Marco Scataglini fotografa l’anima della Tuscia

di Francesca Pontani

«Io sono un fotografo paesaggista. A me piace raccontare i luoghi, e i luoghi sono fatti di insiemi e di dettagli e io mi dedico ad entrambi. La Tuscia non è una terra in cui puoi fare i panorami, salvo poche eccezioni, hai sempre lo sguardo molto ristretto e a me questa è una cosa che piace molto: sei nella forra e quello che vedi sono le pareti, la vegetazione, l’acqua che scorre. Quindi è già di per sé un paesaggio minimo, stretto, un paesaggio intimo».

Per presentare Marco Scataglini fotografo, artista, non ci sono migliori parole che le sue stesse parole. Quelle del fotografo arrivato a Tuscania dieci anni fa dove tutt’ora vive.
Quelle dell’ artista che riesce sempre a cogliere l’intimità e l’anima degli speciali e unici luoghi della Tuscia:

«Quei luoghi in cui ci arrivi camminando, facendo un percorso: già con quello inizi ad immergerti in questa atmosfera e dimensione.
Per me fotografia e cammino sono due sinonimi. Io non riesco fotografare se non cammino
».

Lo abbiamo incontrato abbiamo chiaramente parlato di fotografia, di bellezza della Tuscia, della sua scelta di viverci. Ci ha fatto capire in quali splendidi posti abitiamo.

Come è iniziato il suo rapporto con la Tuscia?
Io vengo da Anzio ed essendo un amante della natura e delle escursioni sono andato sempre verso i Monti Lepini. Poi una volta mi è capitato tra le mani un libro che aveva fatto Legambiente di Civita Castellana sulla via Amerina. In quell’occasione facemmo un’escursione e rimasi molto colpito dalle atmosfere così diverse da quelle che già conoscevo dei Monti Lepini, Ausoni, Aurunci. Possiamo dire che il paesaggio è come fosse al negativo: lì sali e qui in Tuscia scendi per forre e vie cave. E’ da questo momento che ho iniziato a frequentare regolarmente la Tuscia. Questo negli anni ’90. Poi circa 10 anni fa cercavo un luogo nuovo per abitare, io abitavo a Pomezia, e siccome degli amici si erano trasferiti a Tuscania, andandoli a trovare c’è stato il colpo di fulmine con questa cittadina, ed è così che io e mia moglie abbiamo deciso di spostarci ad abitare qui.

La Tuscia ha rappresentato un nuovo inizio nella sua vita
Sì. Il trasferimento nella Tuscia è stato un cambio di vita completo, sia professionale che di stile di vita: prima sempre di corsa in giro per il mondo, poi più stanziale, nella Tuscia, seguendo un ritmo lento. Io ho lavorato per più di 10 anni come fotografo per le riviste di viaggi di turismo come Gente viaggi, Viaggi di Repubblica, ecc. e il trasferimento è coinciso con la fine di questa attività. Perché le riviste hanno iniziato a chiudere soprattutto con la crisi economica globale del 2008 accompagnata dalla diffusione di internet che ha messo fuori gioco le riviste di viaggi, le persone preferivano andare su internet e così le redazioni hanno inevitabilmente iniziato a chiudere. E’ a quel punto che ho deciso di rimettermi in gioco seguendo un’altra prospettiva di attività fotografica e professionale, mi sono reinventato da capo.

Cosa di questo territorio lo ha colpito di più?
La parte più misteriosa, selvaggia, isolata in cui non ci va nessuno. Il fatto di poter trovare dei posti in cui ancora pochi vanno. La Tuscia è una terra che se tu la vedi dai pochi rilievi montuosi presenti, tipo il Soratte, sembra una sorta di piana coltivata con gli uliveti, noccioleti, boschetti, quindi sembrerebbe una zona più o meno pianeggiante: e invece è ricchissima di questi spazi in negativo, sotterranei, le forre e le vie cave che non si vedono ma li devi scoprire tu. E quindi è un territorio misterioso per definizione. Nel senso che se tu non lo esplori passo passo non vedi nulla, se non ti addentri nel suo territorio ne perdi la gran parte: quella più affascinante e coinvolgente

