Grosso quel tanto da superare il quintale e mezzo. Riservato quel tanto da sposarsi in una chiesa di Roma per sfuggire agli occhi indiscreti dei suoi concittadini. Pasticcione quel tanto da trasformare la sua camera-studio al civico 45 di via Cairoli (già via Salici) a Viterbo, dove nacque nel 1914, in un caos ordinato di fogli, appunti, registri, fatture, agende e cartoline.
Parliamo di Francesco Ludovisi di buon lignaggio viterbese discendente da una solida famiglia originaria dell’Umbria che dal 1700 occupa ancora oggi a Viterbo un palazzo storico vicino ad altre dimore dello stesso rango, appartenute a varie famiglie come Prada, Colesanti, Marcucci. La camera da letto in cui è nato è ancora arredata con il comò e l’armadio del tempo. Alle pareti quadri e schizzi del fratello Felice e un ritratto eseguito dall’amico Fortunato Del Tavano che insieme a Pirro Meacci, Nino Mantovani, Publio Muratore, Gavino Polo e allo stesso Felice Ludovisi faceva parte di un drappello artistico-intellettuale nella Viterbo di allora.
Il pittore colombiano Fernando Botero non lo conobbe ed è stato un peccato, perché altrimenti ne avrebbe fatto una scultura, di quelle opulenti com’era nel suo stile, che oggi ammireremmo in una piazza della città. Data la sua corporatura extra large, ci pensava il sarto Ficari di Montefiascone a cucirgli i vestiti su misura, così come facevano la camiciaia Maria e alcune maglieriste. Subito patentato, appena maggiorenne, alla guida inizialmente di una Balilla e successivamente di un Fiat Millecento bicolore.
Avviato agli studi giuridici, Francesco Ludovisi, per gli amici Checchino, preferì restarsene tra le sue scartoffie ad amministrare gli immobili e i terreni ricevuti in eredità dai genitori Giovanni e Maria Teresa Petroselli. Gli appezzamenti erano sparsi qua e là poco fuori le mura di Viterbo a Merlano, Respoglio, Freddano, Pian di Tortora, San Martino. Storico il frantoio attivo fino al 1986 in un locale sotto la torre di San Biele. Quelle campagne fatte di sudore, contadini, artigiani, cani fedeli, stalle e bestiame garantivano alla famiglia, e non solo, olio, vino, grano, prosciutti, insaccati, formaggi, frutta, ortaggi e legname.
Accudiva ai beni e alle proprietà il fido Salvatore, un massaro a portata di mano nella vicina via della Morra, che ogni mattina andava da lui a rapporto per il programma della giornata. Molti dei locali, che oggi si affacciano su via Cairoli con varie destinazioni commerciali, erano destinati a magazzini di casa Ludovisi dove venivano ricoverati sementi, prodotti, attrezzi, legna da ardere ed altro. Un vano era attrezzato a “fraschetta” dove si sostava per abbondanti sorsate di bianco e rosso di cantina, abbinate semmai a scaglie di cacio, trance di lardo, olive secche e fette di pane casareccio. La vicina fontana in piazza San Faustino fino a qualche decennio fa era circondata, agli inizi di settembre, da grandi botti per essere sciacquate e sistemate in vista della nuova vendemmia.
Veniva anche chiamato il Signorino (come l’amico Nando Micara), sia per il portamento nobile e discreto, sia per il fatto di aver convolato con la sua Margherita Bonucci in età da zitellone, ad una quarantina d’anni. Troppi anche per quel lontano 1953.
Checchino, mi dice la figlia Isabella, era buono e generoso. Anche un po’ malinconico, come sanno esserlo le persone terragne e positive (parafrasando un detto del conterraneo Bonaventura Tecchi) con i piedi per terra, che conoscono le leggi arcane della natura, senza eccessi e grilli per la testa.
Mai andato in vacanza. Semmai brevi soggiorni estivi nella villa del Merlano insieme alla moglie, i figli, il fratello Felice e gli amici di sempre che nel tardo pomeriggio si ritrovavano da Schenardi per il caffè o il bicchierino di Sambuca. Gli apericena non erano stati ancora inventati. Tra quelli più cari, Ugo Lentini, Corrado e Carlo Buzzi, Mario De Facendis, Torquato Terracina, affratellati nel partito Liberale Italiano di Aldo Bozzi. Ed anche Lattanzi (titolare di un negozio di stoffe) , Tommaso Vinci, Torquato Barbacci, Tito Mangani, Nando Micara, Fabio e Vincenzo Ludovisi ed altri.
La ritirata era puntualmente fissata nelle prime ore della sera. Unica trasgressione le sigarette e la pipa di cui però faceva un uso moderato. Il suo menù era abbastanza sobrio, con preferenze per formaggi e uova. Mai prolungate assenze da casa, neanche sotto i bombardamenti del 1944 che colpirono duramente il quartiere dove abitava. La famiglia però era al sicuro, sfollata nella villa del Merlano.
Il carattere di amicone e di uomo dabbene gli consentì di svolgere a Viterbo varie attività sociali tra le quali censore della Banca d’Italia, consigliere della Cassa di Risparmio e dell’Associazione Industriali di cui fu uno dei soci fondatori. Da ricordare il giorno quando l’Associazione ospitò a Viterbo Guido Carli, Governatore della Banca d’Italia. Tra i suoi antenati super, troviamo il pontefice Gregorio XV. Ma Checchino non se ne è mai vantato. Morì relativamente giovane a 67 anni nel1981 ed è sepolto a San Lazzaro nella tomba di famiglia.
L’autore*
Console di Viterbo del Touring Club Italiano. Direttore per oltre trent’anni dell’Ente Provinciale per il Turismo di Viterbo (poi Apt). È autore di varie monografie sul turismo e di articoli per riviste e quotidiani. Collabora con organismi e associazioni per iniziative promo-culturali. Un grande conoscitore della Tuscia.