Paolo Bianchini: con Il sole dentro racconto la vita ai ragazzi

Paolo Bianchini, regista e sceneggiatore italiano, dal 2002 Ambasciatore dell’Unicef. Le origini viterbesi le tiene ben salde nella sua memoria. “A Viterbo, vicino al Caffè Schenardi, in piazza delle Erbe, ho visto per la prima volta la neve”. Per lui Viterbo potrebbe diventare un’isola che si salva, così piena di storia. “Viterbo deve puntare sulla ricchezza della sua terra, che è storia, archeologia e cultura. Viviamo nell’epoca del cemento e Viterbo si può girare a piedi”.

Racconta la sua vita dedicata al cinema e non solo. Dall’esordio come regista nel genere spaghetti western, fino al suo ultimo film Il sole dentro, visto da tutti i ragazzi delle scuole della Tuscia.

“Il mio amore per il cinema nasce intorno agli anni ’50. Diciamo che l’ho sempre avuto fin da piccolo, per me il cinema rappresentava un affascinante viaggio della fantasia. Intorno ai 17 anni, dopo la maturità, ho lavorato al mio primo film come assistente alla regia di Luigi Zampa, regista neorealista che ha reso famoso il nostro cinema nel mondo. Ho avuto nel corso degli anni diverse collaborazioni con altri importanti registi: da Sergio Leone a Ettore Scola che, insieme a Luigi Zampa, sono stati la mia scuola. Il mio debutto alla regia con il genere spaghetti western è stato pessimo, e da subito mi ha creato un marchio di fabbrica. Poi un giorno avevo un appuntamento davanti ad un cinema dove proiettavano un mio film western, Lo voglio morto. Sono entrato in sala senza presentarmi e pagando il biglietto, per paura che il film non piacesse. E quando mi sono trovato di fronte alla platea che saltava sulle poltrone, eccitata dalla scazzottata finale, io che sono stato costantemente educato alla non violenza, ho deciso che dovevo smettere con quel genere”.

Dopo tre anni di pausa, passa alla pubblicità e alle fiction. “Dopo tre anni senza far nulla ho ricevuto una richiesta di lavoro nel campo della pubblicità. Per alcuni anni sono stato uno dei registi più richiesti nel campo pubblicitario. Ho lavorato per grandi agenzie internazionali e diretto in Italia e all’estero circa duemila spot pubblicitari. Ma un giorno mi sono fatto una domanda: è veramente quello che desideravo fare nella vita? Ho abbandonato il mondo della pubblicità. E dalla mia passione per la scrittura è nato La grande quercia, un film interamente girato nella Tuscia nel 1997, che ha ottenuto il Premio Critica al Festival di Berlino. Con esso ho ricevuto delle offerte in Rai come regista di fiction. Ma anche questa nuova veste mi andava stretta”.

Finalmente realizza il progetto che ha sempre desiderato. “È nato il mio ultimo lavoro Il sole dentro. Ho presentato il film nelle scuole della Tuscia. Con esso cerco di raccontare ai ragazzi la mia visione della vita. E grazie ad esso faccio quello che ho sempre desiderato: entrare nel mondo dei ragazzi”.
Il sole dentro racconta la storia di due lunghi viaggi che si intrecciano, a distanza di tempo, lungo un percorso che unisce l’Europa all’Africa e viceversa. La prima è la storia di Yaguine e Fodè, due adolescenti guineani che scrivono, a nome di tutti i bambini e i ragazzi africani, una lettera indirizzata “alle loro Eccellenze, i membri responsabili dell’Europa”, chiedendo aiuto per avere scuole, cibo e cure. Con la preziosa lettera in tasca Yaguine e Fodè si nascondono nel vano carrello di un aereo diretto a Bruxelles. Inizia così il loro straordinario viaggio della speranza. Quando l’aereo atterra a Bruxelles, un tecnico scopre abbracciati i corpi assiderati di Yaguine e Fodè, accanto alla lettera indirizzata “Alle loro Eccellenze”. La loro storia si incrocia, dieci anni dopo, con un altro viaggio, questa volta dall’Europa all’Africa, fatto da altri due adolescenti ed il loro pallone. È la storia del tredicenne Thabo, immigrato originario di N’Dula, un villaggio africano che nemmeno lui sa dove si trovi esattamente, accompagnato dal suo amico Rocco, quattordicenne di Bari, provengono dal Sud di quell’Europa piena di contraddizioni, che attira e respinge i popoli, come le onde del mare che unisce e divide. Entrambi i ragazzi sono vittime della tratta dei baby calciatori, dalla quale stanno fuggendo. Attraversano tutto il deserto con solo un po’ di pane e una bottiglietta d’acqua, e dopo tre mesi arrivano finalmente ad N’Dula.

“Con Il sole dentro voglio insegnare ai ragazzi ad osservare la vita da lontano. Se ci guardiamo da lontano riusciamo a comprendere che ogni forma di vita dipende dalle altre in uno scambio continuo. La cultura e la civiltà umana nascono da uno scambio di culture, sempre. Le razze più belle sono quelle che si incrociano. Ai ragazzi e ai bambini della Tuscia cerco di far capire che la vita ha un’anima, ha una poesia, non è fatta soltanto di telefoni, conti in banca e pubblicità”.

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