Il Prof. Steingräber: un etrusco-bavarese nella amata Tuscia

di Francesca Pontani

Il Prof. Stephan Steingräber è uno dei massimi esperti e studiosi dell’Etruria rupestre nel campo dell’urbanistica etrusca, della topografia e dell’architettura funeraria rupestre dell’Etruria meridionale interna e della pittura funeraria etrusca e dell’Italia meridionale.

L’Etruria rupestre: questo distretto culturale e territoriale della Tuscia viterbese così ricco di fascino e di storia antica.

Il Prof. Steingräber è autore di numerose pubblicazioni su riviste scientifiche di settore e di numerosi libri, quale l’ultimo di stampa “Monumenti rupestri etrusco-romani nel territorio dell’Etruria meridionale” (2016), e poi il libro sulla necropoli di San Giuliano e sul Museo di Barbarano Romano “La necropoli etrusca di San Giuliano e il Museo delle necropoli rupestri di Barbarano Romano” (2009). L’elenco delle pubblicazioni del Prof. Steingräber potrebbe continuare per pagine e pagine però mi piace ricordare anche il recente volume in lingua tedesca “Antike Felsgräber. Unter besonderer Berücksichtigung der etruskischen Felsgräbernekropolen (2015)” molto bello per le immagini e le foto e che mette in parallelo l’Etruria rupestre con l’architettura rupestre in altre zone intorno al Mediterraneo come a  Petra e nella Licia.

Professore di Etruscologia e Antichità italiche presso l’Università di Roma Tre sin dal 2006 e Direttore scientifico per 10 anni (dal 2007 al 2017) del Museo Archeologico delle Necropoli rupestri a Barbarano Romano (VT) il Prof. Steingräber così si presenta:

«Ogni tanto mi chiedono se mi sento più tedesco o italiano e allora rispondo che mi sento Etrusco-Bavarese, perché sono cresciuto in Baviera, tra Monaco e Norimberga, e poi in Italia mi sono occupato principalmente degli Etruschi. Tramite i miei genitori ho scoperto l’archeologia e la storia dell’arte in Italia, già da bambino».

«E’ stato Giovanni Colonna che da giovane ispettore della Soprintendenza nel ’72 fece una conferenza sulle nuove scoperte nell’Etruria rupestre all’Istituto Italiano di Cultura a Monaco, e in questa occasione l’ho conosciuto e mi consigliò di studiare all’Università di Colonia e un anno anche a Roma alla Sapienza con Massimo Pallottino. E così ho fatto».

 

Il suo rapporto con la Tuscia come inizia?

Con la Tuscia nell’autunno del ’73, con l’Italia e con Roma già nel ’53, quando mio padre era borsista storico dell’arte e quindi anche io con mia madre abbiamo passato alcuni mesi in Italia.

Con la Tuscia qualche mese prima di iniziare il mio anno accademico alla Sapienza con Pallottino; questa zona della Tuscia ancora non la conoscevo quindi ho iniziato ascoprire San Giuliano e Barbarano Romano: è così che poi ho iniziato a visitare le necropoli e alcuni piccoli musei che c’erano già all’epoca. Questa zona mi colpì molto perchéera diversa dalle zone che avevo conosciuto fino a quel momento con i miei genitori, come Ostia antica, Tivoli ei Castelli Romani. Anche fra i romani stessi questa parte della Tuscia era allora poco frequentata.

In ambito accademico l’Etruria rupestre era conosciuta?

