Fabrizio Bastianini. Un percorso dentro la musica

Un enfant prodige che già in età precoce manifestava le sue predisposizioni musicali.
Ha iniziato a cinque anni con il pianoforte al quale ha accostato il violino.
Un percorso quello di Fabrizio Bastianini che lo ha portato a conseguire sei lauree musicali, principalmente presso i Conservatori di “S. Cecilia” a Roma e “L. Cherubini” di Firenze.
Oggi Direttore d’orchestra, Compositore, Violinista, Coordinatore Artistico della Scuola Musicale Comunale di Viterbo, Direttore dell’Ensemble Vocale “Il Contrappunto” e della Camerata Polifonica Viterbese “Zeno Scipioni”.
Tra le ultime esecuzioni che hanno ricevuto tanti applausi, ricordiamo quella al Duomo di Milano – con l’Ensemble Vocale “Il Contrappunto” e la “Camerata Polifonica Viterbese ‘Zeno Scipioni’” – e il Requiem di Wolfgang Amadeus Mozart, eseguito al Cimitero Monumentale di Viterbo.
Molti i concerti sinfonici, tra i quali citiamo la Petite Messe Solennelle di Rossini diretta al concerto di Pasqua 2016 e il concerto di Capodanno 2015, che lo hanno consacrato tra i migliori direttori d’orchestra nazionali.
Dal 2013 è direttore artistico del Premio Internazionale di Canto lirico “Fausto Ricci” e membro stabile della giuria, presieduta da illustri nomi della lirica italiana, fra i quali Fiorenza Cossotto, Romualdo Savastano, Antonio Poli, Alfonso Antoniozzi e Gianni Tangucci.
Un curriculum che ci appassiona e incuriosisce al punto di voler scoprire un po’ le carte per capire di più che cosa una così brillante carriera metta in luce.

I suoi genitori avevano a che fare con la musica, com’è emersa questa passione?
Né mio padre né mia madre sono musicisti, ma non si può dire che il mio amore per la musica sia scaturito da solo. Mio padre ascoltava volentieri la musica classica (di solito di nascosto) e conosceva praticamente tutta la Carmen di Bizet, senza avere idea di cosa fosse davvero: cantava le arie ma ne ignorava la provenienza. Mia madre invece è un’insegnante particolarmente dotata, che già molti anni fa precorreva con idee lungimiranti qualcosa che si sta teorizzando solo adesso, vale a dire che i bambini oltre che di insegnamenti lineari hanno bisogno di quelli olistici, artistici ed emotivi. Matematica e storia non bastavano, insomma. Questa intuizione l’ha spinta a mandarci a lezione di musica da una nostra zia pianista sin dalla tenera età e, a me che manifestavo doti grafiche particolari, anche a lezione di pittura.

Nasce a Viterbo, quali i suoi luoghi, le scuole, le frequentazioni?
Scuole “rosse”, così si chiamava la scuola elementare “Luigi Concetti”, con una meravigliosa maestra che mi è rimasta sempre nel cuore, poi scuola “Vanni” e Liceo classico. Dalle scuole medie in poi ho cominciato a risentire di un certo isolamento che mi ha reso tutto molto faticoso. Ho un carattere un po’ schivo e questo, unito ai particolari studi che portavo avanti, non aiutava ad integrarmi.

Perché ha scelto il repertorio antico, cosa l’ha indirizzato verso questa scelta?
Mio fratello aveva dischi di Bach che ho ascoltato così tante volte da creare letteralmente solchi nel vinile. Sapevo cos’era una fuga, il clavicembalo, l’organo e il basso continuo molto prima di averlo letto sui libri di storia della musica o su quelli di armonia. In seguito, per fortunate coincidenze, mi regalarono in successione: il Messiah di Händel, i concerti dell’Estro Armonico di Vivaldi, le ultime sinfonie di Mozart, la III, V, VII e IX sinfonia di Beethoven e così via, come se qualcuno volesse farmi percorrere l’intera storia della musica dal barocco in poi. Ero immerso come tutti noi nel jazz, nel pop e nel rock ma, a parte pochi brani, mi annoiavo. Li trovavo tremendamente ripetitivi. Al contrario, niente mi estasiava di più che ascoltare la stessa sinfonia trenta, quaranta volte, e scoprire sempre qualcosa di nuovo. Musica così intensa nella quale perdersi e ritrovarsi.

Qual è il compositore che più ama e quello che più la fa inquietare?
Accidenti, domanda tremenda. Dunque, per non offendere nessuno diciamo che Bach è stato il mio “primo maestro”, ho odiato Mozart per amarlo subito dopo, Beethoven mi ha rapito, poi sono scivolato sulle note di Chopin verso Mahler, con il quale ho pianto tutte le lacrime delle mie angosce giovanili, per essere poi accolto da Ravel, Stravinsky e Prokofiev. Ognuno di loro fa parte di me, come personalità multiple. Forse la cosa non mi fa onore ma è così.
Un compositore che mi fa inquietare? O inquietante? Fondamentalmente nessuno. Forse perché cerco sempre di ascoltare bella musica.

