Tuscia in pillole. La Marchesa di Pescara

di Vincenzo Ceniti*

Il romanzo “Il segreto di Vittoria” di Giulia Alberico recentemente editato da Piemme (aprile 2024) ci offre la gradita occasione di ritornare sull’intrigante personaggio di Vittoria Colonna vissuta a cavallo Quattro-Cinquecento che ha avuto a che fare con Viterbo essendo stata più volte ospite  nella prima metà del Cinquecento del monastero delle domenicane di Santa Caterina in piazza Dante, dove oggi si trova il liceo scientifico “Paolo Ruffini”. Nei suoi appunti troviamo scritto  “In questo santo loco dove mi trovo sana e l’aere mi è proficuo, quanto meo intendo del mondo più mi piace”.

Il racconto dell’Alberico si basa sul ricco epistolario che la duchessa di Pescara (titolo conseguito dopo il matrimonio con Ferrante d’Avalos)  intrattenne con Michelangelo negli anni Trenta-Quaranta del Cinquecento  Un innamoramento del tutto mistico (tanto spirito e poca carne) complici taluni “limiti” dell’uno e la  morigeratezza dell’altra, specialmente dopo la morte prematura del marito nel 1525.

“L’ho amata fin dal primo istante, dal primo sguardo –  annoterà l’artista toscano nelle sue  memorie –  mi ha cambiato la vita” . In comune avevano un debole per le rime di Petrarca cui Vittoria ricorreva nel chiosare le lettere indirizzate al Buonarrori e le sorti di una chiesa che era stata minata alle fondamenta dalle intemperanze di Lutero dopo il suo viaggio a Roma, complici le  lucrose indulgenze  ordinate da Leone X e le ingombranti intromissioni del clero nei rapporti tra l’uomo e Dio. Detta in parole povere, per guadagnarsi il Paradiso non contano le opere, ma la fede.  E fu scisma a partire dal 1517.  “La barca di Pietro è carica di fango – scrive Vittoria – e bisogna risanarla dal lezzo antico  della corruzione”.  

Segnali di  pericolo li aveva già lanciati nel 1512  il card. Egidio Antonini (anch’egli unito a Viterbo da mille ragioni) nell’orazione introduttiva del Concilio Lateranense V  indetto da Giulio II, senza però ascolti convinti. Ad ogni tentativo di  ricucire lo strappo, la chiesa rispondeva con minacce, perfino torture che non risparmiavano nessuno. Per ovviare agli strali del santissimo governo, che tacciava di eresia ogni forma di riappacificazione, Vittoria e Michelangelo comunicavano attraverso messaggi criptati che sono rimasti un curioso mistero.

Sembra che uno di questi messaggi s’annidi in una Crocifissione al  Museo del Colle del Duomo di Viterbo. Michelangelo vedeva in Vittoria una partner intellettuale ideale, al pari suo. In più le riconosceva una superiorità sul piano spirituale. Al contrario di quella folla di “arrampicatori” di cui era ricolma la chiesa di Roma. Forse ne dipinse le sembianze dando il suo volto alla Madonna nel Giudizio della Sistina, a fianco del Cristo. Sappiamo che Vittoria Colonna fu una delle poche persone ad avere il pass alla Sistina mentre Michelangelo dipingeva. E questo perché l’artista aveva una grande stima di lei con cui spesso discuteva sul  “senso” del suo grande progetto.

Piuttosto evidente in un’altra opera sempre sul tema della Croce, è il messaggio espresso nel volto di Cristo simile a quello già visto nel dipinto della Samaritana (oggi disperso) in cui Gesù dice alla donna di Samaria “Dammi da bere!”: classica espressione di sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna. Questo tema fui molto caro a quel manipolo di intellettuali (conosciuti come gli Spirituali) che Vittoria Colonna e il card. inglese Reginald Pole (allora legato del Patrimonio di San Pietro) riunivano proprio nel monastero di Santa Caterina a Viterbo tra il 1541 e il 1543.

Ci fu un altro personaggio viterbese nella vita di Vittoria, il pontefice Paolo III Farnese che le concesse il diritto di dimorare in ogni convento del Patrimonio e che nel 1545 indisse il Concilio di Trento  proprio per mettere a tacere ogni tentativo di ricomposizione della frattura della chiesa, compreso quello degli “Spirituali” .

Vittoria morirà nel 1547 a poco più di 50 anni, giusto in tempo per non incorrere nelle persecuzioni dell’Inquisizione. Comunque.  Il pontefice  Paolo IV Carafa  troverà il modo di rifarsi con alcune angherie sulle monache di Santa Caterina che la ospitarono. Va ricordato che nei primi anni del Settecento la cappella interna al monastero venne dotata di un ciclo di affreschi di Antonio Colli, viterbese di adozione, già attivo nella scuola di Andrea Pozzo.

Toccherà a Sebastiano nel Piombo, altro personaggio in contatto con Viterbo per la sua famosa  Pietà, ad eseguire tra il  1520 e il 1525 il presunto ritratto di Vittoria , oggi al Museo Nazionale d’Arte  della Catalogna, che ci mostra il fascino, l’eleganza e la bellezza della marchesa di Pescara.

 

Nella foto, Vittoria Colonna (?) nell’olio su tavola di Sebastiano del Piombo

 

L’autore*   

ceniti

Console di Viterbo del Touring Club Italiano. Direttore per oltre trent’anni dell’Ente Provinciale per il Turismo di Viterbo (poi Apt). È autore di varie monografie sul turismo e di articoli per riviste e quotidiani. Collabora con organismi e associazioni per iniziative promo-culturali. Un grande conoscitore della Tuscia.

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