Artista, terzino destro della Viterbese, comunista, mangiapreti, trasparente, coerente, amicone, Pirro Meacci (1903-1982) umbro di lignaggio (genitori di Baschi), orvietano di nascita, viterbese di adozione e di fattezze, faceva parte nel post guerra Viterbo di quel crocchio di artisti formato –bohémiens in cui militavano pittori come Felice Ludovisi, Fortunato Del Tavano, Publio Muratore, Gavino Polo, Nino Mantovani.
Come terzino non era un granché. Meglio il fratello Brenno, anche lui gialloblu negli anni Venti del secolo scorso. Sulla sua fede politica non si scherzava. Comunista di ferro, osservante, militante e credente, restio a inciuci e compromessi. Forse troppo, se è vero che se ne andò dal partito per divergenze politiche dopo essere stato eletto consigliere al Comune di Viterbo alla fine del Cinquanta.
Sua moglie, Natalina Sopranzi, anch’essa tutta falce e martello, era riconoscibile dalla treccia acciambellata sulla nuca, protetta nelle giornate fredde da una coroia. Apparteneva al movimento femminile, un’avanguardia in quegli anni dopoguerra, che faceva tremare i preti e lo scudo crociato. Si racconta che in una manifestazione a Viterbo per i diritti della donna, avesse colpito alla testa con un sampietrino il colonnello di PS Salvatore Pezzino impegnato ad arginare una “carica” di femmine scatenate.
Meacci in quegli anni ruggenti abitava a Viterbo in un villino dei ferrovieri ai Cappuccini in viale IV Novembre, angolo via Col di Lana. Io che vivevo poco oltre, nel palazzo dell’Incis, lo vedevo spesso dietro la ringhiera del suo giardino o presso il cancelletto di ferro. Coppola alla spagnola e fiocco rosso al collo, alle adunate del 25 aprile e del 1° maggio non mancava mai. Aveva lo studio in piazza Scacciaricci con l’affaccio sulla piazzetta di San Pellegrino, una dei più esclusivi d’Italia.
Lo temevo. Già dal nome mi metteva a disagio. Era comunista e i comunisti a quei tempi mangiavano i bambini. Alle feste dell’Unità a Pian della Britta era sempre in prima fila per il bene del partito. Si prestava a realizzare e disegnare, insieme all’allievo Nino Mantovani, i cartelloni pubblicitari.
Dopo i Cappuccini andò ad abitare in via card. La Fontaine e successivamente in via della Torre dove rimase fino alla morte nel 1982 avvenuta a Viterbo in una clinica di viale Trieste. Lo moglie Natalina lo seguirà presto, dopo una penosa degenza al Giovanni XXIII. Lui riposa in un loculo del cimitero vecchio di Viterbo (riquadro A), essenziale e modesto come fu sempre il suo comportamento.
Meacci lavorava di carboncino, di china e di olio, sia su carta, che su tela. Esagerato il numero dei disegni che improvvisava in vari momenti della giornata. Ne faceva a decine, continuamente.. Rappresentavano soprattutto ritratti di amici e nemici, scorci medioevali, guerriglieri in azione nel Vietnam, anche gatti.
Il detto maligno e irriverente che circolava in versione dialettale “Meacce, sa fa li culi ma non le facce”, come se i fondoschiena fossero migliori dei volti, viene smentito dall’olio su carta “Nudo di donna” e dall’olio su tavola “Ritratto”, ambedue con sguardi raffinati e di grande femminilità. Pittura pervasa da un realismo ideologico? Certamente sì, intensa e vigorosa, sia nei tratti dei volti, che in quelli meno morbidi di anfratti o campagne assolate, attrezzi di lavoro, gatti dagli occhi sanguigni e peli irti, clowns felliniani, contadini e operai “con le spalle sempre ricurve e piene di guai” com’ebbe a scrivere il suo ammiratore e amico Aldo Laterza. Pittura inebriata quasi sempre da colori fiammanti alla Guttuso, icona rivoluzionaria di allora presa a modello come artista, come uomo e come comunista.
I soggetti di Meacci, è stato scritto, sono rappresentati senza veli così com’è stato il suo stile di vita La Provincia ne fu convinta promotrice, tanto che ad un anno dalla morte organizzò, nel 1983 al palazzo degli Alessandri a Viterbo, in pieno quartiere medioevale, un’antologica dal titolo “Per un ricordo di Pirro Meacci”. Nel 2004 venne allestita una sua retrospettiva nella Sala Anselmi di via Saffi, con l’organizzazione dell’associazione “Viterbo 2000” guidata allora da Rosetta Virtuoso. Poi più nulla, silenzio assoluto. Ed è un peccato.
L’autore*
Console di Viterbo del Touring Club Italiano. Direttore per oltre trent’anni dell’Ente Provinciale per il Turismo di Viterbo (poi Apt). È autore di varie monografie sul turismo e di articoli per riviste e quotidiani. Collabora con organismi e associazioni per iniziative promo-culturali. Un grande conoscitore della Tuscia.