Alessandro Valenza neurologo a Belcolle con la passione per il rock

Si chiama Alessandro Valenza, 45 anni. Gli ultimi sette trascorsi al quinto piano dell’ospedale viterbese di Belcolle, reparto neurologia. Una decina di ore al giorno in corsia e una buona fetta del tempo libero consegnata alla musica. “Rock”, precisa lui. “E’ una passione che ho scoperto più o meno un anno fa in occasione di una festa di laurea – meglio sarebbe dire una rievocazione – con vecchi compagni di università e oggi medici al Policlinico di Roma”. La band, di dieci elementi, è nata così, quasi per caso ed oggi si esibisce un po’ ovunque dove il bisogno e la solidarietà chiamano. Sempre e rigorosamente per raccogliere fondi. “Lo abbiamo fatto per sostenere associazioni tra le più varie e, recentemente, per contribuire nel nostro piccolo ad aiutare le popolazioni colpite dal terremoto”. Ultimo concerto a Fabrica di Roma, un paio di settimane fa. “Le richieste per la Twins Fathers Band non mancano>, dice il bassista-neurologo presentando la carta di identità del gruppo. Perché il nostro è, appunto, il bassista del gruppo. “E mi diverto pure a scrivere testi nuovi di zecca su musiche composte da grandi autori”. Insomma, specializzato in cover? “In canzoni ricoverate, prego. La mia professione era e resta quella di medico, anzi di meccanico”. Be’ difficile immaginarlo con quel camice bianco che indossa, i meccanici vestono in tuta blu. “Meccanico – spiega – perché sturo le arterie di chi sfortunatamente è colpito da ictus. Sì, sono un po’ colui che usa una sorta di idraulico liquido per salvare vite umane”. Ovviamente, non è così semplice come liberare un tubo tappato di un lavandino. Il sistema si chiama tecnicamente “trombolisi” e all’ospedale di Belcolle viene praticato da poco più di un anno con confortanti risultati. “Ci ha permesso di salvare almeno una trentina di pazienti da paralisi irreversibili se non dalla morte”, racconta con una punta di orgoglio il medico-chitarrista. “Fondamentale però in questo tipo di interventi è il fattore tempo. Tre quattro ore al massimo da quando l’ictus si manifesta anche se troppo spesso non riusciamo a coglierne i segnali: un braccio indolenzito, un labbro storto, la difficoltà a parlare. L’ictus, pur essendo la terza causa dei decessi, è qualcosa che ancora è avvolto dal mistero. Si dice semplicemente…ha avuto una toccatina…perché non si riesce a spiegarne cause, sintomi e rimedi”. In altre parole, manca una adeguata conoscenza medica. O, forse, si ha il timore di acquisirla. Non ci sono, ovviamente, salvavita miracolosi oltre ai soliti “consigli”: non fumare, bere poco, evitare la vita sedentaria. Quella che si sente di dare, Alessandro Valenza, è una raccomandazione forte e chiara sotto forma di acronimo: Fast che sta per Face, Arm, Speech, Time, cioè Viso, Braccio, Parola, Tempo. Un mix che, alla fine, si sostanzia in una priorità: fare presto. Fare presto per identificare l’ictus e per sconfiggerlo. O almeno per limitarne le conseguenze.

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