Giorgio Nisini, passione letteratura istruzioni per l’uso: come si diventa scrittori

Chiara Mezzetti

Le note leggere di un pianoforte in sottofondo. Il calore umido che si posa sul fogliame. I raggi stanchi del sole di un tardo pomeriggio estivo. Le voci di piazza del Gesù che arrivano lontane. È nella sede di Fondazione Caffeina, nel cuore di Viterbo, che Giorgio Nisini si racconta a Tusciaup, con gli occhi appannati da un velo di timidezza e accesi dalla passione per la letteratura e la cultura.

E’ il  direttore della sezione Letteratura di Caffeina, c’è qualche scrittore che quest’anno l’ha colpito di più?
Da un paio di edizioni la parte letteraria del Festival è stata dislocata presso l’Emporio letterario di Pienza. Caffeina ha assunto negli anni (12 con questo) un taglio via via più trasversale e pop. Detto ciò, tra gli autori dell’edizione 2018 che mi hanno colpito sicuramente c’è Rosella Pastorino con “Le assaggiatrici”, finalista del premio Campiello, che ha scritto una storia ispirata a una delle assaggiatrici di Hitler; Romana Petri con “Il mio cane nel Klondike”, storia di abbandono e morbosità con protagonisti un cane e la sua salvatrice; e Nicola Attadio con “Dove nasce il vento. Vita di Nellie Bly a free american girl”, che racconta la vera storia di Nelly Bly, giornalista simbolo della donna emancipata.

Quindi un Festival con tante donne e uomini che parlano di donne…Qual è il suo rapporto con la figura femminile? In “La lottatrice di Sumo” ha disegnato un personaggio che esce un po’ dai canoni di bellezza che ci aspetteremmo dalla protagonista di un romanzo…
Nei miei romanzi do molto spazio alle figure femminili. Parlo di figlie, madri, mogli, donne amate, lesbiche, mistiche…Di una donna trovo che la cosa più affascinante siano i difetti. Per questo ho scelto una lottatrice di sumo. Per essere vincente deve essere grossa, obesa. E questo si scollega dal paradigma di femminilità che abbiamo oggi.

Ha qualche romanzo in cantiere? E se sì, ci sarà un personaggio femminile interessante?
Sono uno scrittore pigro e lento, in media pubblico ogni 5 anni. Ora sto scrivendo un nuovo romanzo, ma non posso svelare né titolo né trama. Posso solo dire che è pronto all’80% e che ci sarà un personaggio femminile importante, una donna amata.

Si è definito “scrittore pigro”, qual è il suo metodo di scrittura?
Con la scrittura ho un conflitto. La prima fase, quella dell’ideazione, dell’esplorazione e della documentazione è la più bella. Il momento in cui poi devo passare su pagina è doloroso, quasi nevrotico. Passo da momenti di esaltazione a momenti di disperazione, ma non potrei mai farne a meno. L’ideale per me sarebbe fare una full immersion in un posto isolato e dedicarmi solo alla scrittura. Ma essendo papà di due figli questo per me non è possibile, quindi scrivo in orario da ufficio.

Nonostante il conflitto lei dice che non può farne a meno. Quando nasce la sua passione per la scrittura?
È iniziata dalla lettura. Da piccolo i miei mi hanno sempre spronato a leggere. La mia maestra delle elementari mi portava nella biblioteca della scuola ed io uscivo stringendo un libro con entusiasmo, convinto di trovarci dentro un universo. Il passaggio alla scrittura è avvenuto alle medie. C’era il bulletto del quartiere che mi dava noia, e io allora ho deciso di farlo morire in un racconto giallo. Esistono ancora delle pagine battute a macchina, le ho ritrovate poco tempo fa. Al liceo poi è arrivato il momento dei testi delle canzoni, fino all’università con il primo romanzo poi rimasto nel cassetto. Fu un esperimento, un ciambellone venuto male. Però mi aiutò tantissimo a capire come si scrive. E infatti poi il successivo, “La demolizione del Mammut” è stato pubblicato.

Il fil rouge che lega tutti i suoi personaggi è la ricerca di risposte…chi nell’aldilà (“La lottatrice di sumo”), chi nella figura del padre (“La città di Adamo”) ecc. Lei allo stesso tempo è sia scrittore che professore e ricercatore. Questa fame di conoscenza sembra essere un punto nodale della sua vita e della scrittura…
È vero. Le forme d’arte che più mi affascinano sono quelle che sollevano domande più che dare risposte. Mi ero iscritto a Fisica finito il liceo. In una pausa dallo studio nella noia mi ero messo a leggere delle poesie di Montale. E mi sono reso conto che c’è un buco in cui la scienza non riesce a entrare. Un buco che non può essere colmato, ma su cui solo l’arte può fare luce.

E’ nato a Viterbo e ora è tornato a viverci. Che ruolo ha la città in tutto questo?
Ambiento sempre i miei romanzi a parte alcune puntate a Viterbo e nella provincia, anche se non è nominata direttamente. Questo perché è un territorio che è stato spesso set cinematografico, ma ancora vergine alla letteratura. Ci sono stati “Singolare avventura di viaggio” di Brancati, una poesia di Luzi, una citazione da parte di Dante nella Divina Commedia. Ma Viterbo è pressoché assente nei romanzi contemporanei.

Con l’esperienza diretta e il rimaneggiamento attraverso la scrittura ha analizzato Viterbo sotto vari punti di vista. Cosa manca alla città per fare un salto culturale in più?
A vent’anni l’unica cosa che potevamo fare era andare a comprare le sigarette al distributore automatico. Non c’erano eventi, né pub o locali. Negli ultimi tempi Viterbo è cresciuta esponenzialmente a livello culturale, ed è ricca di menti brillanti e creative. Se c’è una cosa che manca purtroppo è un po’ di solidarietà, di amore per se stessi e per chi ce l’ha fatta.

Che consiglio darebbe ad uno scrittore in erba?
Non essere ossessionato dalla pubblicazione ma dalla scrittura. Non avere fretta ed essere curioso.

Foto di Bruno Fini

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