Giusy Gimma, un modello di creatività e coscienza critica

Riceviamo un sentito ricordo di Giusy Gimma e lo condividiamo con tutte le persone che le hanno voluto bene.

Esprimere un ringraziamento per una persona che ci ha lasciato è opera sempre ardua, perché si rischia di cadere nell’apologia o nella retorica. Giusy Gimma, d’altronde, era la donna più refrattaria alla retorica e amava sempre essere la voce fuori dal coro, la dissonanza creativa, la scomoda coscienza critica.

Abbiamo deciso di scrivere queste brevi considerazioni, perché Giusy se le merita tutte. Parliamo al plurale, perché eravamo, negli anni Novanta, un piccolo gruppo di storici dell’arte viterbesi, formati nella facoltà di Conservazione dei Beni Culturali dell’Università della Tuscia o nel dipartimento di Storia dell’Arte della Sapienza di Roma: ci accomunavano l’entusiasmo per i nostri studi, la passione per l’arte e l’architettura e il fatto di essere perfetti sconosciuti nel mondo della ricerca e del restauro. Nonostante questo, tutti noi, tra il 1994 e il 1996, iniziammo ad avere contatti con la casa editrice BetaGamma, acronimo dei due cognomi dei proprietari, Dino Beraldo e Maria Giuseppina Gimma, due non viterbesi che a Viterbo avevano scelto di operare, non senza difficoltà e incomprensioni con il nostro territorio.

Giusy era l’anima creativa della rivista “I beni culturali. Tutela e valorizzazione”, ancora oggi attiva e per tutti noi così importante: lei e Dino hanno avuto un grande merito, che il tempo non può cancellare, aver creduto in maniera disinteressata nelle capacità di alcuni giovani studiosi, permettendo loro di pubblicare per la BetaGamma senza necessità di lettere di presentazione o di referenze blasonate. Nel giro di pochi anni, alla rivista si affiancarono una lunga serie di collane, come quella originalissima “Chiese, monumenti e città”, che in pochissimo tempo divenne anche un modello editoriale, una serie di guide di formato tascabile, ma di valenza scientifica, contraddistinte dallo squillante colore rosso della copertina.

E poi volumi di più ampio respiro, come “Il centro storico di Viterbo”, vera opera corale di giovani studiosi sulla loro città natale.

Sono passati quasi trent’anni dall’inizio di quella avventura, ma la nostra riconoscenza per Giusy è indelebile, perché è molto facile aprire le porte di riviste scientifiche e volumi miscellanei a studiosi famosi, che portano lustro al progetto, ma solo le persone disinteressate, e capaci di vedere oltre le apparenze, possono investire su ragazzi che hanno come unici valori la loro passione e le loro doti acerbe di ricercatori.

Giusy e Dino hanno fatto questo, permettendo a tutti noi di crescere, di migliorare, di acquisire titoli culturali e professionali, investendo tempo e denaro in progetti editoriali dove i giovani potessero mettersi in luce. E ci è sembrato necessario e doveroso scriverlo, perché nel nostro mondo liquido, reso ancora più liquido dalla pandemia, la “persistenza della memoria” deve essere un valore in granitica controtendenza al relativismo e alle facili lusinghe dei moderni mangiatori di loto. Ricordare, provare gratitudine e riconoscenza, saperla esprimere, soprattutto a chi non c’è più, è il regalo più bello per una donna come Giusy, che non ha mai blandito nessuno con adulazioni e trionfalismi, che ha sempre amato vestire i panni del Grillo parlante scomodo e sincero, che ha dato tanto alla nostra città, che spesso con gli “stranieri” non è ospitale e accogliente.

Grazie Giusy, per tutti noi “ex giovani” degli anni Novanta, sei stata un modello.

Vera Anelli, Laura Bonelli, Massimo Bonelli, Lidia Gregori, Maria Elena Piferi, Claudia Palazzetti

 

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