Simona Maiucci, chi l’ha detto che le favole siano soltanto per i bambini

di Donatella Agostini

Simona Maiucci

La realtà diventa più bella quando assume la forma e la fantasia delle favole.  E se i bambini le leggono per alimentare la loro fantasia e ridimensionare le loro paure, gli adulti riprendono in mano le favole per ricordare quello che erano stati un tempo, e tirare fuori da loro stessi l’innocenza che sembrava perduta. Allora chi meglio di Simona Maiucci può condurci nel loro mondo magico e colorato? Lei che ha il potere “magico” di scrivere storie avventurose, coinvolgenti, capaci di trasportarci in un mondo di fantasia, in cui fanno spesso capolino paesaggi e avvenimenti reali della nostra Tuscia, dove Simona è nata e dove vive. Sguardo allegro da elfo, innamorata della natura, ama dipingere, fotografare e scrivere. Ha una sensibilità particolare nei confronti dell’infanzia e dell’adolescenza, anche per la sua esperienza ventennale nello scoutismo. «Come tanti altri, ho iniziato a scrivere per gioco. L’ispirazione per il primo libro me l’ha data mia figlia, che a tre o quattro anni andava in giro per casa con un libro stretto a sé chiamandolo Libroamico. Mi sono detta: voglio scrivere una favola per lei su questo. E poi, quando qualcuno l’ha letta, l’ha trovata troppo carina per rimanere chiusa in un cassetto… ed eccomi qua», esordisce con la semplicità che la contraddistingue. Simona Maiucci ha realizzato due storie illustrate, “Libroamico –  Una vita di carta” (2021) e “Mate Matticà” (2022), entrambe edite da Youcanprint, ed illustrate sapientemente da Tiziana Barbaranelli e Luca Valli. Classificarle come letteratura per ragazzi tout court suona riduttivo: in realtà si prestano ad una lettura intergenerazionale, data l’importanza delle tematiche da lei affrontate. Con delicatezza e competenza, Simona affronta infatti un problema particolarmente sentito al giorno d’oggi, quello dei disturbi dell’apprendimento: in altre parole, le difficoltà che alcuni ragazzi incontrano durante il loro percorso scolastico, come ad esempio l’incapacità di leggere con scioltezza (la dislessia), la difficoltà nello scrivere (la disgrafia), i problemi nell’affrontare i calcoli matematici (la discalculia). Incontriamo Simona per parlare insieme delle sue “creature”.

«Il mio scopo era parlare della bellezza della lettura», afferma. «E rivolgendomi soprattutto ai ragazzi, ho cercato di essere molto sincera, perché con loro bisogna esserlo: la lettura non è sempre facile, soprattutto per quei ragazzi che soffrono di questi disturbi dell’apprendimento, su cui sono andata a documentarmi a fondo. “Libroamico” parla di dislessia e di iperattività; “Mate Matticà” affronta il problema della discalculia: però in maniera divertente, gioiosa. Con un linguaggio semplice, ma non troppo: sono testi da affrontare. Un ragazzino con la dislessia magari si deve far aiutare. Anche se poi i miei racconti li ho voluti ad alta leggibilità: font e interlinee particolari, non sillabando mai le parole, perché il dislessico perde il senso e poi si arrende… io non volevo questa resa. Volevo che arrivasse sino alla fine». Lavorativamente parlando, Maiucci è lontana dal mondo delle favole e da quello dell’insegnamento. «Non ho le competenze professionali per valutare se la scuola italiana mette in campo strumenti sufficienti a supportare appieno questi ragazzi», aggiunge. «Vorrei almeno che queste definizioni – dislessia, disgrafia, discalculia – venissero sdoganate: ne parlo proprio per normalizzarle. Mi piaceva cercare di far parlare i ragazzi di queste cose, trovare la giusta via di mezzo tra informarli e divertirli».