In ambito etruscologico era un settore di ricerca che certamente interessava ed era conosciuto però soprattutto solo tramite libri e non per ricerche fatte sul campo. Poi in ambito topografico c’erano già gli studi della coppia Quilici [ndr. Lorenzo Quilici, Stefania Quilici Gigli] che conoscevano molto bene la Tuscia. Però a livello accademico non c’è mai stata una grande presenza attraverso scavi o ricognizioni, sono stati soprattutto gli svedesi con re Gustavo di Svezia e poi soprattutto i coniugi Colonna che fin dagli anni ’60 si sono interessati concretamente dello studio sul campo dell’Etruria rupestre, in particolare a Castel d’Asso e Norchia, con Elena Colonna Di Paolo in particolare che ha curato il volume “Necropoli rupestri del viterbese” di carattere divulgativo uscito nel ’78, molto ben illustrato. Penso che possiamo considerare questa pubblicazione una miccia che ha riacceso l’interesse per questi luoghi, anchea livello più ampio di pubblico. Poi c’è il contributo scientifico del Romanelli degli anni ’80, “Architettura dell’Etruria rupestre”, però per esempio per quanto riguarda San Giuliano fino ad oggi, e parliamo di quasi 90 anni fa, la pubblicazione del 1931 di Augusto Gargana è rimasta quella principale, “La necropoli rupestre di San Giuliano”, da allora non si è fatto quasi più nulla.

Le similitudini architettoniche tra Tuscia rupestre, Licia e Petra sono dovute a contaminazioni culturali o da altro?

Senz’altro si può dire che le condizioni geologiche simili hanno portato a simili soluzioni architettoniche. Ci vuole o pietra vulcanica tipo tufo, o certi tipi di pietra arenaria come per es. in Giordania a Petra. Però questo naturalmente non basta, poi ci vuole la capacità finanziaria e poi delle capacità tecniche perché per creare queste strutture rupestri non erano sufficienti semplici operai, ci volevano architetti, scultori, pittori, ecc., e poi anche una determinata ideologia che è diversa da quella, per così dire, dei tumuli come a Cerveteri o Tarquinia delle tombe dipinte che tutto sommato si nascondono quasi nei sotterranei ed erano accessibili e visibili solo ogni tanto durante cerimonie funebri e solo forse ai parenti più stretti, ai sacerdoti.

Mentre queste tombe con facciate rupestri erano visibili anche per generazioni, centinaia di anni dopo: erano delle architetture che volevano essere viste. Sono state create spesso lungo le vie di accesso principale, allora volevano essere ben visibili. E questo vale sia per l’Etruria che per l’Asia Minore, per Petra, per la Cirenaica; in parte erano ben visibili dal mare (in Licia e Caria).

Cronologicamente non sono contemporanee: a Petra non ci sono prima del I secolo a.C. mentre in Etruria dal secondo quarto del VI fino alla fine del III/inizio del II secolo a.C., e abbiamo due massime fioriture fra VI/inizio V secolo a.C. e seconda metà del IV-IIIsecolo a.C.

Tipologicamente ci sono degli elementi comuni, come per es. il tipo a tempio, però possiamo dire che non è che necessariamente un elemento venne importato da un’altra cultura.

Si possono considerare fenomeni paralleli, indipendenti, anche se fra l’Etruria e l’Asia minore (la costiera ionica) fin dal VII secolo c’erano rapporti stretti.

Però soprattutto per quanto riguarda la Licia e la Caria lì sono databili già verso il IV secolo a.C., mentre in Etruria inizia col secondo quarto del VI secolo e a Tuscania abbiamo presumibilmente gli esempi più antichi e già di una notevole monumentalità se pensiamo a Pian di Mola, questa tomba a casa rupestre col portico costruito che riflette anche elementi di strutture palaziali.

Gli aspetti più interessanti dell’architettura rupestre in generale sono da una parte gli influssi dall’architettura palaziale domestica e dall’architettura sacrale (nel caso delle tombe a tempio) .

Ci può fare un esempio riguardo la presenza di influssi di architettura di palazzo?

Un esempio molto interessante è Grotte Scalina, vicino Musarna, riscavata e studiata recentemente dal gruppo di etruscologi francesi sotto la direzione di Vincent Jolivet, purtroppo ritrovata in un cattivo stato di conservazione. Di estremo interesse è la ricostruzione elaborata da Jolivet: lui vede influssi dell’architettura palaziale macedone.

