Elisabetta Serafini: la mia ispirazione nella natura della Tuscia

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Il territorio falisco: dal verde dorato della sponda destra del Tevere, all’ombra muschiosa e odorosa dei boschi dei Monti Cimini. I ruderi pietrosi e immobili di Falerii, l’odierna Civita Castellana, e fondamenta profonde di tufo rossastro, ricordo di passati tumulti vulcanici. Fuoco, acqua e terra: odori, sensazioni e colori che Elisabetta Serafini chiede in prestito alla storia e alla natura per realizzare le sue tele. Romana di nascita, ma residente a Vallerano in provincia di Viterbo, la sua caratteristica è la poliedricità: insegnante di scuola primaria, contitolare di una storica libreria del capoluogo: il suo volto più nuovo è quello di pittrice. “Il mio filo conduttore è la passione, che riverso in tutte le cose che faccio”.

Da sempre appassionata di archeologia e di arte, è stata la passione per il suo lavoro di insegnante, e la voglia di insegnare la storia antica ai più piccoli in modo accattivante e creativo, a farla accostare alla storia degli antichi Falisci, e all’arte ceramica e pittorica di questo popolo vissuto in epoca preromana  e a torto misconosciuto. “Per la tesi di laurea in scienze dell’educazione, elaborai un progetto di studio sui Falisci e il loro territorio. Rimasi affascinata dalla raffinatezza del vasellame, degli ornamenti che essi apponevano sulle facciate delle abitazioni. Terracotte e argille dipinte con colori che si reperivano nella natura”.

Gli stessi pigmenti che Elisabetta usa oggi per dipingere i suoi acquerelli: terre rossastre come il tufo, ossidi bluastri e verdi come i boschi dei Cimini, senza l’utilizzo di alcun additivo chimico. Bruni lasciati a macerare per acquisire il sentore di sottobosco,  nel suo tentativo di ricreare un collegamento anche sensoriale con il territorio. Dalle sue tele lisce ed eteree emergono volti di donna, dagli occhi grandi ed enigmatici, madri Natura indissolubilmente intrecciate con piante e fiori. Sensuali gigli rossi, misteriose orchidee, flessuosi castagni, acacie e platani lussureggianti. Simboli eterni e caduchi insieme, dell’infinita complessità dell’universo vegetale e umano. Inizialmente, Elisabetta tiene per sé le sue “donne”.

Dal 2011 decide di farle conoscere al pubblico e comincia a partecipare a numerose rassegne nazionali ed internazionali. Le sue opere vengono esposte a Roma, Spoleto, Milano, Genova; in occasione di mostre collettive internazionali a Barcellona, Los Angeles, Montreal.

Arrivano anche i primi riconoscimenti, il più prestigioso dei quali è il premio Spoletofestivalart, che Elisabetta vince nel 2013 e che ha bissato lo scorso 10 luglio. “Dipingo la donna, per la mia personale indagine nel mondo femminile. Donna è complessità, è sfaccettatura, è creazione. Caducità e fragilità, vita e morte. Una caducità che si rivela anche nella scelta di non utilizzare fissatori chimici: le mie opere sono delicate ed esposte all’azione del tempo”. Nello sguardo di una donna vi è fiducia nel mondo, orgoglio della propria fertilità e fioritura, sensualità e cupezza. E vi è, come disse Shakespeare, “…il vero fuoco di Prometeo: sono i libri, le arti, le accademie, che mostrano, contengono e nutrono il mondo”. Una scintilla che si ritrova nello sguardo di Elisabetta Serafini, personalità multiforme e appassionata, quando immagina una nuova donna, poetica e forte, che la sta aspettando appena sotto una liscia tela bianca.

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