Michele Telari: dalla Tuscia fino alla Cina, passando per gli Stati Uniti d’America

Diego Galli

L’arte del pittore viterbese Michele Telari ha letteralmente attraversato il globo, portando un poco del suo amore per Viterbo in ognuno dei suoi viaggi.
La passione per l’arte del dipingere, come ben dimostra il suo studio pieno di quadri terminati e tele in fase di ultimazione, risulta da subito qualcosa di veramente radicato nell’anima dell’artista. È qualcosa di tangibile e profondo. Come ci spiega il trentasettenne Michele, tra uno sguardo alle sue opere e l’altro, la sua carriera artistica è iniziata molto tempo fa, fin dalle scuole medie: “Il professore di Arte vide in me qualcosa in più rispetto agli altri ragazzi, tanto da farmi iniziare a dipingere a olio – una tecnica vietata a causa dei diluenti tossici – e mi ricordo che all’esame portai proprio quattro quadri così realizzati”.
Fu questo un passo davvero importante, soprattutto se consideriamo il fatto che una ragazza dell’Istituto Magistrale, ai tempi delle elementari, disse a Michele di “non essere per nulla portato per il disegno”. Un’affermazione che oggi fa sorridere l’artista affermato, anche con un poco di nostalgia per quei tempi spensierati.
La prima vera e propria mostra si tenne nel 1994, in una cantina a Vetralla, luogo dove il pittore si iscrisse per la prima volta a un circolo che, di lì a poco, lo portò a esporre le sue opere in vari paesi della Tuscia, ma anche in località più lontane, come Venezia. “I quadri cominciavano a piacere, arrivarono le prime vendite – spiega Michele – Ma a 14-15 anni interessa di più l’ambizione che il fare soldi con il proprio lavoro”.
Nei suoi quadri, già all’epoca, cominciava a prendere sopravvento sul resto la cura dei dettagli, elemento che tuttora garantisce ai Telari un realismo impareggiabile: “Al liceo ci fu un professore, Giuseppe Orlandi, che mi introdusse alla tecnica dell’iperrealismo americano. Già allora la passione per l’America cominciava a farsi strada tra i miei interessi. Inizialmente, però, mi concentrai di più sulla natura: fiori, paesaggi, sottoboschi”. Tuttavia, il vero obiettivo era un altro: essere libero di inventare cose personali e, per farlo, vi era la necessità di padroneggiare liberamente l’iperrealismo. “Senza tecnica per sviluppare una certa idea sarebbe stato impossibile fare quello che avevo in mente”.
Successivamente, ai tempi dell’Accademia delle Belle Arti di Roma, cominciò a emergere anche un certo indipendentismo. L’arte di Michele voleva emergere e lui era già consapevole di saperne più di certi docenti, cosa che lo portò a piccoli scontri, ma anche a farsi riconoscere e apprezzare da molti professori che lo invitarono a lavorare nei loro studi. “Ho sempre fatto di testa mia, chi mi conosce bene lo sa. Ascolto sempre tutti, valuto e poi ragiono con la mia testa”, afferma Michele, sottolineando poi che tutte le sue strade lo han riportato a Viterbo, città di nascita che possiede il suo cuore e che ha dato i natali anche a Pietro Vanni, pittore viterbese che ha sempre suscitato nel più giovane artista molto interesse. “Il mio maestro, però, è e resta Giuseppe Orlandi. Ho sempre visto in lui la mia meta”.
Tornando al presente, oggi la mente di Michele viaggia in molti spazi differenti, ma i suoi quadri continuano a trarre ispirazione dal reale. Come attesta la serie di tele dedicate ai landscape newyorkesi, i grattacieli sono tra i soggetti più amati dal pittore ed è lui stesso a confermarlo: “Il grattacielo mi affascina per la sua imponenza. Oggi sono sempre più alti e stretti e utilizzano una particolare colorazione dei vetri azzurro/violetto che tende a mescolarsi con il cielo per ridurre al minimo l’impatto con il paesaggio”.
