Evaldo,l’amore per Viterbo espresso attraverso le immagini

di Arnaldo Sassi

Evaldo Cipolloni
Evaldo Cipolloni

Di cognome si chiama Cipolloni. Tutt’altro che sconosciuto a Viterbo. Un padre (Mario) giornalista sportivo di rango, uno zio (Gianfranco) personaggio quanto mai originale ed estroverso, con l’amore per i viaggi impossibili, che purtroppo ne hanno decretato la tragica fine (scomparve misteriosamente nel Borneo nel 2015 e non è mai stato ritrovato). E lui? Militare di carriera e viterbese verace, ha sviluppato un fortissimo amore per la sua città che ha deciso di esternare attraverso la sua macchina fotografica. Immagini di strada, istantanee di vita vissuta, che mostrano il meglio di una “città confetto”, o “bomboniera” come la definisce lui stesso.

Di nome si chiama Evaldo. “Sì, i miei genitori decisero di mettermi il nome di mio nonno, che era morto un anno prima che io nascessi”.

Un nome non molto comune…

“Lo pensavo anch’io. Ma con l’arrivo di Facebook mi sono accorto che non è poi così raro”.

Come è nata questa passione?

“La prima volta che ho sentito l’amore per la mia città stavo ancora in braccio ai miei genitori, che mi avevano portato a vedere per la prima volta la Macchina di Santa Rosa. Quella più bella di tutte. Il “Volo d’Angeli” di Giuseppe Zucchi. Provai una grande emozione e mio padre mi spiegò tutto su questa manifestazione. Allora pensai che questa cosa si poteva vedere solo a Viterbo e questa cosa mi rese orgoglioso di essere viterbese. Ma la passione nasce anche da un altro motivo: quando vedi che in città ci sono cose che non vanno. E noi, diversamente giovani, ne abbiamo viste di tutti i colori”.

Poi ha abbinato la passione per Viterbo a quella per le foto…

“Una passione arrivata a 50 anni, quando mi hanno regalato una macchina fotografica digitale semiprofessionale. Ho cominciato, quasi per caso, a fotografare per strada e mi sono accorto quasi subito di un particolare: che fotografavo cose che lì per lì non vedevo. Fermavo la realtà del momento. E mettevo in evidenza elementi che né noi viterbesi, né gli stessi turisti vedono, perché oggi si va troppo velocemente. Fermare l’immagine vuol dire invitare a riflettere, ad ammirare. A me piace far vedere la città da una prospettiva diversa, anche se non è facile. Perché non puoi fotografare i cestini che traboccano di rifiuti o le erbacce ai bordi delle strade. O le auto parcheggiate nei posti più improbabili. Insomma, è difficile far vedere la bellezza di Viterbo”.

Prima ha parlato di cose che non vanno…

“Beh, ce ne sono diverse. Ne dico una? Il passaggio a livello a piazzale Gramsci. Credo che Viterbo sia l’unico capoluogo ad avere un attraversamento ferroviario a raso in tutta Italia. Per andare a Roma basterebbe la stazione di Porta Romana. A Orte ci si potrebbe andare in pullman. E in quegli spazi si potrebbero realizzare parcheggi e altri servizi. L’altra cosa che mi infastidisce è il centro storico aperto al traffico. Mi è capitato di vedere guide turistiche costrette a urlare per illustrare le bellezze della città perché magari c’era un camion che stava scaricando o, peggio ancora, uno scooter rombante che passava”.

Quello del traffico nel centro storico è un problema irrisolto da decenni…

“Lo so. E so pure che tante amministrazioni del passato hanno devastato la città. Vede, io alle ultime elezioni non mi sono sentito rappresentato da nessuno degli otto candidati in lizza e il mio voto è stato conseguenziale, sia al primo turno che al ballottaggio. Però adesso nei confronti della neo sindaca bisogna avere una moderata fiducia, perché nessuno ha la bacchetta magica in mano. Capisco che il centro non si può chiudere al traffico dall’oggi al domani. La cosa va preparata. E poi non va dimenticato che ci sono cittadini che hanno bisogno di portarsi la spesa sotto casa”.

Però il centro sta morendo. Una volta in Corso Italia c’era lo struscio. Oggi c’è il deserto…

“Vero. Perché ormai manca la motivazione per andarci. Non c’è più attrazione. I gruppetti di giovani si sono spostati a San Pellegrino. Ma lo svuotamento dei centri storici non è un fenomeno solo viterbese. Oggi la fanno da padroni i centri commerciali, perché a noi piace arrivare lì con l’auto, parcheggiare ed entrare in negozio. Ed è chiaro che se un imprenditore deve aprire un’attività preferisce il centro commerciale a quello storico, perché sa che lì avrà molta più affluenza”.

Facciamo un gioco: per una settimana lei ha in mano le chiavi della città. Cosa farebbe?

“Per prima cosa mi studierei, a cominciare dalle virgole, gli appalti per la pulizia e il decoro della città, perché il decoro e l’ordine sono il primo biglietto da visita e il termometro per capire se c’è una buona amministrazione o meno. Assolderei una squadra di giardinieri e di tagliatori d’erba per pulire la città, squadrare le aiole, svuotare regolarmente tutti i cestini dei rifiuti. Insomma, pulizia e decoro sarebbero le mie parole d’ordine”.

Solo questo?

“No, ho un’idea che da tempo che secondo me dovrebbe essere realizzata. Parlo dell’ascensore che da valle di Faul porta a palazzo dei Papi. Quando si sale si esce in una stradina di sampietrini con ai lati due facciate bellissime. Ecco, io assolderei due disegnatori professionisti per realizzare da una parte un affresco della provincia di Viterbo e dall’altro uno della città. Darebbe al turista un primo orientamento per sapere dove si trova e dove può andare”.

La sua passione per Viterbo l’ha portata anche a realizzare un libro interamente fotografico…

“Ho cercato di dare un senso a tutte le foto realizzate dal 2016 al 2019, prima dell’inizio del Covid. Me lo sono autoprodotto. Questo fotolibro sarebbe dovuto uscire all’inizio del 2020. Con esso volevo contribuire a far vedere la mia città e quello che vi succede, cercare di stimolare curiosità verso di lei per vederla piena di turisti e per farla riscoprire a chi già la conosce. Poi l’improvvisa pandemia ha cambiato tutto. Se un anno e mezzo fa lo spirito di queste pagine sarebbe stato un promozionale ‘venite a vedere Viterbo’ ora sarà anche uno spirito fiducioso: ‘questa era la città poco prima dell’inizio del dramma e come tornerà presto a essere, nella sua viva normalità solo momentaneamente interrotta’. Non solo qui, ma ovunque”.

Poi ha fatto una cosa stupenda…

“Beh, il ricavato della vendita l’ho devoluto tutto al canile di Bagnaia. Lì si svolge un’opera quotidiana meritoria che non sempre è giustamente riconosciuta”.

Evaldo Cipolloni con il padre Mario
Evaldo Cipolloni con il padre Mario
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