Probabilmente lei ne conosce ogni angolo segreto, più di chi ci è nato
Decisamente sì. In questi ultimi 10 anni ho battuto palmo a palmo la Tuscia e mi vanto di essere uno dei suo massimi conoscitori. Ed è anche su questo che ho iniziato ad impostare la mia attività professionale. Infatti da un lato faccio corsi di fotografia, scrivo libri di fotografia e poi c’è la mia attività strettamente fotografica che si concentra sul rappresentare il territorio della Tuscia. Sto completando tutta una serie di progetti fotografici infatti.
In corso c’è l’esposizione delle mie foto a Soriano nel Cimino (fino il 28 luglio) nella manifestazione “SorianoImmagine2019”.

Una mostra che ricalca un progetto sempre sulla Tuscia?
Vi ho esposto foto tratte dal mio progetto sulla Tuscia: il passato ambientato nella Tuscia. Simboli di cose legate al passato. Il progetto è tutto in analogico, su pellicola e con stenopeico, non digitale. Quindi tutte foto che hanno richiesto tempi molto lunghi di esposizione, anche di un’ora. Un progetto con più di 5000 negativi, un progetto durato 5 anni.
Il tema del festival di Soriano è “il tempo” ma io non ho utilizzato né il Fototempismo ideato dal mio amico Enzo Trifolelli né l’ICM (intentional camera movement): le mie foto fanno riferimento al passato perché sono tutte scattate con fotocamere vintage anni ’20 e ’30 su pellicola e quindi il tempo è espresso in questo senso. E poi tempi di esposizione di diversi secondi. Questo è il mio modo di lavorare. I luoghi da me fotografati sono stati luoghi molto bui che quindi hanno richiesto tempi lunghi: vie cave, ipogei, ambienti chiusi.
Questo era proprio lo scopo del mio progetto: utilizzare tempi lenti, la slow photography, la fotografia lenta. Secondo me il modo per rappresentare al meglio l’anima della Tuscia.
Perché la Tuscia è una terra lenta: per godertela devi avere tempo. Devi trascorrere del tempo (lento) dentro di lei.

Uomo, natura, tracce di civiltà antiche: sono gli elementi basilari nella sua ricerca fotografica?
Sì, le tracce dell’uomo, i luoghi dell’abbandono, l’uomo e la natura.
Le forre per esempio sono una caratteristica di questo nostro territorio, la Tuscia ne ha tante. Secondo me gli Etruschi si sono ispirati alle forre per creare le loro vie cave: hanno visto queste formazioni naturali per lo scorrere delle acque e ne hanno tratto spunto. Questo dialogo tra uomo e natura a me affascina molto. Perché l’uomo ha dato l’input e poi la natura ha continuato l’opera, e anche viceversa. In alcuni casi in modo molto spettacolare, ci sono gallerie veramente enormi. E il fascino è legato anche al fatto che sono tutti luoghi che ti devi conquistare. Non sono facilmente raggiungibili, devi scoprire come arrivarci.

Conoscere la Tuscia e la Maremma” è un gruppo da lei creato appositamente sui social
Sì ho creato questo gruppo e a un certo punto sono sorte delle polemiche e una sorta di scissione [sorridendo] tra chi come me sostiene che i luoghi non vanno divulgati e chi sostiene il contrario. Che poi non è esattamente così. Diciamo che non vanno divulgati i luoghi che sono delicati. Nel senso che secondo me dire come si raggiunge un certo luogo prima di tutto espone la persona a cui spieghi come arrivare a dei rischi, ci si può fare seriamente male, perché sono luoghi non attrezzati, in cui è spesso pericoloso andare, e secondo perché poi purtroppo su mille persone interessate ci sono due che fanno il danno, e purtroppo nella Tuscia di casi così ce ne sono stati parecchi, alcuni anche molto gravi.