Scherzando sul tema, Michele spende anche qualche parola per la Trump Tower, al momento simbolo del potere degli Stati Uniti insieme alla Casa Bianca. Proprio al loro comune inquilino il pittore rivolge alcune delle sue nuove opere. Tra reale e immaginario, Michele vorrebbe infatti dirigere il suo sguardo a soggetti politici e d’impatto sociale. Questo lo rappresentano in particolare due delle sue più recenti realizzazioni. La prima è dedicata all’opinabile scelta del Presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump, di aprire un oleodotto all’interno di una riserva di nativi americani; la seconda, raffigurante una Statua della Libertà intenta a osservare dall’alto di un grattacielo la popolazione, sembra voler far riflettere l’osservatore: “In che direzione sta andando la società?”.
Oltre alla Grande Mela, Michele ha però avuto modo di esportare la sua arte anche nella lontana Cina dove ha potuto collaborare con il governo cinese stesso: “Io e Marcello Carrer, mio amico e collega, siamo stati chiamati per fare i direttori artistici di un cantiere per vetrate artistiche. L’obiettivo del governo era quello di ristrutturare le chiese cristiane andate distrutte negli anni di guerra passati e per farlo ha puntato su noi italiani. Abbiamo realizzato tutta la parte del taglio dei vetri e dei dipinti che ricoprivano completamente la vetrata, dal cielo fino alla terra. In un mese ne abbiamo realizzate quattro”. Alla domanda “Hai mai pensato a una serie di quadri dedicati a questa esperienza cinese?”, Michele risponde con qualche lieve perplessità: “Ho trovato qualche soggetto interessante che potrei realizzare su tela, ma ancora non sono convinto del tutto. Vorrei farne pochi, magari tre o quattro. Qualcosa che raffiguri gli ambienti naturalistici che ho avuto modo di fotografare là”. Tuttavia, nonostante sia stata una magnifica esperienza, Michele ci rivela di aver preferito il panorama statunitense, nonostante New York sia una città colma di concorrenza per un artista. “Viverci sempre sarebbe sicuramente soffocante, ma sarebbe bello poter fare sei mesi lì e sei qui a Viterbo. Ciononostante, New York è una città che ti carica e che ti manca non appena la lasci”.
Guardando al futuro, Michele sta pensando a due differenti serie di quadri, diverse dal suo solito standard “realistico”. L’idea è quella di raffigurare alcuni momenti salienti della storia americana attraverso dei simboli  e un’altra a tema politico (il quadro dedicato agli indiani d’America ne è già un esempio, ndr). “Vorrei entrare di più nella società americana parlando anche di temi attuali. Sto pensando anche a un quadro dedicato alla complessa vicenda tra Nord Corea e Stati Uniti che ora stiamo tutti vivendo. Vorrei raccontare una storia romanzata, osservare con occhi malinconici qualche vicenda passata che abbia lasciato il segno. Ritengo che un artista abbia il dovere morale di raccontare cosa succede, di immortalarlo su una tela. Secondo me il pittore ha l’obbligo di raccontare un qualcosa, indipendentemente dalla sua ideologia politica”.
Oltre a questi sogni nel cassetto, che sicuramente presto saranno realizzati, Michele continua a pensare anche alla sua amata Viterbo. Il suggerimento di dipingere “Viterbo come la vorrei” quasi lo stuzzica, se non altro per dimostrare quanto di più il capoluogo della Tuscia potrebbe esportare e mettere in mostra, ma non è questo il momento, nonostante Michele sia completamente innamorato della città: “Quando sono tornato dalla Cina è stata un’emozione travolgente rivedere l’impalco della Macchina di Santa Rosa. Sono dispiaciuto solo del fatto che l’amministrazione non riesca a valorizzare Viterbo. Spero che le prossime elezioni siano vinte da qualcuno che l’abbia più a cuore”. Quel che è sicuro è che torneremo a sentir parlare di Michele Telari in occasione del prossimo concorso della Macchina di Santa Rosa: “Sicuramente parteciperò e lo farò con Giada, la mia fidanzata. Siamo un coppia molto unita e vorrei poter condividere anche questa cosa con lei. Ha avuto delle belle idee che mi sono piaciute e vorrei aiutarla a metterle in pratica. Coinvolgeremo, ovviamente, anche un architetto e un designer, ma voglio che i nomi degli ideatori siano solo i nostri. Non mi interessa arrivare primo, mi basterebbe anche avere, un giorno a casa nostra, il bozzetto. Un ricordo di quella esperienza insieme”.

 

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