L’arte di Carmine Leta tra fil di ferro e l’ex carcere di Montefiascone

Paola Maruzzi

C’è una Tuscia underground popolata da creativi di cui (forse) conosciamo ben poco. Quasi mai sono nativi del posto, molto spesso sono in fuga da Roma, dove hanno vissuto e fatto esperienza. E allora succede che in vecchi casolari di campagna o davanti a fondali fermi nel tempo, come il lago di Bolsena o Civita di Bagnoregio, nascano inaspettatamente nuove proposte per il territorio.
In questo “sottobosco” di menti e progetti, troviamo fertili realtà come Arte Libera Tutti, il collettivo che ha fatto dell’ex carcere di Montefiascone un teatro atipico d’arte contemporanea, istituendo ben sette mostre collettive, le ultime due curate dall’antropologo e curatore indipendente Giorgio de Finis, ideatore del MAAM, Museo dell’Altro e dell’Altrove – Space Metropoliz, e oggi direttore artistico del nuovo progetto Macro Asilo del Museo Macro di Roma.
Carmine Leta, artista di origini calabresi, è tra i più attivi promotori della manifestazione.
Lo incontriamo nel suo studio, sull’Orvietana, a pochi chilometri da Montefiascone, dove da diversi anni produce un linguaggio a metà strada tra tra figurativo e concettuale, tra ricicling e optical art, ispirato a Calder e Raetz, ma con profondi legami anche con la street art e la performance.
Ci accoglie con attrezzi da lavoro e grembiule in cuoio, di quelli da fabbro. “Sono giornate intense perché sto ultimando la scultura che verrà esposta alla Serpara di Civitella D’Agliano (è tra le tre le ultime firme selezionate da Paul Widmer, ne abbiamo parlato qui, ndr). Si tratta di una gigante impronta digitale tratteggiata con il ferro, un materiale che per me ha tante cose da dire”, racconta.
Con il fil di ferro Leta disegna linee e superfici minimaliste che si lasciano attraversare dallo sguardo. “Il vuoto crea un volume inesistente– spiega – e coinvolge attivamente lo spettatore che è chiamato a ricostruirne mentalmente la forma”.
“Appesa al filo” è anche il nome dell’installazione realizzata per il MAAM di Roma, un incrocio di profili evanescenti che, insieme, formano una sorta di globo terrestre.
“Spesso utilizzo pezzi di scarto, per esempio da un groviglio di ferro recuperato da una vigna abbandonata ho realizzato un fauno”.
Nella sua ricerca, il punto di partenza è sempre l’esistente: Leta incontra oggetti e forme del quotidiano (i peli della barba, la ruggine su una lastra di marmo, le bucce di banana) e li ricodifica, attribuendo nuovi significati per installazioni e videoclip.
Prima di trasferirsi a Montefiascone, Carmine vive a Bolsena con l’amico musicista Piero Crucitti, un periodo che coincide con l’ideazione di una territorialità parlante, quasi “oracolare”: nascono così le imagografie, termine coniato da lui e con cui intende la possibilità di creare parole utilizzando frammenti di paesaggio o di bellezze artistiche, prima fotografati singolarmente e poi assemblati. Il progetto diventa mostra itinerante e attraversa fra i molti comuni anche Narni, Acquapendente, Tuscania, Orte, Orvieto e Spoleto. “Portavo nelle piazze le mie imagografie, cercando di interagire con i curiosi che si fermavano ad osservare”.
Chiaro, anche in questo caso, il riferimento alla street art. E infatti scopriamo che Carmine Leta è oggi uno degli assistenti di Paolo Buggiani, il grande interprete della “disobbedienza” in arte, celebrato soprattutto all’estero. “Ho incontrato Buggiani durante il mio periodo romano. Dopo l’università a Torino e un anno a Stoccolma, nella Capitale sono entrato in contatto con diversi artisti. Qui ho trovato il mio primo studio all’interno dell’Anonima Macchinette. Devo molto a Buggiani, lo considero il mio maestro”.
Dalla prima personale autofinanziata, nei primi anni 2000, presso la Casa di Cultura di Cosenza, l’elenco delle mostre e partecipazioni collettive di Leta si è arricchito e consolidato, senza mai abbandonare quel senso precario che accompagna lo status dell’artista contemporaneo. “Essere artista significa attraversare anche momenti di disperazione”.
Ma ora il pensiero va ai progetti futuri che prenderanno piede a Reggio Calabria e a Berlino. Bypassata l’edizione 2018, in cantiere c’è anche la collettiva 2019 organizzata da Arte Libera Tutti all’ex carcere di Montefiascone: “Si chiamerà Scripta Volant. L’idea del curatore de Finis è riportare alla luce i moniti originali che si leggevano sui muri, come ‘Proibito bestemmiare’ o ‘Vietato sputare per terra’. Dopodiché verranno coinvolti trenta artisti che aggiungeranno altre parole. Sarà una grande babele di scritte, sarà come tatuare di parole l’architettura carceraria, mentre le quindici celle saranno gli spazi espositivi per opere connesse alla parola scritta”.
Un progetto ambizioso di cui sentiremo parlare.

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