Noemi Nori, la vita tra musica e silenzi

di Barbara Aniello*

Noemi Nori

Figura esile, voce profonda, sguardo intenso: la prima cosa che mi viene incontro, accogliendo Noemi Nori, sono i suoi occhi. Il suo sguardo è di una trasparenza abissale, di un fragoroso bagliore. Se gli occhi sono la finestra dell’anima, come diceva Leonardo, Noemi offre un affaccio privilegiato a chi, come me, la incontra anche se per pochi istanti. E allora ci sporgiamo su un panorama unico, fatto di autenticità e passione, entusiasmo e dolore, umiltà e tenacia. Che ti guardi da lontano su un palcoscenico o da una poltrona accanto a te, Noemi riesce a trafiggere il cuore di chi la incontra, come la luce di un cristallo limpido, purissimo.

La musica ha sempre accompagnato la vita di Noemi Nori, oggi tra voci più singolari del panorama della musica, esibitasi di recente al Teatro San Leonardo per il JazzUp Festival.

Da piccolissima scopre la musica, eredità naturale dei suoi genitori. “Uno dei primi ricordi della mia infanzia legati alla musica risale a mio padre e mia madre. Ricordo che, durante i rari viaggi in auto per raggiungere località di ferie, cantavamo a squarciagola tutto il tempo”. Sul filo della memoria tante sono le suggestioni che tornano alla mente, come echi lontani di un destino segnato dal mondo del suono e dai suoi benefici e terapeutici effetti.

“Il primo palco della mia vita è stata una sedia: nel refettorio dell’asilo la mia maestra mi chiedeva di cantare per calmare i bambini”. Curioso questo episodio per quella che più tardi diverrà una musicoterapeuta e che, utilizzando la voce come canale privilegiato, riuscirà a comunicare con i bambini autistici reclusi nel più grave isolamento.

Continuiamo ad indagare il passato e scopriamo che a Magliano Sabina, dove è nata e vissuta con la famiglia, Noemi era stata selezionata da alcuni talent scout per partecipare allo Zecchino d’Oro, ma le condizioni familiari e la mancanza di tempo non le hanno permesso di prendere quel treno per Bologna, che sarebbe stato così formativo, ma al tempo stesso utopico, a quell’altezza cronologica. Dopo le scuole elementari, però, magicamente il Brasile le viene incontro, trasportato da un insegnante delle medie, Valerio Natoli, con cui da grande fonderà più tardi il gruppo Brasil 87. Nel frattempo Noemi Nori studia pianoforte al Conservatorio fino all’ottavo anno, per poi virare verso la musicoterapia.

Noemi questo non ama definirsi una cantante, ma una musicista. Sperimenta altri gruppi come il CTF, esibendosi nei locali romani, incontra il musical e il mondo del teatro con il Progetto Mandela e già a diciotto anni si esibisce in “I have a dream” per la regia di Irene Loesch con musiche originali di Valerio Natoli, suo mentore. “La passione di Valerio per la musica ci ha contagiati sui banchi di scuola. Lui ha sempre creduto in me, anche quando mi chiudevo nel mio paesino di provincia a studiare pianoforte per ore ed ore. Diceva che la mia vita era la musica e che dovevo cantare”.

Le svolte nella vita di Noemi sono tante. Nonostante i muri e gli ostacoli sembrino impervi, con umiltà e tenacia ha sempre trasformato le crisi in opportunità. La prima grande svolta, forse, è stata quella dell’interruzione degli studi pianistici. Arrivata all’ottavo anno, forse il più ostico dei dieci previsti dal programma pianistico del Conservatorio, la sua tecnica si inceppa, ma la sua passione non si arresta. Ed ecco la svolta in favore della musicoterapia. Dal 2003 al 2006 si Diploma a Roma dopo un intenso e selettivo lavoro su di sé. Le chiedo quale sia stata la sua più grande soddisfazione come musicoterapeuta. “Ho incontrato un bambino autistico di 4 anni che non parlava e mi guardava con quello sguardo tipico di chi soffre di questa patologia, lo sguardo che attraversa l’altro. Con lui ho usato la voce, il corpo, le mani, il ritmo, ogni tipo di strumento. Ma la voce è stata certamente il mio canale preferenziale e, alla fine del percorso, a suo modo, il bambino mi ha chiamata, ha pronunciato il mio nome, provocando in me un’esplosione di gioia. Da quel momento ci siamo “guardati” veramente e ci siamo riconosciuti. Anzi, il canale dello sguardo è divenuto un rituale di saluto tra noi”.

