Grazia, talento, umiltà, ironia, empatia: le infinite sfumature della Bellezza hanno assunto magicamente forma, voce, giovedi sera a Spazio Inter Artes nella persona di Benedetta Bruzziches.
Stilista, imprenditrice, designer, quella di Benedetta Bruzziches non è l’ennesima favola di una self-made-woman che, armata di un sogno, ha valicato i confini della nazione per affermarsi nel mondo, ma la storia coraggiosa di un sofferto, audace, folle volo verso l’ignoto, costellato di tanti no.
No alla sicurezza di un prestigioso contratto come stilista a tempo indeterminato a Milano, no al compromesso per evitare il naufragio della sua collezione da esordiente, no alla più fruttuosa ma disumanizzante delocalizzazione della propria produzione.
Se si arriva così in alto non è solo per il talento delle idee, ma anche per la forza e l’umiltà di obbedire alla propria vocazione senza soffocarne mai la scintilla.
Benedetta è la stessa che qualche anno fa vergava le strade del centro di Viterbo con un innaffiatoio per borsa, la stessa che si sigillava le orecchie se la nonna le diceva di non andare in piazza con i fiori in testa, la stessa che di ritorno da scuola al posto del dizionario di greco afferrava l’ago per cucirsi i vestiti.
Eppure Benedetta non è più la stessa. Sui suoi tacchi elegantemente adornati da orbite che farebbero impallidire Saturno, l’ho ammirata mentre scendeva l’acciottolato di via della volta Buia, indossando qualcosa che non è un abito color cinabro, né una borsa a spalla lucente, ma qualcosa che si può definire eleganza, consapevolezza, equilibrio. Fierezza senza superbia, essenzialità senza affettazione, umiltà senza sottomissione.
Benedetta ha detto di sì: sì a quella voce interiore che ha smosso ogni ostacolo tra sé e il successo, sì agli inenarrabili sacrifici come le notti senza sonno nel freddo furgone del suo primo campionario, sì alla ferma volontà di valorizzare e proteggere i suoi “artigianauti”. Scelti ed apprezzati prima come persone che come collaboratori, tutti gli elementi della squadra provengono da strade diverse: dal baseball alla danza, dall’astronomia all’agricoltura, tessono un dialogo unico con la “regina” all’insegna della multidisciplinarietà. Non ci sono ricette per il miracolo-Bruzziches. Benedetta la definisce un’azienda che non è un’azienda che fa prodotti che non sono prodotti, perché la sua azienda è una famiglia che lavorando si diverte e divertendosi lavora; le sue creazioni sono filosofia di vita, raccontano una storia unica, portatrice di due esperienze: quella di chi le ha prodotte e l’altra di chi le indossa. Non solo la postura, ma anche le doti della donna sono maieuticamente portate alla luce dai suoi objects d’heart, capaci di rendere visibile l’invisibile e inespressa interiorità. Così Ariel obbliga chi la indossa a riemergere dal torpore, sospingendosi verso l’alto, mentre invece Carmen offre un supporto consolatorio a chi la accarezza morbidamente ed ecco The Big Wave che rigenera come l’acqua, stimolando all’equilibrio, richiamando la regalità.
Dunque anche la ricetta è una non-ricetta: leggera come un’atmosfera, impalpabile come l’armonia, inafferrabile come l’amicizia. È quel quid ineffabile che circola tra le persone. Lo si percepisce, ma non lo si afferra, tra gli sguardi complici, gli scambi scherzosi, il clima di stima sconfinata ed esilarante allegria che anima la “squadra” Bruzziches, capeggiata dal fratello Agostino, gioioso compagno di avventure e contrappeso raziocinante alla volatile creatività di Benedetta.
Abbiamo avuto il privilegio di assistere al miracolo-Bruzziches: Benedetta ci ha incantati, insegnandoci che andando controcorrente si può avere successo senza vendere la propria anima, nel rispetto delle persone con cui collaboriamo e delle tradizioni che abbiamo ereditato.
Una buona pratica, questa, che non solo valorizza l’artigianato e il Made in Italy come una volta, ma che rappresenta anche il ritorno ad un Umanesimo del lavoro in cui la dignità personale, e non la mera produttività, è di nuovo e finalmente al centro. Altro che superficialità della moda!
Sono stupita che Benedetta abbia accettato il nostro invito, senza conoscere la nostra Associazione, né me. Eppure, dopo pochi minuti, mi pareva di conoscerla da sempre. Forse perché in lei ho ri-conosciuto ciò che di bello, di buono, di unico noi italiani, ed aggiungerei noi viterbesi, abbiamo.
Se solo scendessimo con la sua allure per le vie della città, sorretti dalle nostre idee e dalla nostra consapevolezza, la nostra amata Viterbo, la nostra bella Italia tornerebbe a splendere come fanno le sue borse, i suoi “talismani”, come lei stessa ama chiamarli.
Ora Benedetta splende.
E noi le siamo grati.
*musicista, musicologa, storica dell’arte