“Libroamico” è la storia di un libro che prende vita, perché una bambina gli suscita delle emozioni, ed essendo fatto di carta, andrà incontro ad una serie di trasformazioni. «Nei miei testi parlo tanto di emozioni, anche e soprattutto di quelle negative, che possono essere sfruttate a nostro vantaggio. Ognuno di noi ha i suoi lati positivi, come il personaggio di Cartappallottolata, che crede di non valere niente, perché tutti la appallottolano e la buttano via: invece ha il grande pregio di far divertire i bambini in classe. Tutti abbiamo delle difficoltà, ma poi tiriamo fuori delle caratteristiche speciali che ci rendono più capaci in altro». L’altro libro illustrato di Simona si chiama “Mate Matticà”. «Al pari di Libroamico, questo buffo personaggio mi è arrivato così, già con la sua faccina, la sua caratterizzazione, con quel nome un po’ strano che incuriosisce. La favola affronta un’altra tematica importante, la discalculia. Ho voluto personificare la matematica: implacabile, precisa, esatta, iperstressata: ecco, io l’ho voluta rendere anche vulnerabile, bisognosa d’aiuto, perché i ragazzini la devono vedere anche da un altro punto di vista, soprattutto coloro che hanno difficoltà con lei». La protagonista vivrà pericolose avventure: incapace di gestire le emozioni – che tornano centrali, anche in questo libro – combinerà un sacco di guai. «Mate si offende moltissimo con i bambini che la maltrattano, e deciderà di buttare tutto il suo sapere matematico nel lago di Vico, precipitando il mondo nel caos. Non quadra più niente! Non si capisce più chi vince un gioco, e nessuno è più in grado di affrontare la verifica in classe. Ma il bambino coprotagonista della storia, triste, insicuro, si riscatterà e riuscirà a risolvere la situazione con l’aiuto dei suoi amici, tirando fuori finalmente il coraggio che fino a quel momento gli era sempre mancato». Lo farà grazie ad un misterioso astuccio contenente degli strumenti, che gli insegnanti lettori identificheranno immediatamente negli strumenti compensativi di sostegno. «Mi piaceva l’idea che le difficoltà che incontra quotidianamente il ragazzino discalculico, fossero all’improvviso comuni a tutti. È l’empatia, il mettersi nei panni degli altri… E volevo trasmettere il messaggio che ognuno deve imparare a credere in sé stesso, facendo leva sulle qualità che tutti hanno, senza concentrarsi unicamente su quello che non va».

Mate Matticà precipita il sapere matematico nel lago di Vico, ma non è l’unico riferimento alla nostra terra che Simona ha amato fare nelle sue favole. «C’è il capitolo finale di “Libroamico” che è tutto ambientato al Carnevale di Ronciglione. Sono molto legata al paese e alla manifestazione», afferma. «La bellezza di questa festa non è tanto in sé, quanto nell’unione delle famiglie che la creano». La Tuscia ritorna ancora nella raccolta di cinque racconti “Spirespiro”, ultima opera di Simona.  «La raccolta è una specie di incidente di percorso… mentre scrivevo le favole ho buttato giù anche dei racconti, e sempre per gioco ho cominciato a mandarli a concorsi letterari». I racconti di Simona hanno suscitato interesse e plauso, vincendo premi e posizionandosi sempre in classifica. Un racconto spicca tra gli altri: è “Salvo e Gino”, che arriva dritto al cuore, anche perché parla delle tradizioni contadine della nostra terra, che se tramandate, riescono a dare un senso alla nostra vita. «Pochi giorni fa sono stata invitata a partecipare all’incontro “Contadini in cattedra”, insieme ai rappresentanti del corso di agraria dell’Istituto superiore Orioli e ad alcuni docenti di Agraria dell’Università della Tuscia, proprio per parlare di questo racconto». Salvo è un ragazzo viterbese che si sta perdendo: non ha amici, litiga con la famiglia, sente un grande senso di vuoto ed è attirato dalle dipendenze. Gino è un contadino ormai anziano. Per una serie di vicende si incontrano, e Gino vuole insegnargli a fare un innesto su una pianta di ciliegio, perché per lui quello è il suo ultimo desiderio. «Due generazioni lontanissime tra loro, e due identiche solitudini, si incontrano e si salvano a vicenda».

Simona classe 1974 vive con la sua famiglia fuori Viterbo, e apprezza moltissimo i ritmi tranquilli della Tuscia. «Un giorno con mia figlia ci siamo divertite con le immagini satellitari. Abbiamo localizzato la nostra casa e poi, allargando via via, i dintorni. Il bosco, il lago di Vico, poi il lago di Bolsena… le ho detto: cosa vedrebbe un ragazzino di Milano? Palazzi, palazzi, e poi ancora palazzi… vivere a Viterbo non ha prezzo, in termini di tempo libero e di vicinanza con la natura. Non c’è per me ispirazione migliore che passeggiare in un bosco. E i ritmi tranquilli permettono di godere delle gioie dei genitori che ci danno aiuto e affetto… la preziosità di mia figlia che sta in braccio a mio padre con il caminetto acceso… questa è una gioia della vita!». Una gioia semplice che somiglia a quelle delle favole. Ma chi l’ha detto che le favole siano soltanto per i bambini?

 

Mate matticà - Simona Maiucci - copertina

 

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