Al pubblico che ci segue può spiegare perché si ama la musica?
Si può spiegare perché si è innamorati? La musica fa parte di me in un modo che non posso più comprendere. Non riesco a spiegare questa passione più di quanto riesca un fiore a spiegare perché ha bisogno del sole.

Come è avvenuto il passaggio da Violinista a Direttore di Orchestra?
Io non volevo dirigere. Non sono una persona che ama apparire. Per questo avevo scelto la composizione, che precedeva come interesse anche il violino (i primi brani risalgono a quando avevo 9 anni). Il compositore scrive, crea, costruisce. Poi si ferma a guardare l’opera come un pittore. Un direttore invece è un pittore che dipinge davanti a una folla, senza pudicizia. Quindi no, non volevo dirigere, anche se tutti i miei colleghi lo davano per scontato.
Poi ho sentito la necessità di poter intervenire durante l’esecuzione dei miei brani e ho scoperto che la bacchetta mi completava, mi aiutava a vincere la ritrosia e mi spingeva a sbrogliare nodi che andavano sciolti. Ora dirigo più che comporre, ma non riesco a stare troppo lontano dal mio primo amore.

Qual è il ricordo più forte tra le sue esibizioni?
Sono tutti bellissimi, ma uno dei più luminosi è senz’altro il Requiem diretto al Cimitero Monumentale di Viterbo, perché del coro hanno fatto parte molti miei allievi, quasi tutti alla loro prima esibizione pubblica in un grande capolavoro come quello. Non dimenticherò mai la luce nei loro occhi.

Oltre la musica qual è la sua altra passione recondita?
Una di queste è di vecchia data, la pittura, alla quale si è aggiunto qualcosa che sembra molto distante ma che è invece stupefacentemente affine: l’informatica. Nessuna delle due può essere da me esibita senza una buona dose di imbarazzo.

Il suo futuro prevede a livello di direzione anche la musica contemporanea?
Considerato che sono un compositore, ogni volta che dirigo un pezzo mio, dirigo musica contemporanea! A parte la battuta, ho in mente di creare uno o più spazi per i musicisti di oggi. Altrimenti i concerti si riducono a riesumazioni di vecchie glorie. Brani straordinari, certo. Ma a volte mi chiedo se siamo musicisti o tassidermisti.

La tecnologia potrà migliorare la resa dei concerti o contano sempre gli spazi appropriati?
Sto pensando ai tablet formato partitura che sono utilizzati sempre più durante le esibizioni dal vivo. Il futuro ci riserverà belle sorprese, ma ho difficoltà a immaginarmi qualcosa che possa sostituire un violinista in carne e ossa (anche se di certo non lo escludo). Per ora, dedichiamoci a creare gli ambienti appropriati per l’ascolto, servendoci di tutte le risorse attualmente disponibili, e a sollecitare la curiosità nei giovani.

Quali qualità deve avere un direttore di orchestra quando lavora con gli orchestrali?
Deve sapere ciò che dice. Sempre. L’orchestrale può essere la persona più cortese al mondo, ma non tollera i direttori approssimativi, quelli che fanno vento con la bacchetta, egocentrici, che salgono sul podio spinti dal desiderio di mostrarsi ma che non conoscono le risposte, che non sanno cosa vogliono con profonda esattezza, che non sanno risolvere i punti critici. Diciamo che il direttore deve avere una profonda conoscenza della musica e una ferma cordialità con l’orchestrale.

Qual è il lato peggiore che penalizza la cultura nel nostro paese? La musica in se stessa ci fornisce già l’immagine di una società migliore?
Ormai siamo quasi tutti d’accordo nell’individuare i colpevoli di certe cattive abitudini delle nuove generazioni in alcune trasmissioni televisive che hanno presentato le arti come qualcosa di semplice, da acquisire in pochi mesi. Forse è uno specchio di qualcosa di più elusivo, più sfuggente, che percepiamo di meno e che condiziona le nostre vite. Forse è simbolo di una società che non è più disposta ad aspettare, che non concepisce più il risultato come legato ad una disciplina quotidiana, a una ritualità che porta, nella sua sapiente lentezza, fino all’obiettivo. Ci siamo dimenticati il valore dell’attesa, come quando scrivevi una lettera a un amico e aspettavi la risposta per giorni e giorni e non telefonavi perché le telefonate costavano. Ecco, la musica da questo punto di vista non ammette scorciatoie. Perlomeno ad alti livelli. Ci si costruisce con lentezza e pazienza.

In questo momento quale musica ha in testa?
Veramente qualcosa di mio, che sta nascendo in questi giorni. È difficile tenere a bada la musica degli altri quando devi creare qualcosa. Siamo fatti di tutto ciò che abbiamo ascoltato nell’arco della nostra vita ed è normale essere condizionati dagli altri stili, dai compositori che ammiri, dalla musica che senti anche involontariamente. Il compositore però deve trovare il suo stile, un mondo tutto suo dove ciò che scrive abbia il suo carattere e il suo volto. Il nome? Un segreto.

Sia quando uno suona, sia quando uno ascolta partecipa di una musica che parte e finisce nel silenzio, è un’esperienza che sempre ci porta a fare silenzio dentro di noi. Così salutiamo il musicista Fabrizio Bastianini.

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