Raffaele Sollecito a Viterbo: mai arrendersi, denudare la giustizia

giustizia

Solo quando sono state occupate tutte le sedie all’interno della piccola e vivace libreria Etruria a Viterbo, si può finalmente cominciare. Tiziana Agnitelli presenta gli autori del saggio innovativo “Temi desnuda” : il magistrato e, come lui stesso si definisce, drammaturgo Gennaro Francione, l’avvocato Paolo Franceschetti, l’avvocato, nonché relatrice, Sabrina del Fio, ed infine l’ex magistrato Ferdinando Imposimato (non presente alla conferenza). Accanto a loro un ragazzo diventato drammaticamente celebre per l’omicidio della studentessa americana Meredith Kerchersied: Raffaele Sollecito ormai scagionato da tutte le accuse.

Gennaro Francione è il primo a prendere la parola, comincia dalla copertina e ne spiega il significato. Rappresentata la dea greca della giustizia Temi, con una benda sugli occhi e in mano una bilancia. Su uno dei due piatti vi sono dei lingotti d’oro, simbolo del potere, ed è questo il piatto più pesante; sull’altro una falce ed un martello. Il riferimento al simbolo comunista, spiega, è in questo caso puramente casuale, lo scopo era infatti quello di rappresentare il popolo, la parte debole, scegliendo la falce come simbolo degli agricoltori, e il martello come quello degli operai.

Il titolo del libro, aggiunge Francione, si rifà al celebre dipinto ottocentesco della “Maya desnuda” del Goya, in quanto il messaggio di cui si fa portavoce è quello di mettere a nudo la giustizia per scoprirne le falle. Egli infatti paragona i metodi giudiziari di oggi a quelli medievali dell’Ordalia e dell’Inquisizione a causa dei quali persone innocenti venivano condannate senza possibilità di discolparsi. Sarebbe questo il caso dei processi indiziari dei giorni nostri, contro i quali il magistrato si scaglia apertamente. In nome della battaglia contro questa non-giustizia che sta portando avanti ha fondato il Movimento per il neo rinascimento della giustizia, individuando degli ideali illuministici di Voltaire, il quale condannava i giochi di potere che schiacciavano i più deboli, il primo rinascimento. In tal proposito afferma: “Stiamo ancora aspettando che Voltaire sia rinnovato in nome di una giustizia in cui il giudice sia un po’ il medico dell’accusato.”

Il saggio farebbe parte di un progetto più ampio, una collana del “settimo potere”, ovvero il web, l’unico vero potere del popolo. Ed è proprio il web il mezzo attraverso il quale ha potuto avviare la collaborazione con Paolo Franceschetti, al quale lascia la parola.

Quest’ultimo confessa che inizialmente era piuttosto titubante riguardo la collaborazione con il magistrato Francione che gli aveva chiesto di scrivere un capitolo su ciò che pensava della riforma della giustizia, perché temeva che le sue idee un po’ forti non sarebbero state accettate. Non immaginava certo che sarebbero state addirittura apprezzate dal magistrato che si limitò a cambiare la parola “riforma” con quella di “rivoluzione”.

Dopo questo primo aneddoto l’avvocato Franceschetti entra nel vivo della discussione presentando alcuni dei casi eclatanti che sono illustrati con dovizia di particolari nel saggio, come ad esempio il processo del Mostro di Firenze, il processo di Cogne, piuttosto che il processo delle Bestie di Satana, nel quale per altro lui era coinvolto in prima persona in quanto avvocato della difesa, e sul quale è stato girato anche il film di Emanuele Cerman, “In nomine Satan”, in cui si sosteneva la non colpevolezza degli accusati e la corruzione del procuratore che si occupava delle indagini. Questi processi, e molti altri, secondo l’avvocato  hanno in comune il fatto che  sarebbero avvenuti in mancanza di elementi quali ad esempio in ritrovamenti delle armi dei delitti, del movente e di prove decisive certe. Processi resi celebri dai telegiornali, anch’essi strumenti del potere, che sono tesi a deviare l’attenzione verso qualcos’altro.

Parte della colpa sarebbe da addossare però anche alla polizia scientifica che, non solo per mancanza di fondi, “non fa le perizie come dovrebbe farle”.

La prima domanda viene rivolta dalla moderatrice Tiziana Agnitelli che, dopo aver ascoltato le presunte verità sulle cospirazioni che muovono i casi giudiziari, dice: “Mi sembra di vivere in Matrix” e chiede in che modo i singoli cittadini possano agire per cambiare il sistema.

In risposta viene ribadita l’importanza del web per fare controinformazione, e allo stesso tempo Franceschetti, su questo punto meno pessimista del magistrato Francione, afferma: “Non bisogna drammatizzare. La giustizia non è completamente da buttare, è sicuramente molto meglio di cinquanta o cento anni fa”, si dovrebbe però andare avanti per cercare di migliorarla ancora.

Tuttavia entrambi sono d’accordo su un punto: c’è molto di più di quello che ci fanno sapere dietro questi casi, verità scomode che i media, controllati da istituzioni di potere forti, non devono lasciar trapelare.

Rincara la dose l’avvocato Sabrina del Fio, che nel suo lavoro collabora con Salvatore Borsellino, fratello minore del magistrato Paolo Borsellino assassinato il 19 luglio del 1992. “L’accesso alla giustizia è per pochi” afferma, infatti i costi dei processi crescono in modo esponenziale, e troppo spesso gli avvocati sono costretti a considerare se convenga o meno ai loro clienti fare ricorso. Invita però entrambe le parti a non gettare la spugna.

Arriva così il momento di Raffaele Sollecito che si alza in piedi per prendere la parola, visibilmente a disagio. Vuole evitare di parlare degli otto anni di iter processuale in modo dettagliato, parla invece di sé: 31 anni, ingegnere del software, viene da una famiglia semplicissima, aveva 23 anni e stava per discutere la tesi quando tutto è successo e si è ritrovato catapultato in una realtà che all’inizio non gli sembrava possibile.

Sei mesi in isolamento totale, due settimane senza poter vedere nemmeno famigliari e avvocati, quattro anni e mezzo di carcere di massima sicurezza, otto anni di processi Era lui l’assassino di Meredith Kercher. Sono stati questi anni che lo hanno segnato nel profondo, “Nel periodo di isolamento”, rivela, “ho imparato bene a distinguere i termini solitudine e non solitudine, e a non usarli più in modo improprio.”

Il suo è uno dei casi di processi indiziari avvenuti in mancanza di prove e lui sostiene addirittura che alcune delle prove richeiste dalla difesa siano state fatte sparire, e che quelle che erano a disposizione non siano state fatte analizzare.

Mentre racconta della terribile esperienza parla però in modo sereno tanto da attirare un complimento del magistrato Francione. “Sono felice di poterne parlare con voi ora che ne sono venuto fuori.” afferma il ragazzo che evita di polemizzare sui media che hanno sottaciuto, secondo lui,  molte delle verità venute a galla durante i cinque processi. Ma in questi otto anni d’inferno, aiutato da amici e famigliari, non si è mai fermato, leggendo ogni singola pagina di resoconti sui processi che veniva scritta ha portato avanti la sua battaglia.Conclude il suo intervento, e la conferenza, con un appello generale: “Il mio invito è quello di non arrendersi, di continuare su questa strada a denudare la giustizia.”

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