Bruno Mongiardo: “I piaceri dell’età libera la mia grande risorsa”

di Luciano Costantini

Mongiardo

Bruno Mongiardo, uomo di multiforme ingegno, come il mitico Ulisse: fabbro per tradizione familiare, agricoltore per scelta, medico per professione, atuale presidente dell’Università Lions dell’età libera per amore della cultura. La recinzione in ferro battuto che orla la sua casa, tra Viterbo e Vitorchiano, dove abita insieme alla moglie Maria Teresa, è la spia della versatilità dell’uomo: “Questa l’ho realizzata con le mie mani”, puntualizza con legittimo orgoglio. “A lavorare il ferro ho imparato da mio nonno e poi da mio padre. Un amico di qui mi ha insegnato a coltivare terra e alberi, così ho potuto piantare 230 ulivi a Gallese. Piaceri dell’età libera, come dico io. Cioè del tempo che puoi dedicare a te e agli altri quando hai lasciato il lavoro”. Ha una lunga storia alle spalle, il professore. Che comincia, forse non a caso, proprio nella terra che fu anche dell’eroe omerico durante il suo decennale peregrinare. “Sono nato a Sant’Andrea sullo Ionio,nel cuore del golfo di Squillace, la parte più stretta della Calabria,da dove Ulisse partì per l’ultima tappa che l’avrebbe riportato a Itaca”.

Lei però si chiama Bruno e non Ulisse. Come è arrivato a Viterbo dal profondo Sud?

Dopo aver conosciuto da studente, all’università di Pisa, la donna che sarebbe diventata mia moglie. Sono stato un emigrato calabrese non per necessità, ma per scelta sentimentale. E Viterbo per me è stata una scoperta. Ho perfino avuto difficoltà ad arrivarci con il bus da Roma anche se ero abituato alle strade di casa mia. La Roma-Viterbo, nel ’75 quando giunsi da fidanzato, somigliava molto alla Taranto-Reggio Calabria: treni lentissimi che viaggiavano su un solo binario.

E all’arrivo?

Un effetto bellissimo. Una città unica. Mi sembrava di vivere all’interno di un set cinematografico medievale con il suo stupendo centro storico. Decidemmo, io e mia moglie, di prendere casa in via Cardinal La Fontaine, che un po’ mi ricordava la “ruca”, cioè la ruga, che era la via centrale del mio paese. Si respirava l’amicizia vera, il senso della comunità solidale. Si parlava, si comunicava. C’erano due barbieri, una macelleria, quattro bar. Tanti negozi, insomma. Tutto questo ora non c’è più. Non è vero che il viterbese sia chiuso e non sia accogliente. Allora magari vedevo la città da una prospettiva privilegiata proprio per la professione che svolgevo e che si basava sulla relazione sociale. Mi spiego: fino agli anni Ottanta c’era ancora il medico di famiglia, quello che andava nelle case per prendersi cura delle persone, del loro stato di salute. Entravi in un’abitazione e magari vedevi tanti bambini, ma neppure un giocattolo. Be’ allora percepivi immediatamente cosa voleva dire povertà. E in certe circostanze evidentemente mi sforzavo di proporre alla famiglia cose compatibili con la situazione.

L’inizio della professione?

In Calabria nel ‘78, a ventisei anni non ancora compiuti, da medico condotto in un paese con l’ospedale più vicino a 42 chilometri di distanza. Bellissima esperienza. Poi sono arrivato qui, più precisamente a Montalto di Castro come guardia medica turistica, suscitando legittime perplessità all’interno della mia famiglia. Ho iniziato a fare concorsi in tutta Italia ingannando me stesso, convinto com’ero che Viterbo non l’avrei mai lasciata. Ne vinsi anche uno all’ospedale di Santa Chiara di Pisa, ma rinunciai all’incarico. Poi approdai a quello di Ronciglione come assistente di Medicina e Pronto Soccorso dove sono rimasto per 18 anni. Tutt’ora i pazienti più affezionati li ho proprio a Ronciglione. Probabilmente perchè il rapporto tra paziente e medico si è modificato.

In che senso?

Secondo me, il malato dovrebbe essere curato da una sorta di società per azioni: il paziente e la famiglia, il medico e i colleghi, la struttura ospedaliera. Oggi, purtroppo, non è così. Anche il lessico è cambiato. Di tanto in tanto sento qualche giovane collega che sospira…”ho combattuto tutta la mattinata con quel malato”…ma via, combattere. Ci siamo inventati il termine “badante”. Ma dobbiamo davvero tenere a bada qualcosa o qualcuno da un pericolo? Attenzione al babbo anziano! Insomma, c’è una percezione di allontanamento che viene vista quasi con ostilità.

La medicina moderna è tecnica e preziosa, ma è venuta meno la componente empatica. Esistono autentiche eccellenze, anche nel nostro ospedale, però la gente spesso lamenta la mancanza del rapporto di fiducia che è fattore fondamentale nella cura”.

Infine, l’arrivo a Viterbo.

“Sì, nel ’98, dove sono rimasto nel reparto Medicina fino alla pensione”.

Ma non finisce qui perché ora è presidente…

Presidente da tre anni dell’Università Lions della Terza Età Libera di Viterbo, intitolata a Italo Sacchi sostenuta dal Lions Club di Viterbo – Distretto 108L. L’obiettivo era e resta sempre quello di creare una sinergia tra realtà diverse, come dovrebbe essere in campo medico. Ho sempre pensato si debba prendere il meglio da tutti, da tutto e da ciò che ti dà di buono la vita.

Oggi inizia la sessione autunnale dell’anno accademico che si concluderà il 12 dicembre.

Sono programmati venti interventi su vari argomenti con relatori di primissimo piano della società civile, protagonisti che esprimono la loro professionalità attraverso queste lezioni che hanno la presunzione di essere divulgative, istruttive e perfino educative. L’università libera offre agli iscritti la possibilità di mantenere un certo livello di cultura e sollecitare interessi su temi fondamentali. Ci sono tante, tantissime crisi, dalla giustizia alla scuola, che fanno capo a una crisi generale originata dalla incultura. Per questo è assai gratificante notare nelle persone che frequentano l’università la gioia di riscoprire sapere abbandonati.

Il professor Mongiardo ha un sogno?

Scrivere un breve trattato sulla medicina che non si trova sui libri. Quella che ho imparato dall’esperienza con tanto di racconti, di fatti documentabili, incentrati sull’uomo. Guardi che il campo della medicina è difficilissimo: questa non può fare a meno dell’intelligenza artificiale, ma non può delegarle tutto. Un algoritmo governa un processo che può portare a buon fine, ma solo l’intelligenza naturale aggiunge all’algoritmo la connessione con chi sta male. Condividere la situazione del paziente, questa è la sola medicina che funziona.

Intanto l’invito sentito rivolto a tutti i viterbesi è quello di partecipare agli appuntamenti della sessione autunno-inverno 2023 della della Terza Età Libera di Viterbo.

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Bruno Mongiardo
A Gallese, tra gli ulivi
sant'andrea apostolo dello ionio
Sant’Andrea sullo Ionio, il luogo del cuore

 

 

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