Claudio Sensi: il professore lascia spazio al poeta

Cristiano Politini

La sua vita possiamo dividerla in due parti. La prima lo vede come dinamico professore di educazione fisica e preside. La seconda in pensione con una recuperata vena poetica. Infatti, alla poesia ha deciso di dedicare il tempo pieno della sua giornata. Claudio Sensi, ha origine laziale ma è anche un po’ piemontese “per un solo quartino”, come ama raccontare.
Un percorso da docente il suo, dedito all’insegnamento puro che arriva agli scranni più alti che lo hanno portato da professore a preside in vari istituti. Oggi, in pensione, ha ritrovato le sue passioni, prima su tutte quella per la poesia, e ha appena pubblicato una raccolta, frutto dell’impegno profuso nella scrittura sin dal primo incontro con lei in terza elementare. Il preside Sensi, così lo chiamano ancora gli amici, ha ripercorso con noi le tappe significative del suo trascorso sino a oggi.

 

Iniziamo dalla prima parte. Chi è Claudio Sensi?

Sono un ex di tutto e del niente. Mi definisco così poiché sono un ex studente di educazione fisica, di pedagogia e giurisprudenza che poi ha dedicato la sua vita all’insegnamento e che ha fatto del suo lavoro una passione. Nella mia vita ho avuto molti interessi: tra questi sicuramente c’è lo sport.

 

Come si è articolato l’insegnamento e come è cambiato nel tempo?

Claudio Sensi insegnante nasce dalla passione per lo sport. Quando ho iniziato a insegnare ero molto giovane e le mie prime lezioni furono al liceo “Tasso” di Roma. Avevo ventidue anni e il primo giorno mi scambiarono per un poliziotto per via del mio vestiario formale. Erano anni culturalmente e politicamente difficili e ricordo sempre questo simpatico episodio. Successivamente mi sono spostato e stabilito nella Tuscia dove ho raggiunto traguardi scolastici importanti, togliendomi molte soddisfazioni, insegnando in diversi istituti della provincia.

 

Ha notato un distacco culturale tra i licei romani e quelli viterbesi?

Rispetto ai licei romani le scuole viterbesi dell’epoca erano profondamente differenti: per prima cosa a Roma c’era un rapporto diverso tra alunni e professori, ma soprattutto diverso era il contesto in cui si insegnava. Si studiava molto in entrambe le realtà, ma Roma risentiva di più dei fervori e dei contrasti politici e molti degli alunni che ho avuto provenivano da famiglie con numerosi stimoli culturali. A Viterbo la situazione era diversa, l’ambiente era più disteso e si studiava alla vecchia maniera con un rapporto diverso tra docente e studente.

 

Come è cambiata la scuola da ieri a oggi?

È cambiata completamente. La scuola di massa, che prima idealmente aveva quattro funzioni istitutive: l’istruzione, l’educazione, la socializzazione e la custodia, negli ultimi decenni, via via, ha visto radicarsi come prioritaria, in certi casi unica, la funzione della custodia dei ragazzi. Oggi, sviliti gli altri valori, ci ritroviamo con una scuola, in senso lato assistenzialistica, che di fatto, per trenta, trentadue ore a settimana, deve tenere impegnati i giovani nelle aule e non a bighellonare per la strada. Credo che si siano persi i valori di una scuola dai peculiari scopi educativi e formativi dei ragazzi che diventano uomini e cittadini.

 

Ci ha appena detto che lo sport è stato il volano dell’insegnamento. Quanto conta per lei?

È stata una fetta importante della mia esistenza, al tempo stesso una scuola di vita poiché ha scandito le mie giornate e il mio modo di vedere e fare le cose. Infatti, oltre che aver insegnato educazione fisica, durante la mia carriera ho conseguito diversi brevetti federali, tra cui: direttore di corsa di ciclismo, istruttore di nuoto e minibasket, assistente di atletica, allenatore internazionale di pallamano…

 

Siamo giunti alla seconda parte. Come si è insinuata la poesia nella sua vita?

Mi sono avvicinato alla poesia in terza elementare, scrivendo dei pensierini che subito venivano corretti in rosso dalla mia maestra. Da adolescente ho continuato a scrivere seguendo la vena romantica della poesia, adattando versi e frasi d’amore del Foscolo a quelli che erano i sentimenti di un giovane romantico. Durante la mia giovinezza ho scritto e avuto esperienze di scrittura molto variegate. Non scrivevo solo per me stesso ma anche su un giornalino dell’istituto superiore. Successivamente, con la maturità ho iniziato a scrivere articoli di taglio politico e pedagogico sullo sport. La passione per la scrittura è andata di pari passo con l’attività lavorativa. Per un certo periodo però l’ho abbandonata e mi sono concentrato sul mio lavoro di insegnante di educazione fisica e poi di preside.

 

Quando nasce la vena poetica?

Sicuramente nei primi anni novanta ed è stata una piacevole riscoperta. La mia scrittura viene dall’aiuto onirico della notte, momento della giornata che preferisco per mettere i pensieri su carta. Mi capita di svegliarmi e di sentirmi ispirato. I componimenti nascono quasi per caso, ma anche da esperienze pregresse.

 

Cosa l’ha spinta a raccogliere le sue creazioni in un libro?

Sicuramente il bisogno di fissare il frutto della mia scrittura. Il libro pubblicato recentemente raccoglie sia le poesie di circa venti anni fa sia quelle scritte recentemente. Il prima e il dopo: la raccolta si intitola “Idoli, manichini e sagome di carta” e comprende centotrentacinque composizioni. Ho moltissimi elaborati ancora da completare, penso di poter arrivare a una raccolta che ne includa almeno settecento. La scelta non è facile, per chi scrive tutte hanno un significato e un’importanza.

 

E la scelta del titolo “Idoli, manichini e sagome di carta”?

Il filo conduttore è di certo il titolo che racchiude un pensiero personale. Per il primo titolo del libro volevo ispirarmi agli Idòla di Francis Bacon ma avevo capito che in questo modo mi sarei limitato. Da qui l’idea dei manichini, soggetti fermi e immobili. Gli idoli sono le aspirazioni che l’uomo ha, a cui ci si rivolge, che una volta che si sono raggiunte, non appaiono come immaginavamo. E’ la contraddizione dell’uomo di oggi, che affronto nel libro, facente parte di i quella contemporaneità popolata da un uomo sempre in movimento, ma che in realtà si scopre sempre più fermo.

 

Come coniuga lo scrivere con il suo amore per la Tuscia ?

La scrittura è un qualcosa di naturale, viene da sé anche mentre dormiamo. Ti rimane una parola in testa e, infine, nasce un componimento che viene da dentro come l’amore vero per questo territorio. Della Tuscia amo i paesaggi, i panorami. Amo i laghi e i monti che circondano i nostri paesi: il Fogliano, la Palanzana e il Cimino, luoghi che riportano ai piccoli borghi della Tuscia. I paesaggi del viterbese influenzano molto le mie poesie, anzi sono insiti nei miei componimenti. Il paesaggio viene trasfigurato metaforicamente: prendo spunto dai laghi e dai monti per esprimere un paesaggio esteriore, ma che racconta il mio paesaggio interiore, la mia appartenenza.

 

Il poliedrico uomo-poeta svela sensazioni in armonia con un mondo che, come ha scritto la professoressa Cinzia Baffa nella bella prefazione del suo libro, diventa intrigante e imprevedibile “come se fosse sempre giorno o sempre notte, come se piovesse da un cielo splendente”.

 

 

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