Mario Fabbri , la sua scultura un’arte che rende onore al Grande Torino

di Donatella Agostini

La storia di Mario Fabbri assomiglia un po’ a una sfera su un piano inclinato, che comincia a muoversi lentamente e, acquistando sempre maggiore velocità, raggiunge mete inaspettate. Dietro il ciuffo ribelle di capelli e un sorriso irresistibile da ragazzo, Mario stenta a realizzare dove l’ha portato quella che era nata soltanto come semplice passione. Tarquiniese, proiezionista al Cinema Etrusco, artista scultore del legno e da sempre appassionato tifoso del Torino: domenica 27 gennaio, subito dopo il match vittorioso in casa con l’Inter, Mario Fabbri ha consegnato nelle mani del dirigente granata Antonio Comi un suo bassorilievo in legno raffigurante il mitico Grande Torino. L’opera di Mario Fabbri rimarrà esposta stabilmente presso il Centro Sportivo Filadelfia, luogo di allenamento della prima squadra. E lui ancora non ci crede.
Allora ti racconta volentieri il punto di partenza di quella famosa sfera. «Ho cominciato verso i quattordici anni, con un pezzetto di legno e un coltellino, tanto per ingannare il tempo. Il legno mi è sempre piaciuto». Nient’altro che un hobby con cui riempire le ore lasciate libere dallo studio e poi dal lavoro. Mario pubblica volentieri le foto delle sue creazioni sui social, così accade che alla fine del 2017 lo contatta un signore di Bologna. «Lui ha un’azienda che produce putters in legno, mazze per il golf, veri gioiellini del made in Italy, e espone in tutti i maggiori tornei di golf internazionali: Dubai, Parigi, Helsinki… Mi ha proposto di abbellire il suo stand itinerante con le mie statue a tema golf. Una grande opportunità: ho cominciato ad acquisire visibilità in tutto il mondo. Da lì ho capito che qualcuno si stava accorgendo di me». Quello che rende speciale Mario nel settore è il fatto di realizzare quasi esclusivamente opere a tema sportivo. Perché lo sport, Mario? «Forse perché io non sono esattamente un tipo atletico. E fino a quattro anni fa pesavo cento chili. Ho giocato a calcio, come tutti i ragazzi italiani, ma niente di più. Ho pensato, non vincerò mai una coppa, un trofeo… allora me li faccio da solo! Dove non arrivo con il fisico, arrivo con la fantasia». Ed ecco uscire dalle mani di Mario raffigurazioni stilizzate di atleti e di gesti sportivi, espressioni e movimenti eternati nella calda sostanza del legno. Pallavolo, motociclismo, atletica leggera, karate: ogni sport accende il suo estro e la sua fantasia. Un talento innato, visto che Fabbri non ha frequentato accademie o scuole d’arte, ma che comunque è ben presente nel suo DNA: lo zio Franco Mauro Franchi è un artista di fama internazionale, che insegna scultura all’Accademia di Belle Arti di Massa Carrara. «Lui sì che è un vero artista», si schermisce. «Ha saputo di me soltanto di recente. E mi ha fatto i complimenti, dice che le mie statue sono ben strutturate. Però ha anche aggiunto di continuare a fare il mio lavoro, perché con l’arte non si mangia!». Ride. «Ma tanto, questo è e deve rimanere il mio hobby. Non riesco e non voglio immaginarlo come un lavoro». La scorsa estate, Mario realizza un bassorilievo per Bebe Vio. La raffigura in pedana, nell’atto di volersi alzare da quella carrozzina da cui mena micidiali stoccate di fioretto. Bebe, e il suo urlo da leonessa vittoriosa in faccia alla sorte. Mario le regala la sua scultura in occasione della coppa del Mondo, a Pisa. E Bebe lo contraccambia con un sorriso che vale quanto un primo premio. Ma la sfera dell’inizio della nostra storia sta rotolando sempre più velocemente. Ecco che arriviamo al grande Toro, amore incondizionato di Mario. «Sono nato a Torino, mio padre è di Moncalieri. Abitavamo di fronte alla Fiat Mirafiori. Ho fatto le elementari lì, poi ci siamo trasferiti a Tarquinia, paese natale di mia madre, dove già venivamo durante le stagioni estive. Non vedevo l’ora». Il Torino è una delle “squadre del cuore” degli italiani, una squadra che si ama indipendentemente dal proprio tifo sportivo. Forse per il tragico incidente aereo di Superga del maggio 1949, in cui perì l’intera squadra all’apice del trionfo sportivo, un evento che lasciò sgomento l’intero Paese. Forse perché il Grande Torino è l’emblema di un calcio che oggi si fatica a ritrovare, fatto di sacrificio, abnegazione, valori umani. Un calcio di cui era simbolo Valentino Mazzola, il capitano della squadra, morto anche lui a Superga. Mario Fabbri sa che un vero tifoso granata tiene sempre presente il passato glorioso della squadra. Ed è questo lo spirito che permea la sua opera: un bassorilievo in morbido legno di paulonia che raffigura la squadra al completo. L’ultima immagine felice prima della tragedia. Sullo sfondo, la basilica di Superga e la Mole. E nel cielo l’unico punto di colore, la farfalla granata di Gigi Meroni, indimenticato centrocampista granata morto qualche tempo dopo, anche lui in circostanze tragiche. All’inizio, è un’opera che Fabbri pensa di tenere per sé. Ma poi matura l’idea di regalarla alla sua squadra. Mario riesce a comunicare la sua intenzione alla società granata, che accetta di buon grado. «Il 6 novembre, il giorno del mio compleanno, mi arriva la mail del Torino. “Il Filadelfia è onorato di ricevere la sua opera. Scelga una partita, sarà nostro ospite. La consegna avverrà al centro del campo”. Non credevo che stesse capitando a me». Perché hai scelto proprio la partita di ieri? «In parte, perché non riuscivo a resistere oltre. Ma poi il 26 gennaio Mazzola avrebbe compiuto cento anni. E il 27 gennaio è il giorno in cui si celebra la memoria. Curiosi, gli incastri del destino. È stata una emozione grandissima, irripetibile. Qualche mese fa mi ero detto “voglio esporre al Filadelfia”. L’avevo sparata grossa. È andata anche meglio, la mia opera vi rimarrà esposta stabilmente. Devo stare attento a quello che desidero, ha la tendenza ad avverarsi!», aggiunge ridendo. Poi Fabbri si fa pensieroso. «Gli ultimi tempi non sono stati facili per me. La mia sofferenza personale c’entra molto con MF Sculture. L’ho riversata tutta lì. Mi ha aiutato a non pensare, tirandomi fuori dal tunnel». Mario ha tanti progetti per il futuro, che lui definisce “esagerati”. Visti i risultati, non possiamo che aspettarci nuove belle sorprese da questo artista, che porta il nome della Tuscia ben oltre i confini della nostra provincia. La sfera è ben lontana dal fermarsi. «Quando la scorsa estate ho fatto la mia prima mostra personale qui a Tarquinia, l’ho chiamata “Non sempre al quarto posto”. Nello sport il quarto posto vince la medaglia di legno. Ma con il legno si possono vincere anche primi premi».
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