Un allargamento della loro conoscenza può mettere a rischio l’eccezionalità dei luoghi?
Sono due aspetti contemporanei. Nel senso che nella Tuscia ci sono centinaia di luoghi e tra questi ce ne sono tantissimi che sono divulgabili e non c’è nessun problema a farli conoscere. Io quello a cui faccio riferimento sono quei luoghi che si difendono da soli, perché pochi sanno come arrivarci.
C’erano dei luoghi in cui dopo aver detto come arrivare hanno iniziato a essere sempre più frequentati, addirittura da gruppi. Dopodiché due sono le cose che succedono: o i proprietari chiudono tutto e sprangano perché non gli piace di vedere la gente e quindi tu non sei più libero di andarci e non puoi più sapere cosa succede a quel luogo o peggio apre la strada a chi va a fare atti vandalici.
Tutto è lasciato alla sensibilità e all’intelligenza delle persone. Poi ci sono dei luoghi che proprio perché sono stati danneggiati dai vandali potrebbero essere conosciuti sia per proteggerli che per far vedere quale è la realtà: però c’è sempre il discorso della pericolosità. Un esempio al riguardo è l’eremo di San Selmo a Civita Castellana che è stato brutalmente vandalizzato: chi andava lì scalpellava pezzetti di affresco. Oggi non c’è più nulla. Ora lì sarebbe bene che le persone ci andassero per rendersi conto del danno fatto. Però è un luogo in cui ci sono state delle frane importanti ed è molto pericoloso, purtroppo.

In sintesi quello messo in luce nelle sue foto è dialogo tra uomo e natura ?
Sì mi piace questo dialogo costante tra l’opera dell’uomo e quella della natura che è una caratteristica inevitabile della Tuscia: perché qui da migliaia di anni è proprio questo dialogo che ha creato l’unicità della Tuscia. Un dialogo che arricchisce entrambi.
La Tuscia è infatti caratterizzata da quella flora e fauna ipogea grazie al fatto che gli Etruschi hanno scavato e creato queste strutture sotterranee come cunicoli, gallerie, vie cave. Quindi tutta questa ricchezza naturalistica è legata a questi luoghi abbandonati che sono di fatto delle grotte. C’è poi la flora e fauna dei ruderi. Uomo e natura non sono mai disgiunti. Se tu fotografi una felce che cresce sul tufo non è qualcosa di diverso dalla tomba etrusca: sono due cose che vivono insieme e quindi sono parte dello stesso contesto.

I “luoghi abbandonati” della Tuscia per lei è una tematica ricorrente. Quali spunti la sollecitano?

E’ da diversi anni che inseguo questo discorso. A me piacciono le storie. Io non fotografo persone, non faccio ritratti fotografici, non mi interessa. Però fotografo l’uomo, nel senso dell’essere umano, io sono interessato ai segni che l’uomo lascia sul territorio. I ruderi per me rappresentano l’idea che è possibile la convivenza, ci insegnano che prima si costruiva in un modo tale che era possibile un’armonia tra natura e uomo. Tanto più che, abbandonati, questi luoghi tornano ad essere natura al cento per cento: il rudere per me è il simbolo di una possibile convivenza tra uomo e natura, tra uomo e ambiente. Poi mi piacciono le storie, e quando sono in questi luoghi inizio ad immaginare le persone che lì abitavano o lavoravano come dentro i castelli con le persone che rimanevano lì giorni e giorni a vigilare il territorio: questi luoghi parlano, se li si ascolta. Io fotografo il luogo cercando di mostrare la storia che esso mi narra.
I luoghi abbandonati emanano e raccontano tutto questo: un’aura, il genius loci.

