Giovanna Scappucci: quando il talento incontra la visione

di Barbara Aniello

Giovanna Scapucci

Indipendente, avanguardista, inconsueta, in una parola: geniale. Gli aggettivi non bastano per circumnavigare l’ “oceano” Giovanna Scappucci: architetto, scenografa, imprenditrice, animatrice culturale… sono così tante e diverse le frecce al suo arco che si rimane meravigliati di fronte a tanta capacità. Giovanna Scappucci è una delle figure più pioneristiche e visionarie del nostro tempo, uno di quei profeti in patria che la sua sonnecchiante Viterbo non ha ancora del tutto riconosciuto né abbastanza valorizzato. Docente al Liceo Artistico, poi all’Accademia, si muove da sempre tra l’architettura e l’interior design, con incursioni singolari anche nel cinema. Indimenticabile il sodalizio con Paolo Bianchini di cui sono stata diretta testimone, partecipando come comparsa, ne La Grande Quercia. Era il 1997 quando, chiamata a suonare il violoncello nella scena finale del film ambientato nel dopoguerra antifascista, fui colpita dalla raffinata ricercatezza con cui gli arredi e la mobilia del set erano stati scelti. Non si trattava dei consueti magazzini saccheggiati dalle maestranze dei soliti film in costume, ma di oggetti d’epoca autentici, recuperati dalle ville dell’alta borghesia viterbese, con una acribia e dovizia di particolari degna di Luchino Visconti. Pochi anni più tardi, in cerca di un’abitazione in centro, mi sono imbattuta in una dimora medievale i cui arredi erano sorprendentemente gli stessi del film, compreso un confessionale verde ottanio che a memoria ricordo sfrecciare con le sue tendine viola svolazzanti trasportato da un apetto, in un’indimenticabile, onirica sequenza. Giovanna ed io ci eravamo ritrovate. Suo era l’atelier che poi è divenuto non solo la mia abitazione, ma anche l’occasione di trasformare l’antico incontro in una profonda amicizia. Solo qualche giorno fa, a Tuscania, ho avuto l’occasione di rivedere il lungometraggio Il giorno, la notte. Poi l’alba girato, nel 2007, ancora una volta da Paolo Bianchini, le cui scenografie e i cui costumi, firmati da Giovanna, sono stati tutti dipinti a mano, rivoluzionando il modo di fare film d’epoca. Mi sembrava di avere l’illusione che i protagonisti fossero stati staccati da affreschi due-trecenteschi, o che il pennello di Giotto fosse anacronisticamente atterrato sulla pellicola per animarne gesti e pose. Del resto Giovanna ama e conosce profondamente la storia medievale e si diverte a interpretarla a tutto sesto. Che stupore riconoscerla nel film nei panni di un’improvvisata strega, in sostituzione dell’attrice titolare indisposta! Suo è stato negli anni della prima amministrazione Meroi (1995-99), in qualità di delegato per il centro storico, un intenso e specialistico lavoro di recupero del piano colore, confluito in una ricca campionatura tuttora a disposizione degli archivi comunali, al fine di una ripresa strutturata e consapevole della nostra identità. Per far ciò, non si è limitata ad un lavoro puramente intellettuale o d’archivio, sviluppando la bozza preliminare della normativa dell’ornato ad opera dell’autorevole penna del professor Enrico Guidoni, storico, architetto e umanista, ma ha partecipato ad inenarrabili avventure, non ultima quella di arrampicarsi rocambolescamente tra gli interstizi delle tettoie e dei sottotetti, dove le muffe non intaccavano il colore originario degli edifici, per trarne il pigmento desiderato da ricreare in bottega alla vecchia maniera. All’epoca si è occupata anche della ristrutturazione di Prato Giardino, commissionando alle Fonderie Viterbesi il rifacimento dei paletti e dei recinti, recuperando i massi originali del bagnaccio, conservando aiuole e persino disegnando percorsi sportivi all’interno del parco senza alterarne il volto originario. È stata anche coinvolta dalla principessa Claudia Ruspoli in uno studio per la riqualificazione del centro storico di Vignanello, al fine di restituire al borgo il suo aspetto medievale, purtroppo rimasto ad uno stato embrionale e mai realizzato. Le Accademie, coordinate e stimolate dalla mente di Giovanna Scappucci, avrebbero dovuto reinventare le insegne, camuffare gli arredi, trasformare l’assetto urbanistico e architettonico moderno, insomma immergere il paese in una sorta di set cinematografico, con una fisionomia più aderente all’epoca. La sua stessa abitazione, lo storico palazzo Mazzatosta, ricordato dalle cronache di Niccolò della Tuccia