dello spirito della sacralità, prende coscienza che l’accampamento costruito dagli invasori non è costruito come uno spazio sacro, spazio che richiede una certa ritualità non rispettata.
La perdita del sacro è perdita di una crisi positiva interna alla realtà, sacro inteso come forza rivoluzionaria, sacro come logica di insurrezione interna al reale, crisi della fede cristiana che rimanda in Pasolini alla crisi del marxismo inteso come forza rivoluzionaria legata alla forza cristiana.
Egli osservò e patì l’operazione del sacro operata dalla modernizzazione, dal neocapitalismo e dalla borghesia, da lui considerata “una malattia”, colei che opera un’abrasione del sacro.
Quella borghesia responsabile dell’eliminazione del senso del sacro dal mondo, che fece della desacralizzazione della società una moda piccolo borghese.
Pasolini scorse nella realtà il sacro, un sacro non trascendente, ma individuabile nel rapporto con l’altro, con la vita.
La ricerca del sacro in lui è rivolta verso la tradizione, verso il passato, verso il mito.
Il sacro inteso come chiave in grado di cogliere l’identità del mondo antico, gettando anche una luce sul nostro mondo.
Sacro come forza di rottura, sacro come opzione eretica, apocalittica, ciò che fa irruzione nella storia e la rende irta di inciampi, qui il rimando agli Scritti corsari in cui è descritta l’Italia del boom economico, dell’industrializzazione, un’Italia che è di fronte ad un nuovo Fascismo, cioè ad un nuovo Potere. Non più il Fascismo del ventennio, che non riuscì a modificare le coscienze degli Italiani, ma un nuovo Fascismo che ha modificato l’animo degli Italiani, una nuova dittatura che usando la televisione, non le piazze, ha eliminato il pensiero critico e modificato le vite umane: omologazione distruttrice, mutazione antropologica, genocidio dell’umanità.
Il popolo diviene massa, “macchine che sbattono una contro l’altra”, senza libertà e il suddito diviene consumatore, si assiste inermi al passaggio dal monoteismo al politeismo.
La verità, profondamente inseguita di Pasolini, è la realtà sacrale di ogni singolo uomo, il suo spiritualismo lo spinge dalla parte degli ultimi, degli esclusi, degli impotenti.
La verità è la verità della sacralità del singolo.
Nella sceneggiatura di San Paolo, alla quale lavorò nel 1964 e per casi contingenti non fu mai tradotta in film, Paolo rappresenta la sua immagine speculare.
Paolo, persecutore dei Cristiani che incontra sulla via di Damasco la fede, Gesù, colui che cadendo da cavallo perde la vista, ma acquista una nuova visione del mondo, divenendo egli stesso cristiano e diffondendo il cristianesimo, è colui con il quale Pasolini si identifica, perché, come egli stesso scrisse a Don Giovanni Rossi nel 1964, “…io sono da sempre caduto da cavallo…un mio piede è rimasto impigliato nella staffa, così che la mia corsa non è una cavalcata, ma un essere trascinato via, con il corpo che sbatte sulla polvere, sulle pietre, non posso risalire sul cavallo degli Ebrei, né dei Gentili, né cascare per sempre sulla terra di Dio”.
La caduta dell’uomo è la caduta di Pasolini.
Paolo, il Profeta è messo in crisi dal suo stesso movimento, è martirizzato, processato, assolto e ucciso come Martin Luter King, come se andare contro il sistema fosse donare la proprio morte.
Paolo, novello Pasolini, spinge alla riflessione sull’ideologia del suo tempo.
Religione che si genera come sfida alla religione costituita.
Per Pasolini la ricerca del sacro è una ricerca di un sacro non trascendente, ma insito nella bellezza di qualunque forma di vita.
Il sacro è nella meraviglia della natura, nella musica “unica azione espressiva, forse alta, e indefinibile, come le azioni della realtà”, nel gioco del calcio “ultima manifestazione del sacro”.
Un Pasolini dunque multimediale, che ricerca il sacro sia a livello poetico, Pasolini è essenzialmente un poeta, che letterario, che cinematografico.
La ricerca del sacro in Pasolini investe la poesia, il romanzo, il linguaggio del cinema e nel superamento delle forme canoniche di scrittura si avvicina al sacro, come se attraverso la forma fosse in grado di costruire il sacro.
E’ la sua una sacralità tecnica, in grado di far emergere la sacralità del reale attraverso tecniche espressive, estetiche, in grado di restituire il sacro che alloggia nella realtà.
La metrica viene superata dal montaggio, la sceneggiatura si avvicina alla poesia.
Il sacro viene ricostruito attraverso un’operazione formale che abbraccia sia romanzo, sia poesia che cinema.
Ricerca supportata dal suo infinito sperimentalismo linguistico che lo vide attento a ri-creare un linguaggio e con esso una realtà nuova, a ricercare una nuova forma, che altro non è che la ricerca di una nuova forma di vita.
Fondamentale il rimando all’opera postuma Petrolio in cui la ricerca della forma immerge il lettore nella realtà vivente, non più ricerca linguistica, ma sperimentazione retorica, cognitiva.
Una forma che liberi la realtà dal discorso, che ponga il lettore di fronte al romanzo della realtà.
Il rapporto col sacro in Pasolini non è mai convenzionale, Pasolini non è stato un autore convenzionale.
Il sacro rappresenta un filo sottile che lega la trama della sua opera, nella poesia Alba meridionale dirà “manca sempre qualcosa, c’è un vuoto in ogni mio fluire ed è volgare questo non essere completo, mai fu così volgare come in quest’ansia di non avere Cristo.”

