Padre Andriy Maksymovych cappellano comunità ucraina Viterbo: Abbiamo diritto a vivere per noi e per i nostri figli

di Donatella Agostini

Padre Andriy Maksymovych

Dopo due anni di pandemia ci sentivamo pronti a riaccogliere la normalità, come un ospite che si è fatto a lungo desiderare. L’avremmo salutata con la luce di domeniche come questa, con suoni di campane, profumi di casa e colori di alberi in fiore. Nessuno si aspettava la notizia dello scoppio di una guerra: eravamo quelli del “mai più una guerra, né qui né altrove”. Credevamo, forse ingenuamente, che la pace tra gli uomini fosse qualcosa di definitivamente conquistato. Invece la guerra in Ucraina ci ha tramortito il cuore e lo ha reso pesante come il piombo. Una guerra antica, come tante già nella storia, che vede uno spietato aggressore invadere un pacifico paese confinante, che ha una bandiera con gli stessi colori della nostra Viterbo . Una guerra moderna, per la presenza costante dei media, che inviano quotidiane immagini di terrore, di sangue, di macerie, di civili martoriati, di bambini costretti a vivere nei bunker o nelle metropolitane, al riparo dalle bombe che fioccano come neve di una primavera infernale. Undici giorni ormai, di attacchi feroci da parte russa e di strenua ed eroica resistenza da parte del popolo ucraino, che ci ha fatto riscoprire il senso della dignità e dell’attaccamento alla propria patria. Abbiamo voluto toccare con mano questa dignità e questa compostezza, andando a conoscere chi, a Viterbo, si sta adoperando per mandare aiuti concreti ai concittadini rimasti in patria a combattere e a resistere.

