L’augurio intimo di Rosella Lisoni, buon compleanno Pier Paolo

di Rosella Lisoni

Pier Paolo Pasolini alla Torre di Chia
Buon compleanno Pier Paolo

Mi chiamo Pier Paolo, Pier Paolo Pasolini, oggi compio centouno anni.

E’ terminato da poco il centenario della mia nascita. Numerosi eventi, convegni, interviste, saggi, incontri si sono avvicendati e, sinceramente, mi sono meravigliato non poco.
Improvvisamente sono stato celebrato e osannato da molti, mentre da vivo ero tenuto all’angolo e osteggiato da tutti.
Nasco a Bologna, dove mi laureo in Lettere con una tesi sulla poesia di Giovanni Pascoli, poeta da me molto amato
Mia madre: Susanna Colussi è una maestra elementare, mio padre: Carlo Alberto Pasolini dall’Onda, di nobile lignaggio, per necessità abbraccia la carriera militare.
Adoro l’una a e detesto l’altro.
Grazie a mia madre, alla sua sensibilità e bontà d’animo, divento poeta, la rabbia verso mio padre e l’odio nutrito nei suoi confronti li indirizzerò verso il Potere, le Istituzioni e la Politica.
Nel 1942 scappo con mia madre e mio fratello Guido dalla guerra e mi rifugio a Casarsa della Delizia in Friuli, paese materno, “luogo del cuore”, amato per tutta la vita.
Lì insegno, creo “L’Academiuta de lenga furlana”, scopro la mia omosessualità e apprendo la notizia dell’uccisione di mio fratello Guido partigiano, ucciso per mano di altri partigiani.
Studio la musica, la lingua e la letteratura greca. Le amerò follemente entrambi.
Il 28 gennaio del 1950 ahimè scappo dal quell’ Eden insieme a mia madre, subendo la mia prima denuncia “per atti osceni in luogo pubblico e corruzione di minori”, lasciando mia padre solo sempre più in preda all’ira e alla follia.
Approdo a Roma dove io e la mia adorata mamma viviamo nell’indigenza totale.
Insegno in una scuola media a Ciampino per ventisette mila lire al mese. Conosco persone importanti, scrittori, poeti, registi e scrivo: scrivo libri, poesie, articoli, pièce.
 Resterò però sempre un poeta.
La scrittura mi salva, mi salverà sempre dagli orrori della vita.
Arriva la fama, il successo, la gloria, ma ahimè con essa non tardano ad arrivare le denucia e i processi, ne subisco trentatré, un calvario, ad alcuni non mi presento neanche.
Credo di dovere anche a loro il mio talento, senza tutto il dolore patito non sarei diventato il Pasolini che sono diventato.
Negli anni Sessanta mi innamoro del cinema, un’antica passione, e dirigo più di venti di venti film, alcuni dei quali reputati dei veri capolavori, ne cito uno soltanto: ll Vangelo secondo Matteo.
La mia fede marxista non mi impedisce di inseguire tutta la vita il sentimento del sacro, sacro che ritrovo nei corpi e nei luoghi, nella musica, nel calcio.
Sul finire della mia vita scopro la Tuscia, terra di luce e di paesaggi incanti, vivo lì “nella Torre di Viterbo, nel posto più bello del mondo” gli ultimi cinque anni della mia vita: dal 1970 al 1975.
Sono attraversato da infinite contraddizioni: sono timido ma anche un divo, sono un marxista ma rincorro il sacro, sono dolce e sensibile ma anche spietato, odio la televisone ma vengo spesso intervistato, detesto le avanguardie, ma compio un’opera di revisione linguistica.
Insomma ho tutti i tratti dell’uomo moderno, con i suoi drammi e i suoi tormenti, le sue cadute e i suoi successi, le sue contraddizioni e le sue umane passioni.
Vivo tutti gli eccessi, sono animato da una “disperata vitalità”, sono l’ultmo poeta decadente della letteratura italiana, il poeta maledetto.
Odio al borghesia, non la considero una classe sociale, ma una vera e propria malattia.
Viaggio molto, giungo in Africa, in India, in America, in Oriente, ma mai da turista.
Mi considero un cittadino del mondo, ho sempre vissuto in un altrove, sebbene con l’Italia nel cuore. Sono un intellettual in cammino, mai asservito al potere, ma sempre la voce contro.
La mia vocazione all’insegnamento la conserverò per tutta la vita, all’inizio della mia attività lavorativa insegnerò ai giovani, in seguito all’Italia intera.
La mia sete di verità e di giustizia non si placheranno mai e pagherò tutto a caro prezzo.
Finisco spesso nei guai per amore di verità, sono un uomo libero, il coraggio della libertà è la mia più grande dote.
Non sarò mai un classico, non voglio esserlo, ma penso di aver fatto la mia parte nel mondo, di aver “gettato il mio corpo nella lotta”,  come fece in fondo il Cristo del mio film.
Ho amato gli ultimi, i diseradeti, i dimenticati e ho cercato di dar loro dignità.
Lascio molti scritti, molte tracce di me, una produzione infinita: Poesie a CasarsaRagazzi di vitaCalderon, La Divina MimesisGli Scritti corsariAccattone e  molto altro ancora.
La scrittura mi è utile per ri-creare il mondo, l’attenzione alla forma letteraria altro non è che attenzione alla forma di vita.
Per tutta vita cercherò una nuova forma letteraria, uso il “linguaggio indiretto libero”, che fu di Dante, di Flaubert, di Verga di Pirandello.
Nel mio ultimo romanzo-allegoria Petrolio, opera incompiuta, sperimento un nuovo linguaggio.
La ricerca di una nuova forma letteraria in fondo in me altro non è che la ricerca di una nuova forma di vita.
Volevo cambiare il mondo, sognavo un mondo migliore, non mi accontentavo di vivere in un mondo che sentivo corrotto e a me estraneo, in una società ostile.
Patisco ogni giorno l’erosione del sacro per mano della classe borghese e vivo in un mondo privo perfino della sua dimensine sacra.
Mi muovo sempre “tra carne e cielo” ancorato alla terra con uno sguardo rivolto alle nuvole.
Sono un visionario, un visonario tra le stelle.
Non ho fatto in tempo però a realizzare tutti i mie progetti, sono stato fermano da mani assassine, ma la mia voce non è cessata, la mia luce non si è spenta, come recitava Oriana, vi parlo ancora, ascoltatemi vi prego e soprattutto non dimenticatemi.
Foto: Pier Paolo Pasolini alla Torre di Chia, Viterbo, 1974, foto di Gideon Bachmann © Archivio Cinemazero Images, Pordenone
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