Pasolini Cristo lo cercherà per tutta la vita, al momento delle riprese del film Il Vangelo secondo Matteo lamenterà più volte “non trovo Cristo, trovo Cristo” per gioire finalmente con Ninetto Davoli quando felice infine dirà “Ninetto sai ho trovato Cristo” avendo incontrato il volto dell’attore Enrique Irazoqui che lo interpretò.

Pasolini Cristo lo cercò anche nei luoghi a lui sacri, Il Friuli, la Roma dei sottoproletari vitale, Napoli, città ricca di uno spirito puro, schietto, popolare e Il Terzo Mondo, l’Africa, l’India.
Soltanto nel suo teatro non c’è posto per il sentimento del sacro, per la prospettiva divina, essendo esso dominano dalla follia, dalla fissazione, dall’incapacità.
La ricerca della sacralità in Pasolini passa attraverso il corpo, rimando all’incarnazione nel Cristianesimo.
Nella metà anni 60 i corpi dei sottoproletari sono cambiati, tutto è cambiato, tutto è irrecuperabile per lui.
Il rimando è al poemetto allegorico Bestemmia del 1962/67 in cui Bestemmia, personaggio popolare, magnaccia, diviene un profeta, ottiene il dono della profezia e dice “non gettate il vostro spirito nella lotta, gettate il vostro corpo nella lotta è con esso che parla il vostro spirito. Quanto ha parlato Cristo, eppure niente ha parlato più del suo corpo inchiodato nella croce”.
Cristologia tipica di Pasolini, che qui evidenzia l’idea di un Cristo anteriore ad ogni stile, Cristo svincolato da ogni riferimento pittorico, differente dall’immagine di Cristo de La Ricotta e il Vangelo secondo Matteo.
In Bestemmia Pasolini ripropone una definizione di Cristo molto carnale, con sofferenza, Cristo che muore con sofferenze atroci sulla croce, Cristo che porta scandalo tra Farisei.
In Bestemmia Cristo si presenza come Cristo reale, mentre in Teorema non più, Cristo è un anelito, nella società borghese i corpi non hanno più una valenza positiva.
Con Teorema si assiste alla storia di un rovesciamento sociale, Pasolini non ritrova più i giovani in cui aveva creduto, che aveva amato, i corpi mitici dei giovani dei primi film Accattone, Mamma Roma, nel film i giovani sono descritti duramente, sono fragili, in preda alla pazzia.
Rimando al Pianto della scavatrice ne Le ceneri di Gramsci: “Solo l’amare, solo il conoscere conta, non l’aver amato, non l’aver conosciuto, dà angoscia il vivere nel consumato amore, l’anima non cresce più”.
L’avvento di Cristo non ha più nulla di miracoloso se non si ripete giornalmente, è vivo in lui quasi una componente di ortodossia cristiana, fede nel corpo e sangue di Cristo, che si rinnova ogni giorno per i credenti con l’eucarestia.
Dirà in Pietro II “Dove il Cristianesimo non rinasce marcisce” o ancora “
Il sangue di Cristo si è fatto ceralacca, la ceralacca polvere, la polvere omissis.”
