Naomi Barlow e il CeSMI, la musica non possiede confini

di Carolina Trenta

Naomi Barlow, californiana di nascita e viterbese di adozione, è un’affermata violista e fondatrice del CeSMI (Centro Sperimentale Musicale per l’Infanzia); da sempre amante della musica e della bellezza, Naomi ha ritrovato nella piccola Pianoscarano, anima antica della città capoluogo della Tuscia, quelle emozioni forti e genuine che solo la musica è in grado di sollecitare.

Naomi Barlow è un’ enfant prodige che inizia a dieci anni lo studio della viola negli Stati Uniti. Laureata al Conservatorio di Oberlin (Ohio), studia sotto la guida di insegnanti come William Berman, Richard Young, Penny Anderson, Milton Preeves  e Walter Trampler.

Dagli Stati Uniti a Pianoscarano, ne ha fatta tanta di strada … cosa l’ha portata sino qui?

E’ una storia veramente lunga … mi piacerebbe partire dalla mia formazione in Germania e dal mio incontro con Giusto Cappone, primo solista violista della Filarmonica di Berlino e marito di una sanmartinese. Oltre ad essere un eccezionale violista e insegnante, un uomo semplice ma allo stesso tempo estremamente raffinato, egli è stato per me un vero e proprio mentore; l’ho conosciuto a Berlino, quando lavoravo nell’Orchestra Sinfonica.

 

E cosa è scattato?

Dopo avermi sentito suonare, essendo giovane e desiderosa di imparare, mi ha seguito e indirizzato verso l’Accademia della Filarmonica, nella quale avevo l’opportunità di suonare con l’Orchestra anche sotto la guida del direttore H. von Karajan: ero l’unica donna sul palco e a ripensarci oggi suona alquanto strano …

 

Inizia il cammino della professionista

A Berlino ho fatto otto anni di libera professione, ho suonato sotto la direzione praticamente di tutti i direttori d’orchestra dell’epoca.In questo periodo ho anche conosciuto mio marito, la sua famiglia era di Roma, e mi sono quindi trasferita.

In che periodo eravamo?

Era il 1986, l’anno che oltre al trasferimento in Italia segna l’ inizio della collaborazione con l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di S. Cecilia e con la Scuola Comunale di Viterbo, dove mi hanno offerto un lavoro come insegnante di violino e viola; avendo già da tempo capito che questa professione mi appassionava, ho accettato. La Scuola Comunale di Viterbo all’epoca era una valida alternativa al conservatorio, lontana dal caos della capitale.

Come e quando nasce il suo amore per la musica rivolta ai bambini?

Ho cominciato a suonare la viola a 10 anni, a 12 sono entrata nell’orchestra giovanile da camera di Palo Alto: questa è stata un’esperienza fondamentale per la mia crescita come musicista perché ha suscitato in me quel profondo amore per la musica da camera che sento ancora oggi. Con la maturità sono finita nel conservatorio di Oberlin, in Ohio, dove per la prima volta mi sono imbattuta nel metodo Suzuki, un metodo di studio ideato dal violinista giapponese Shinichi Suzuki, che prevede l’apprendimento di uno strumento musicale attraverso l’ascolto anziché con i tradizionali spartiti … in realtà è molto di più di un  metodo di studio perché coinvolge lo sviluppo della personalità del bambino. È stato a Chicago, quando ho accompagnato dei bambini giapponesi in orchestra, che ho capito il grandissimo potere del metodo; ripensandoci poi, quando all’età di sei anni vivevo in Giappone e di musica ancora non sapevo nulla, mi ricordo che sentivo parlare di Suzuki … chissà, forse era uno scherzo del destino!

La sua  una vita in viaggio attraverso la musica che segna a passo a passo il viaggio della vita

Sì. Dopo la laurea il mio primo lavoro è stato in Venezuela: avevo un contratto con l’orchestra e partecipavo al programma ABRAO, un progetto che aveva come obiettivo quello di levare i ragazzi dai quartieri malfamati delle città e di inserirli in un’orchestra. Fu una cosa rivoluzionaria per molte famiglie perché questi giovani venivano pagati, portavano a casa uno stipendio … laggiù la vita era difficile. Comunque, fu un’esperienza unica nel suo genere e molto formativa; mi ricordo che mi mandarono ad insegnare anche a due ragazzi nel cuore della giungla!!!

Tuttavia, io volevo una carriera sinfonica, ma capivo che in un paese come il Venezuela per una giovane donna non c’erano molte possibilità. La svolta avvenne durante una vacanza in Svizzera, perché mi offrirono un lavoro all’Orchestra Sinfonica di Berlino: senza pensarci due volte, lasciai Caracas e partii alla volta della Germania. Il resto della storia lo conoscete già.