Possiamo dire infatti che anche nell’architettura funeraria etrusca di epoca ellenistica riusciamo a percepire questo rimando geografico all’area macedone, soprattutto per le tombe con la volta a botte (per es. la Tomba dei Demoni a Cerveteri) e quelle più recenti fra Cortona, Chiusi e Perugia. Questi influssi macedoni sono stati probabilmente trasmessi attraverso la Puglia settentrionale (Arpi) e la Campania (Capua).

Perché Vincent Jolivet vede questa influenza macedone a Grotte Scalina?

Perché con Filippo II e poi soprattutto con Alessandro Magno la Macedonia era diventata anche in senso politico e ideologico la potenza principale a livello mediterraneo e internazionale, tanto che tale influenza arrivò fino in India. Poi ci sono i confronti con il palazzo di Vergina in Macedonia che trovano degli elementi interessanti a Grotte Scalina.

Nella Tuscia da quando ha iniziato  ad oggi ha notato in ambito archeologico un’evoluzione nell’attenzione e sensibilità?

Il fenomeno del vandalismo quello è cresciuto. Prima non lo definirei però vandalismo perché i contadini-pastori usavano molte tombe, per es. la tomba dipinta n. 1 di Blera, riutilizzate come stalle, o all’interno vi facevano addirittura la ricotta con le pareti che pian piano si sono affumicate. Nel recente passato quindi usate come stalle, come magazzini, mentre oggi purtroppo con i graffiti moderni il fenomeno del vandalismo ha assunto una veste diversa, totalmente negativa.

Senz’altro un vantaggio oggi positivo è la creazione dei parchi archeologici e naturalistici, e l’es. migliore è il Parco Marturanum intorno a Barbarano Romano. Su questo discorso è interessante il report fatto qualche anno fa dall’Associazione Canino onlus: G. Mazzuoli e G. Moscatelli hanno registrato e dato dei voti per i vari aspetti (accessibilità, spiegazioni, se le facciate sono pulite, ecc.) ad ogni necropoli della Tuscia: ha totalizzato il punteggio più alto ovviamente la necropoli di San Giuliano, per il fatto che è all’interno di un parco. Purtroppo è la mancanza di interventi costanti che porta al deterioramento delle necropoli rupestri, se non c’è un ente che si occupa di questo in maniera costante il decadimento e il danneggiamento definitivo è inevitabile.

Avendo  approfondito la zona rupestre di Vitorchiano-Bomarzo-Soriano nel Cimino: qual è la sua particolarità?

Sì, sono più di 10 anni che mi occupo insieme al collega e amico tedesco F. Prayon dell’Etruria rupestre di questa zona tra Bomarzo, Vitorchiano, Soriano nel Cimino e da pochi mesi è uscita l’edizione aggiornata del volume “Monumenti rupestri etrusco-romani nel territorio dell’Etruria meridionale”.

Uno degli elementi che rendono unica questa zona della Tuscia sono gli altari rupestri. E possiamo dire che, se sono assenti quasi totalmente tombe monumentali, allora questi altari rupestri erano stati creati e utilizzati per il culto in onore degli antenati o certe divinità, per qualche tipo di funzione cultuale e/o sacrale e/o divinatoria.

La c.d. Piramide di Bomarzo per es. è rivolta verso il paese di Giove, dove appunto c’era un tempio dedicato a questo dio. Quindi in questa zona c’è una concentrazione di monumenti notevoli che possiamo considerare utilizzati per determinate pratiche non necessariamente funerarie.

In alcuni casi abbiamo anche due funzioni parallele, sia come tomba sia come monumento per cerimonie funebri. Questo discorso vale soprattutto per le tombe monumentali a dado come a Norchia o a Castel d’Asso che avevano tre funzioni: sotto c’era la camera funeraria con i sarcofagi, poi il monumento stesso con facciata e porta finta, e infine la piattaforma in alto che fungeva da portacippi e da altare monumentale per libagioni.

