Giuseppe Cravero: il king della vera pizza napoletana regna nella Tuscia

C’era una volta un pizzaiolo che preparava le sue pizze in un posto incantato sul Golfo di Napoli. Don Raffaè non era nato ai piedi del Vesuvio, ma era come se lo fosse: ormai l’aria e il mare gli erano entrati sotto la pelle come un’impronta genetica. Accadde che la Regina in visita a Napoli lo chiamasse a Corte e lo incaricasse di cucinare per lei una pizza speciale. Don Raffaè si sentì immensamente onorato e cercò di realizzare qualcosa che fosse all’altezza della sovrana. Unì il rosso vivace del pomodoro al bianco puro della mozzarella, e li guarnì con il profumo intenso del basilico: ingredienti semplici che avevano i colori della bandiera italiana, anima della nazione che si era unificata qualche decennio prima. Era nata la pizza che don Raffaè chiamò Margherita, in onore della sovrana che aveva voluto assaggiare il piatto del popolo. Una pizza talmente buona che quel giorno del  1889 regnò incontrastata fra le altre portate della tavola reale. E quasi centotrent’anni dopo, la pizza è ancora la regina delle abitudini alimentari degli italiani, e sta conquistando il mondo intero. «Malgrado le origini leggendarie e l’incredibile successo che da allora ha avuto, la materia “pizza” ha faticato ad ottenere il riconoscimento che merita nel settore della ristorazione», esordisce Giuseppe Cravero. Grande simpatia e faccia da eterno ragazzo, Giuseppe è molisano di origine, ma vive e lavora nella Tuscia da oltre vent’anni. Se preparare la pizza fosse equiparabile al gioco del calcio, Giuseppe potrebbe esporre diversi Palloni d’Oro sugli scaffali della sua pizzeria. E infatti sulle pareti luccicano decine e decine di trofei vinti nella sua pluridecennale carriera di super pizzaiolo: tra gli altri, Coppa Italia, Olimpiadi della Pizza, Guinness dei Primati, Pizza World Cup. Il suo locale di Vetralla, a pochi chilometri da Viterbo, è un tributo d’amore a Napoli, a cominciare dal nome, “Babbà”, ad evocare il profumato dolce partenopeo; alle pareti il bianco e l’azzurro del cielo e del mare della città, vedute del Golfo, stelle marine, statue di Pulcinella, cornetti, carte da gioco, proverbi incorniciati: l’allegria e il calore a circondare i suoi clienti. Dal forno a legna Giuseppe e il suo staff sfornano decine di tipologie di pizza, dalla classica alla più innovativa, tutte caratterizzate da un impasto leggerissimo. «Da piccoli, quando ci chiedevano che cosa avremmo voluto fare da grande, i miei amici rispondevano il medico, o l’astronauta. Io rispondevo sempre: voglio avere una pizzeria tutta mia. Ero ancora un bambino quando mio padre costruì per me un forno a legna. Questo locale è il mio sogno da sempre», racconta con orgoglio Giuseppe. « Mia nonna invece inventò il catering: partiva con il suo carico di pentole e padelle e andava a cucinare per le famiglie». Giuseppe è cresciuto a Jelsi, un piccolo centro in provincia di Campobasso, ma nasce a Napoli per casualità:  «Mia madre era al nono mese e si recò in visita ad una parente che stava a Napoli: lì sono nato nella notte di Natale del 1971». Se di Napoli ha fatto propri lo spirito di iniziativa e la passione viscerale per il proprio lavoro, Cravero conserva ancora forte il legame con il Molise. «Jelsi è un paese famoso per la Festa del Grano. Con tutte queste premesse, la pizza era un po’ nel mio destino». Dopo aver frequentato la scuola alberghiera a Termoli e aver cominciato a fare il pizzaiolo giovanissimo, Giuseppe arriva a Viterbo per fare il servizio militare, e decide di fermarsi a vivere nella Tuscia. «Lavorare al sud significava tanta fatica e ben poche soddisfazioni: una situazione che purtroppo è ancora attuale. Nella Tuscia invece ho capito che avrei potuto svolgere la mia attività con gratificazione, e che i miei sacrifici sarebbero stati ripagati». Dopo partecipazioni a programmi televisivi e collaborazioni con chef di risonanza internazionale, Giuseppe oggi è una vera fucina di iniziative: oltre ad insegnare nella Scuola Alberghiera, tiene dei seguitissimi corsi di teoria e pratica nel suo stesso locale, dove insegna la materia pizza con approccio scientifico e storico, con la stessa passione con cui sforna le sue specialità. «Prima di arrivare a passare il primo cucchiaio di pomodoro sul disco bianco di farina, i miei studenti devono sapere come e quando è nata la pizza. E prima ancora, di come nell’antico Egitto è nato il primo forno a legna. Come gli antichi Romani avessero una sorta di focaccia, la picta, che ungevano con l’olio d’oliva e condivano con il sale, tanto preziosi allora». Oltre alla storia, Giuseppe insegna la scienza della lievitazione e della cottura. «Fino a vent’anni fa, nessuna scuola si sognava di insegnare questa materia, che era considerata un po’ la parente povera dell’alta gastronomia. Sono circa vent’anni che appassionati e studiosi hanno unito tecniche e conoscenze per elaborare teorie precise, per offrire un prodotto migliore, più leggero e digeribile. Rispetto al passato, oggi si dà più tempo al lievito di fare il suo lavoro. E anche la nostra immagine è stata legittimata: il pizzaiolo non è più l’ultima ruota del carro della ristorazione. Anzi, è l’unico settore che ti spalanca le porte ovunque. Ho molti studenti giapponesi, che vengono qui ad imparare il mestiere per poter aprire pizzerie nel loro Paese». Spesso è lui stesso ad andare all’estero per  consulenze professionali – in Francia, Germania, Ucraina, Turchia –  a beneficio di chiunque voglia avvicinarsi a questo mestiere. E forse pensando a sua nonna antesignana del catering, Cravero si è inventato il FoodTruck, un allegro camioncino rosso d’epoca con forno a legna incorporato, con cui porta le sue creazioni a domicilio e nelle feste di paese. Un’idea vincente che sta esportando anche in Giappone.  Nella sua ricerca della qualità estrema, Giuseppe utilizza per le sue preparazioni le eccellenze del Viterbese. «Mi piace valorizzare i prodotti del mio territorio d’adozione. La Tuscia è come uno scrigno di preziosi che altri ci invidiano». Ed ecco l’olio evo di Vetralla, i funghi ferlenghi di Tarquinia, le mozzarelle viterbesi del caseificio Cioffi, ad impreziosire le sue creazioni. E ancora, l’aglio rosso di Proceno, le patate viola di Grotte di Castro.  «Se nella Tuscia si continuasse a percorrere seriamente la strada della valorizzazione, sia gastronomica che turistica, non ci sarebbe più disoccupazione tra i giovani. Se il  lavoro non c’è, allora bisogna crearlo, con passione e coraggio», conclude.  La favola di don Raffaè pare sia vera. Anche la favola di Giuseppe Cravero lo è.

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