 

Perché un centro musicale per l’infanzia nella città di Viterbo?

Come ho premesso il metodo Suzuki mi aveva affascinato molto. Volevo proporre un progetto basato sul metodo giapponese all’interno della Scuola Comunale, anche perché non c’erano molti strumentisti ad arco; tuttavia, la mentalità di Suzuki non era compatibile con i tempi di un corso regolare del conservatorio perché egli lascia all’allievo la capacità di crescere con le sue tempistiche, il conservatorio prevede delle scadenze.Dopo qualche tempo ho capito che la risposta alla mia idea non era quella che desideravo, soprattutto da parte delle famiglie viterbesi.

 

Il cambio di passo …

Nel 1990 la RAI mi diede la possibilità di presentare il metodo Suzuki in una trasmissione: volevo far vedere al pubblico quanto era rivoluzionario. Tenemmo un concerto al Teatro dell’Unione con la scuola Suzuki di Berlino: lo scambio culturale che si creò sarebbe presto diventato una delle basi fondanti del CeSMI.

 

Come avvenne?

Dopo la trasmissione RAI ho ricevuto la telefonata di Shihomi Kishida, pianista e concertista, che mi ha chiesto di dare delle lezioni ai suoi due bambini. Abbiamo cominciato a lavorare insieme e a raccontarci i sogni; tra una chiacchierata e l’altra, emerse il desiderio comune di trasmettere la passione per la musica ai giovani. Alla fine venne spontanea l’idea di fondare un centro musicale, che in fondo altro non era che un luogo in cui far giocare con la musica la mia bambina e i suoi figli.

Per l’avvio del progetto contattammo Serena Laterza, insegnante di solfeggio e flautista, e Antonio Laviola, insegnante e chitarrista; poco dopo conoscemmo Ann Stupay, una violinista americana che stava facendo a Roma la stessa cosa che stavamo facendo noi a Viterbo, e iniziammo.Dopo non molto tempo Shihomi si ammalò e morì. Fu un duro colpo.

Successivamente abbiamo fondato la sede del CeSMI a Roma, dove tuttora operiamo nel quartiere di San Pietro.

Quanto è importante la musica per la crescita emotiva di un bambino?

Tantissimo. Lo scopo principale del CeSMI è la musica d’insieme, il metodo Suzuki è solo il tramite attraverso cui raggiungere l’obiettivo.Con la creazione di un centro musicale volevo ricreare quelle bellissime emozioni che  ho provato nell’orchestra giovanile nella quale sono cresciuta.

La pandemia come ha cambiato il modo di fare musica?

Nel corso degli anni il CeSMI si è evoluto tanto, siamo abituati al rinnovamento; tuttavia, il contatto fisico rimane essenziale, è l’unico modo di insegnare musica.Con la pandemia ed il distanziamento abbiamo trovato delle modalità alternative per continuare ad esserci nella vita del bambino usando le nuove tecnologie, ma chiaramente è stata un’alternativa possibile, non una scelta.

Quali sono i  vostri progetti prossimi e futuri?

Al momento il CeSMI manca di una sede permanente, una casa, la precedente è vacillante. Siamo in attesa da parte del Comune di Viterbo dell’assegnazione degli spazi promessi, e aspettiamo fiduciosi. Speriamo in un luogo stabile che ci identifichi per il lavoro che stiamo facendo, che sia sentito come  il regno della musica per i piccoli allievi con cui vinciamo concorsi e facciamo tanti bei concerti.

La maggiore soddisfazione?

Aspiriamo a dare una concretezza, una continuità ad un lavoro che vanta quasi trent’anni di esistenza e che richiama un interesse nazionale ed internazionale. Ci piacerebbe portare i nostri ragazzi in tour, viaggiare mettendo in prima linea lo scambio con altre realtà, che è alla base della filosofia del CeSMI. Utile in special modo di questi tempi, in cui di viaggiare per il mondo ancora non se ne parla, e in cui la fondamentale socializzazione infantile – che è bene ricordarlo, passa spesso attraverso il suono – è stata fortemente limitata dalla temporanea chiusura delle scuole.

Cosa la rende più orgogliosa?

Aver creato intorno alla mia passione una piccola comunità locale amante della musica e delle emozioni semplici: tutto questo assume un prezioso valore affettivo. Siamo come una bella famiglia in cui crescere e far crescere i propri figli.

 

Voglio che la mia musica sia suonata nelle generazioni future così da vivere per sempre“.

Una frase del grande Niccolò Paganini al figlio Achille, che ritroviamo estendibile a tutti coloro che la musica la vivono nel proprio talento per farne un privilegio a beneficio delle future generazioni. Così come sta facendo Naomi Barlow con i suoi colleghi al CeSMI.

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