La comunità ecclesiale ucraina viterbese ha sede presso la chiesa di Santa Maria del Suffragio, in corso Italia. In questi giorni stanno arrivando grandi quantità di aiuti da parte dei viterbesi e delle istituzioni. Nella grande sala adiacente alla chiesa ci sono donne ucraine di ogni età, che silenziosamente smistano il materiale arrivato in tanti scatoloni che saranno inviati al più presto in patria: generi alimentari a lunga conservazione, coperte, capi di vestiario, ma anche e soprattutto materiale sanitario: garze, alcol, disinfettanti, analgesici. Conosciamo padre Andriy Maksymovych, il cappellano della comunità ucraina di Viterbo, fondata oltre venti anni fa. Diversi sacerdoti italiani ed ucraini si sono avvicendati nel ruolo pastorale ricoperto oggi da padre Andriy. E’ pure presente una troupe del TG3 Lazio, a dimostrazione dell’estremo interesse che nutre l’opinione pubblica per le sorti del popolo ucraino. «Sono stato nominato più di anno fa qui a Viterbo dal nostro vescovo, perché noi abbiamo una struttura ecclesiastica riconosciuta dal governo italiano e dalla Conferenza Episcopale Italiana, che si chiama Esarcato Apostolico per i cattolici ucraini di rito bizantino. Come se fosse una diocesi che copre tutta l’Italia. Abbiamo settanta sacerdoti e più di 160 comunità, tra cui questa di Viterbo. La comunità viterbese è composta da una settantina di persone, che si riuniscono qui due volte alla settimana; la domenica mattina alle dieci celebriamo la liturgia alla chiesa di Santa Maria del Suffragio, con la particolarità che applichiamo il rito bizantino. La Chiesa cattolica è una piattaforma comune composta da diverse tradizioni, da diversi riti, tra cui il nostro. È un elemento in più, una ricchezza: papa Francesco ci insegna a valorizzare le diversità per rafforzare le nostre identità». Lo sguardo di padre Andrej è attraversato da lampi di dolore e di preoccupazione, ma resta diretto e composto come quelli di tutti i suoi compatrioti, mentre ci racconta come stanno vivendo, lui e la comunità ucraina, le notizie che arrivano dalla loro terra. «La notizia dell’invasione da parte del nostro vicino ci ha colti di sorpresa, come nel resto del mondo. Siamo passati dalla dramma alla tragedia, e questa tragedia ha toccato i cuori di tutti. La comunità viterbese si è mobilitata immediatamente, dandoci contributi in modo fraterno e solidale. Collaboriamo con i parroci della diocesi di Viterbo e con la Caritas, e questa collaborazione si sta rivelando molto fruttuosa ed efficace. Siamo come le due ali di un aereo di pace: da una parte la comunità ucraina, dall’altra la comunità viterbese. E questo aereo carico di aiuti umanitari sta volando in direzione del mio paese». Le necessità della popolazione ucraina rimasta in patria spaziano dai generi alimentari, che cominciano a scarseggiare, alle dotazioni per i medici e gli infermieri che si recano con le ambulanze nelle zone di conflitto. «Hanno bisogno di giubbotti antiproiettile e di medicinali specifici per fermare le emorragie e per calmare il dolore», continua padre Andriy. «Caschi per i vigili del fuoco, cambi di vestiario per i feriti ospedalizzati e per le tante persone che vivono nelle cantine, nelle metropolitane, dove la temperatura si abbassa molto e c’è molta umidità». Pace è una parola che risuona in modo irreale in questa grande stanza dove ognuno prega chiuso nel proprio dramma personale. «Quando noi preghiamo per la pace, bisogna ben distinguere: dobbiamo essere pacificatori e non pacifisti. Il pacifismo può essere un concetto passivo e astratto. Può essere manipolato, strumentalizzato. Invece io voglio invitare tutti a riflettere, a pregare e a lavorare sul ruolo pacificatore della società e della Chiesa. La pace deve essere protetta, promossa, difesa, in nome della giustizia». Spesso in passato si è sentito parlare dell’Ucraina come di paese-cuscinetto, come di una indefinita zona grigia a cavallo tra mondo occidentale e quanto restava dell’antica Unione Sovietica. «Credo che questi termini debbano gradualmente vaporizzarsi, sparire, perché è offensivo per un ucraino sentir parlare della propria patria come di un cuscinetto. Se una persona dice che sono un cuscinetto per qualcuno, significa che si infila nell’egoismo, nell’indifferenza, perché vuole dormire bene su un cuscinetto, chiunque esso sia. Tutti abbiamo diritto ad essere letti, e non cuscinetti. Noi ci sentiamo europei». L’ultima frase di padre Andriy ha la forza ineluttabile di una pietra scagliata in acque altrimenti ferme. «La nostra decisione di aderire al mondo europeo, di sentirci pienamente europei, riguarda prima di tutto il rispetto dei diritti umani. Questo è sacrosanto, nessuno può dominare un altro. Giustizia sociale, libertà di parola, libertà di coscienza: tutti valori e diritti che il nostro aggressore non vuole concedere». Nelle vicende di questa comunità in seno alla nostra città, c’è un prima e c’è un dopo. «Prima della guerra la comunità viveva il suo cammino di integrazione nel tessuto sociale della città. Contribuivamo con le nostre consuetudini, con la nostra cultura, con le nostre radici, facendole confluire nel patrimonio culturale della nostra amata e accogliente Italia. Cercando di non perdere la nostra identità. La parola giusta è stata integrazione, e non assimilazione, per non creare ghetti chiusi. Da parte dei sacerdoti c’è stata sempre una vigilanza molto significativa in questo senso: mantenere una nostra identità pur aprendoci e assorbendo elementi buoni e positivi dell’accoglienza italiana. Noi comunità ecclesiale ucraina qua a Viterbo vi siamo molto grati, e ci sentiamo orgogliosi di poterci integrare nel vostro tessuto sociale. Credo che l’Italia, ma anche tutta la società occidentale, con l’Ucraina diventerà più forte: senza Ucraina rischiamo di rimanere impoveriti. Sono molto grato che mostriate questo interesse, e vi invito a trasmettere questo sentimento di gratitudine a tute le persone coinvolte». Le ultime vicende offrono nuovi spunti di riflessione sul ruolo positivo dell’integrazione. «Un altro elemento che noi possiamo apportare per contribuire alla cultura europea è l’amore e l’apprezzamento per la propria terra, che tante volte è messo in secondo piano. Sentirsi legati al posto dove vivi, apprezzarlo, sentirsi riconoscenti, alla terra che ti dà da vivere, che ti dà spazio, accesso alla sua cultura, alla sua lingua, ai suoi canti. Integrandoci in Europa siamo disposti a portare questo risvegliato senso di patriottismo, non nazionalismo né altri –ismi… un patriottismo sano che si basa sull’amore per la patria, per il suo popolo, per il patrimonio della civiltà che ci ha preceduto». Le vicende storiche che riguardano altri paesi hanno tanto più valore quanto più ci fanno riflettere sulla nostra storia recente. «L’Italia fino a sessanta anni fa era popolo di migranti. Il piano Marshall ha portato al boom economico: negli anni Settanta l’Italia già figurava tra le grandi potenze economiche del mondo. Perché ha messo in campo i propri sforzi, e perché è stata aiutata dalla solidarietà di altri. Noi che cosa diciamo all’Europa? Che vogliamo aiutarvi, ma che vorremmo anche essere aiutati, come lo siete stati voi. Il nostro aggressore sta tenendo un comportamento neoimperialista, contro un popolo dignitoso, perché noi abbiamo una nostra dignità. Con la dignità, nessuno vuole imporre le proprie regole ad altri. Abbiamo diritto a vivere come ci sembra giusto, per noi e per i nostri figli. Questo è il nostro grido, il nostro urlo».

 

 

 

 

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