Ci incuriosisce sapere della fotografia stenopeica...
Io vengo da un’attività come quella del fotografo di viaggio in cui era sempre tutto di corsa. E’ così che ho cercato tutte quelle tecniche che mi consentivano di rallentare. E la fotografia stenopeica è per definizione slow, a volte con esposizione anche di 2 ore: metti la fotocamera e ti vai fare un giro, vai a vedere altri luoghi. E questa lentezza a me affascina molto. Anche perché nel frattempo succedono cose. Nella foto tu non lo vedi ma tutto questo è avvenuto. Quello che mi affascina è l’idea che nella foto c’è molto di più di quello che tu ci vedi.
Non c’è più solo una frazione di tempo, ma è qualcosa di abbastanza lungo per cui effettivamente ha partecipato a quell’eternità: una momentanea eternità.
Che poi è il titolo del mio progetto editoriale in uscita ad ottobre (“Una momentanea eternità. Viaggio analogico in una terra straniera”).

Quale è la differenza tra il fotografo e la persona che fotografa?
La differenza è immensa. Perché oggi si dice che tutti sono fotografi ma non è assolutamente vero. E’ un fatto di consapevolezza. Il fotografo non è colui che scatta una foto. Il fotografo è quello che racconta e che esprime se stesso attraverso una fotografia, e lo fa in maniera consapevole. Per il fotografo ogni fotografia è una sorta di autoscatto, di autoritratto, anche quando fotografa altro. Per quanto riguarda il paesaggio, il fotografo non si limita a riprodurre più o meno bene una realtà, ma cerca di raccontare quello che per lui quel paesaggio rappresenta.


Spesso utilizza la fotografia analogica
….
Utilizzo sia analogico che digitale, però l’analogico mi piace perché esprime al meglio quella lentezza di cui dicevo prima. La tecnologia analogica è facile da capire, è comprensibile, è anche una rivolta contro l’eccesso di tecnologia che ci opprime. La fotografia analogica è comprensibile, gestibile, manipolabile dal rullino allo sviluppo nella camera oscura. Sono tutti passaggi comprensibili. Invece nella fotografia digitale metti la scheda nel pc, elabori con un software, lo usi ma spesso non lo comprendi.
L’analogico è umido, il digitale è secco. Ogni tipologia esprime al meglio quello che noi guardiamo e vediamo della nostra realtà.

Quale ritiene essere il suo scatto più rappresentativo della Tuscia?
E’ difficile sceglierne una, perché ne ho parecchie che per me rappresentano questo territorio. Però posso rispondere con quella che ho messo sulla copertina del mio libro: la torre di San Silvestro a Civita Castellana. Non ha niente di particolare, però questa torre mi affascina perché se la guardi orizzontalmente sembra il muso di un lupo, quindi c’è qualcosa di selvaggio, e poi mi piace perché è una torre costruita su un insediamento preistorico. Quindi una continuità di vita nei secoli; poi c’è sotto un colombario, e nella forra che si trova sotto c’è un ponte medievale, e poi soprattutto è un luogo in cui è difficile arrivare.
Mi piacciono i luoghi con vari strati storici: la bellezza dei luoghi è anche questo.

E la foto del luogo che considera il più bello?
È difficile, farei fatica a dirti quale. Ci sono luoghi che colpiscono in modo particolare per diversi motivi. Dal punto di vista naturalistico per es. la forra dell’Infernaccio, per l’aspetto archeologico è chiaro che le vie cave sono spettacolari. Siamo fortunati qui in Tuscia ad avere davvero tanti luoghi unici e belli.

I suoi progetti prossimi, futuri?
Molti progetti di cui per ora non mi sento di parlare, però a ottobre uscirà il mio libro “Una momentanea eternità” e a parte qualche presentazione al chiuso la mia idea è quella di presentarlo all’aperto, nell’ambiente naturale, con delle uscite in luoghi significativi presenti nel libro e lì illustrare il progetto e far vedere anche il luogo.

Contatti di Marco Scataglini

Blog
http://www.marcoscataglini.com/
https://locusinfabula.eu/
https://www.kelidon.eu

Social
https://www.facebook.com/fotografiairregolare/
https://www.instagram.com/altra_fotografia/
https://www.facebook.com/groups/scopritusciaemaremma/

ph Marco Scataglini

COMMENTA SU FACEBOOK

CONDIVIDI