come il più bel profferlo della città, si è trasformata dapprima nella sede dell’Accademia delle Belle Arti “Lorenzo da Viterbo” e poi in spazio espositivo per l’arte contemporanea. Negli anni mostre di tutto rilevo si sono avvicendate, lanciando artisti oggi affermati. Sollecitata dalle mie mille domande, Giovanna si sofferma sul ricordo della collaborazione con Pio Monti, celebre gallerista recentemente scomparso, con il quale ideò un’importante mostra collettiva di artisti nel 2007 dal titolo Nocturnus, coronamento di un sogno divenuto realtà. Fondata nel 1975 da Ausonio Zappa, l’Accademia è stata la prima realtà privata in Italia ad essere riconosciuta dal Miur. Giovanna Scappucci ha ricoperto i ruoli della coordinazione e direzione artistica, oltre a diverse cattedre (consumistica, modellistica) di questo modello misto tra il cenacolo alla Bauhaus e la bottega rinascimentale fiorentina, in cui collaboravano  figure del calibro di Giuseppe Gatt, celebre studioso dell’Espressionismo e poi direttore della Quadriennale di Roma, Sergio Lera, già preside dell’Istituto d’Arte di Civita Castellana, Fabio Vergoz, docente di scenografia all’Accademia di Roma. Qualcosa di unico e avanguardistico nel panorama nazionale, nato da un incontro tra Giovanna Scappucci e Sergio Lera. Quest’ultimo aveva espresso il desiderio di realizzare un’Accademia privata dove, coniugando tradizione e innovazione, poter abbattere le barriere tra docente e discente. Zappa generosamente sposò subito l’idea e il gruppo dei primi amici, Gatt, Lera, Vergoz, Gagliardi e Caron nacque come iniziale nucleo di professori, a cui si aggiunsero tanti altri. Parlando oggi con Guido Mazza, ceramista e scultore, resta il ricordo e la nostalgia di un periodo d’oro per una Viterbo ricca di studenti, italiani e stranieri, provenienti da Bilbao, dal Galles, dalla Germania, per imparare le nostre tecniche artistiche. Come spesso succede la città non era – e non è tuttora – consapevole delle sue potenzialità ed eccellenze locali. Proprio per assicurare un’accoglienza degna di questo consesso di intellettuali ed artisti, in un’epoca in cui a Viterbo tra la trattoria per militari e il ristorante di lusso mancava l’anello di congiunzione della cucina tipica, l’eclettica Giovanna si rivolge alla ristorazione. La sua curiosità e capacità imprenditoriale non si limita ad indagare il campo delle arti, ma coniugando sapere e sapore, intraprende per prima, in tempi non sospetti, un’attività enogastronomica fondata sulla tavola medievale fatta di legumi, zuppe e ricette “povere”, lontano dalle proprie tradizioni familiari. Sua è stata l’idea nel 1981 del ristorante “Il Richiastro”, punta di diamante della cucina viterbese, dove è tuttora possibile assaggiare i piatti della tradizione. Chi ha la fortuna di entrare oggi nel ristorante di Giovanna e di suo figlio Emanuele, o di avvicinarsi ad alcune delle sue creazioni o dimore ristrutturate, sarà sorpreso dell’atmosfera ricreata: un connubio tra storia e modernità che non può lasciare indifferenti. Tanti sono i mobili, le lampade, le scale, le librerie che Giovanna Scappucci ha creato per dimore private della città. La sua cifra avanguardistica sta nel forgiare pezzi unici a partire da materie prime come il ferro, il vetro e la pietra antica, tra lo stupore dello sguardo dei committenti e dei critici, come quelli della Bit di Milano che ha salutato il suo tavolo in ferro e vetro, con l’allestimento di tendaggi e ceramiche medievali con ammirata incredulità. Chi ha la sorte di avvicinare o di conoscere personalmente Giovanna, ne ricaverà una spinta permanente ad apprezzare il bello, anche al di fuori del lusso e della consuetudine, certamente lontano dalla banalità. Così è successo a me, quando mi sono letteralmente innamorata del suo atelier in via della volta buia 36, il Palazzetto Cybo, oggi sede dell’Associazione Spazio Inter Artes che dirigo e di cui Giovanna non è solo socio fondatore, ma vero e proprio genius loci. Oggi “abitare” le sue scale sospese e i suoi archi rampanti di ferro, essere immersi nelle sue pareti recuperate di roccia a vista e nei suoi insoliti arredi cinematografici, essere riscaldati dai suoi camini monumentali audacemente ridisegnati o dalle sue porte finemente affrescate, è possibile per me e per i viterbesi che si accostano ad una realtà immaginata e plasmata dalla visione di una donna di talento più che rara, unica.

 

 

 

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