La ricerca di Pasolini cambia, diventa disperata, mentre nei primi anni Cinquanta era stata felice, piena di gioia.
Pasolini non perse però la speranza del recupero del sacro, di una prospettiva religiosa e vitale, testimone ne sono le due opere non compiute: San Paolo, del quale resta soltanto la sceneggiatura, film in cui è presente un San Paolo vivo tra gli uomini, attuale, che si rivolge alla società e ama, minaccia e perdona e Porno Teo Kolossal la cui sceneggiatura viene pubblicata nel 2000 insieme all’Opera Omnia. Storia di due Re Magi: Epifanio, interpretato da Eduardo De Filippo e Nunzio, il servo, interpretato da Ninetto Davoli, che seguono la stella Cometa (l’ideologia). Arrivati a destinazione, non trovano nulla, ma soltanto un venditore arabo di souvenir che vuole rifilargli la medaglietta del Messia. Epifanio lo interroga e scopre che il Messia è nato, ma è passato molto tempo ed è morto e dimenticato. Epifanio disperato muore.
Dal corpo di Nunzio si stacca la figura di un Angelo del Signore, che vuole condurlo in Paradiso, così come dalla figura di Epifanio si stacca un’altra figura, la sua anima. Nunzio gli fa l’occhietto e tenendolo per mano dice “Nnamo omo de poca volontà” e cantando e ballando lo guida per la strada dei cieli. Epifanio si rivolge a Nunzio e dice “Eh mo’?” Eh mo’ sor Epifà, qualche cosa succederà” risponde Nunzio.
Messaggio disperanza e di sollievo che restituisce un’immagine del regista non rassegnata né piegata al pessimismo.
Rimando al film La terra vista dalla luna in cui il protagonista asserisce che “Essere morti o essere vivi è la stessa cosa”.
Ciò induce a pensare che Pasolini sia ancora vivo, tra coloro che lo studiano, che lo apprezzano, nella ricerca in Italia e all’estero delle sue opere.
Il divo, amante della vita, ma sempre pronto a sfidare la morte, l’uomo che subì 33 processi, sensibile, mite ma profondamente determinato e spietato nei confronti delle leggi del Palazzo, il marxista attraversato da un sentimento religioso della vita, il grande sperimentatore della lingua italiana, ma ostile nei confronti delle avanguardie, l’intellettuale e l’uomo di borgata che nel 1950 approdando a Roma conosce l’indigenza ma è in grado di risorgere e diventare un uomo di successo, Pasolini incarna i conflitti e le lacerazioni dell’uomo moderno.
Un’anima divisa in due, un “ossimoro vivente” in cui bene e male convivono, in cui luci e ombre procedono congiuntamente.
Un uomo che ha fatto dei suoi graffi, dei suoi demoni, dei suoi tormenti il suo punto di forza e che ancora oggi riesce a stupire, ad appassionare e far parlare di sé.

 

Foto di Letizia Battaglia, esposta a Casarsa, nel 2015, a Casa Colussi, nella mostra “Pasolini alla casa della madre” con le sue straordinarie fotografie.

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