Conversando con Noemi siamo sempre più convinti che il mezzo musicale, il mezzo vocale sia uno dei canali più ancestrali della comunicazione. “Tutto parte dalla diade mamma-figlio. Nel grembo materno l’orecchio è il primo organo sensoriale che si sviluppa e i suoni e rumori fruiti in gravidanza sono fondamentali per il riconoscimento della voce della mamma, una volta nati”.

Domando a Noemi come è cambiata la sua vita dopo la maternità. “La maternità desideratissima stentava ad arrivare. Magicamente il Brasile ha aiutato e, dopo il mio primo viaggio con mio marito nel 2006, è nata mia figlia Ginevra, detta Gingi. Con lei ho scoperto la tenerezza. Ho capito come anche un essere così piccolo avesse la capacità e la sensibilità unica di conoscermi e riconoscermi. Ginevra fantastica, lei è sempre in ascolto”.

Domando a Noemi come si definirebbe oggi e quando ha scoperto la sua vocazione. A sorpresa mi confessa che non ha mai creduto in sé. Ci stupiamo di questo pensiero: del prisma dei colori che Noemi ci offre questa è la sfumatura più inattesa. “Mi definirei una musicista perché essere definita cantante mi porta verso qualcosa che non mi appartiene. L’autostima è certamente un percorso lungo che dura tutta la vita ed io ci sto ancora lavorando”. La Noemi che si esibisce sul palco scalza e che dà tutta sé stessa con gioia e generosità al pubblico, è un cristallo trasparente, un fragile diamante, capace anche di queste confessioni.

Lei ha saputo intraprendere le strade della vita, trasformando in positivo le inattese sterzate che le si sono parate innanzi. Tutta la sua cultura musicale, la grande precisione, intonazione e attenzione ritmica che percepiamo ascoltando i suoi dischi o assistendo ai concerti, non sono doni solo naturali, ma frutto ricercato e temprato dal rigore e dalla disciplina pianistica. Non solo. Noemi fa di tutto questo bagaglio un dono e lo offre per il bene altrui. Questa forse è la chiave per superare le crisi e le prove della vita. Il pensiero dell’altro spinge all’oltre. E allora anche la terapia generosamente offerta torna inaspettatamente benefica per sé stessi.

Nel breve volgere di due o tre anni, Noemi ha perso gli affetti più cari, i genitori, il marito. Eppure non si è mai fermata. A Perugia si è laureata in Canto Jazz e all’Aquila ha concluso tutti gli esami per conseguire la laurea di secondo livello in musicoterapia.

La tragica scomparsa dell’amatissimo papà e poi del suo sposo, il medico persiano Reza Hafez Taghva, amato e stimato da tutti, ha sconvolto la vita sua e quella di sua figlia. Un passato inconfessato da soldato sminatore in Iran. Il lutto di quindici amici perduti in guerra. Un carattere forte e protettivo che non permetteva di penetrare nelle proprie fragilità. Il valore incrollabile della famiglia e degli affetti sempre al primo posto. Gli occhi di Noemi ora sono un fiume di ricordi e di lacrime che gelosamente custodiamo nello scrigno dell’amicizia.

Alla musica segue il silenzio, un silenzio eloquente. Tra noi vi è lo spazio di un ascolto che dice tutto. Noemi si è dovuta reinventare ancora una volta. Ha continuato a camminare con amore e tenacia sulla strada della vita, parando l’ennesimo colpo. I suoi occhi fulgidi spuntano oggi da un palco singolare, quello del negozio di tappeti persiani di via San Lorenzo, ereditato da suo marito. Ma la musicista è sempre la stessa, con un raggio di luce in più nello sguardo che ci abbraccia.

La musica apre un mondo spesso ai più nascosto, inesplorato, quello dell’ascolto. Saper osservare le persone senza invaderle è un dono che si apprende alla sua scuola. Come madre ha trasmesso questo dono e ne ha fatto il punto di forza della figlia. Come terapeuta si meraviglia di quanto questo dono riesca ad avvicinare gli altri, tirando fuori, maieuticamente, la loro parte più autentica. Come sposa Noemi è perennemente in ascolto di uno sguardo silenziosamente eloquente, sottile filo che unisce cielo e terra. Per questo ha avuto la forza di dedicare a suo marito, pochi mesi dopo la sua partenza, un intero concerto a Vetralla. Perché la musica permette di ascoltare e ascoltarsi, di lasciarsi andare completamente, di affrontare con grazia e semplicità i problemi più insormontabili. Studiare, scrivere, cantare ora sono la medicina di Noemi Nori e anche quella di chi, come me, ha la fortuna di incontrare il suo sguardo intenso e la sua voce luminosa.

Noemi Nori

 

 

*Musicologa, storica dell’arte

COMMENTA SU FACEBOOK

CONDIVIDI