 

Ci parli del  sito di Cagnemora presso Bomarzo

Qui a Cagnemora fra tanti altri monumenti rupestri finora poco conosciuti c’è un grande monumento con dei merli in alto e nei merli ci sono degli alloggiamenti, probabilmente per urne cinerarie.

Per le datazioni più del 90 per cento dei casi ci mancano iscrizioni (che sono tutte in latino) per datare e ci mancano i corredi. E allora la datazione è possibile solo in senso tipologico, architettonico, decorativo facendo paragoni e similitudini. Come qui nel caso di Cagnemora.

Perché a livello accademico e di Soprintendenza non si attua uno studio sistematico della Tuscia rupestre con degli scavi?

Posso dire che con Alfonsina Russo era iniziata una fase di nuovi impulsi alla ricerca e valorizzazione di questa zona, ma la cosa poi è andata scemando, anche e soprattutto a causa del cambiamento continuo di ispettrici e responsabili di zona.

Purtroppo ad oggi mancano studi effettuati con sistemi moderni e per fare questo ci vorrebbe un notevole impegno finanziario, che temo neanche il CNR ad oggi abbia più, a causa dei continui tagli di coperture finanziarie per la ricerca.

Certo ci sono state iniziative, come per es. il restauro della Tomba del Cervo a San Giuliano, credo con un impegno di spesa di ca. 700.000 euro (fondi europei), solo per questo monumento, quindi possiamo immaginare quale impegno economico servirebbe per restaurare, studiare e pubblicare i dati di una intera necropoli.

 L’unicità e l’importanza di questi luoghi unici nel mondo non viene compresa, quali ne sono le ragioni?

E’ la mentalità chiusa. Tante idee che però non riescono ad essere messe a fuoco e a concretizzarsi.

Per la salvaguardia di questo patrimonio quale a suo giudizio sarebbe il metodo più adatto? 

Le necropoli sono troppo grandi. A questo riguardo avevo organizzato un convegno internazionale nel 2010 a Barbarano e Blera insieme a Francesca Ceci sull’ “L’Etruria rupestre dalla Protostoria al medioevo. Insediamenti, necropoli, monumenti, confronti”. Gli Atti di questo convegno molto importanti sono stati pubblicati nel 2014. Allora fu proposta l’idea di trasformare e di creare a Barbarano Romano una specie di “osservatorio” dove registrare e riesaminare ogni anno lo stato di salute delle varie necropoli e monumenti rupestri.

Purtroppo qui nella Tuscia, rispetto la Toscana per esempio., c’è una mancanza di visione di insieme dal punto di vista turistico-archeologico-culturale. E’ questo l’elemento che manca e che causa questo generale e diffuso abbandono.

 

Gli Etruschi all’estero non sono giustamente  conosciuti. Quali i paesi che si differenziano?

A livello scolastico no. In  Germania e in altri paesi la gente mediamente colta li conosce. Ma soprattutto tanti appassionati e pensionati stranieri che viaggiano tutti gli anni e vengono in Italia e la cosa sorprendente è che topograficamente conoscono spesso meglio certe zone rispetto molti etruscologi, di questo mi sono accorto.

All’estero sono soprattutto le mostre (come recentemente a Karlsruhe in Germania) che risvegliano e riaccendono l’interesse per gli Etruschi.

Spesso anche attraverso i Celti, che erano in contatto in parte con gli Etruschi, si attiva su questo binario un certo interesse.

Come vede il futuro per le necropoli rupestri della Tuscia?

Io auguro buona fortuna alla zona rupestre etrusca che fin’ora non è stata mai completamente e adeguatamente presa in considerazione e valorizzata. Sono sempre piccoli interventi e attività, però manca un progetto generale.

Manca una dirigenza politica che capisca cos’è l’archeologia e che ne comprenda l’importanza.

 

Foto a cura di Francesca Pontani

 

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