Renée Abou Jaoudé: scienza e cucina sono la mia nuova frontiera

Rossella Cravero

Renée Abou Jaoudé

Con le mani in pasta e la testa sui libri, sempre e comunque. Non l’ha fermata il lockdown, anzi, ma soprattutto non si è fermata dopo la chiusura di quello che era diventato un rifugio goloso per i viterbesi amanti del buono e del bello. Renée Abou Jaoudé, la pasticcera che nel centro storico del capoluogo aveva lanciato il suo Le Cose Buone, rigorosamente con prodotti a chilometro zero, è rimasta un punto di riferimento per la pasticceria locale, facendo poi un cambio di ruolo e indossando i panni dell’insegnante, andando ad unire cucina e scienza. E’ questo il binomio che la contraddistingue e che trova le sue radici nella formazione di ricercatrice che l’ha accompagnata dalla prima sfida tra uova, zucchero e farina.

Come sei arrivata a questa nuova opportunità?

Da luglio 2019 ho accettato l’incarico da una scuola che fa corsi di formazione professionale online attiva da più di 10 anni, mi sono trovata a precorrere i tempi. Quando è possibile faccio lezioni in presenza a Roma, ma la maggior parte del lavoro si svolge online. Ho aperto i libri di chimica e ho ripreso a studiare.

La chimica per i dolci?  

Sì, cerco di offrire ai ragazzi tantissime basi teoriche per ogni categoria di prodotto. Per fare un esempio: se l’argomento sono le masse montate, tipo i pan di spagna, non insegno loro soltanto come realizzarle, ma li guido nell’analisi di cosa sono, quali sono gli obiettivi da raggiungere, per quale motivo si mischiano gli ingredienti in un determinato ordine, qual è il ruolo di ogni ingrediente nella ricetta, che cosa succede se aumento o diminuisco un composto, tutto corredato da video lezione e da power point, le immagini sono di aiuto per far vedere quando la preparazione è riuscita bene o meno. Lo studente acquisisce così anche una preparazione teorica, non solo pratica. All’inizio non è stato facile, perché non ero abituata ad avere un prodotto realizzato male, quindi ho dovuto provare passo passo tutti gli errori che loro potevano commettere per capire cosa ci fosse di sbagliato e poterli correggere. I ragazzi lavorano con gli strumenti che hanno a casa, poi è previsto uno stage in presenza, dove imparano a organizzare il lavoro, ad incastrare le preparazioni, mentre quando studiano fanno solo una cosa alla volta. Fanno tanta pratica con strumentazione non professionale, ma tutto quello che è producibile in piccola scala si può poi rifare in scala maggiore.

Le Cose Buone ha chiuso i battenti a gennaio 2018

Da lì in poi ho cominciato a fare lezioni amatoriali al Gambero Rosso e in un’altra scuola che ora ha chiuso. Insegno alla scuola Cordon Bleu di Firenze; il direttore didattico, Guido Mori, è un chimico. Apprezzo molto la sua preparazione e in qualche modo è la persona con cui mi sento più vicina in termini di approccio alla didattica. Ho continuato a fare i corsi per gli studenti americani di Usac. Dall’anno scorso ci siamo spostati come laboratorio nel Dipartimento Dibaf dell’Università della Tuscia, dove ho messo tutti i macchinari della mia pasticceria e li utilizzo per le lezioni e per seguire alcuni studenti del corso di laurea in Tecnologie Alimentari, con cui svolgo attività di ricerca mirata all’innovazione dei processi produttivi in pasticceria. Ora, purtroppo, il Covid ha rallentato o sospeso alcune di queste attività.

Come è stato il passaggio dalla vita in pasticceria a questa nuova professionalità?

In realtà non ho mai smesso di fare preparazioni. Ho continuato a realizzarle in scala ridotta e più mirata, con un’attenzione maggiore verso la comprensione del processo produttivo. Con la pasticceria in funzione non avevo tempo di analizzare e studiare il motivo per cui facevo una certa preparazione. Il mio background di ricercatrice mi porta sempre a pormi numerosi quesiti, ma molte volte non riuscivo a trovare una risposta. Ci ho messo un po’ di tempo, ho cambiato metodo di studio. Il primo anno ho studiato sui libri dei pasticceri, ma ognuno forniva la propria versione e mi ritrovavo sempre a vivere le esperienze degli altri, che a volte erano anche in contrasto le une con le altre. Sono tornata agli articoli scientifici del mio trascorso universitario, dove si fanno confronti e paragoni standardizzati e in base al risultato si capisce meglio che cosa si è ottenuto. Lo studio delle tecnologie alimentari ormai abbraccia scenari sempre più ampi. Spesso facciamo preparazioni secondo pratiche che si tramandano, ma c’è sicuramente ancora uno spazio ampio per migliorare, ed è un peccato che il mondo della scienza e quello della pasticceria pratica si parlino ancora poco. Mi sto focalizzando sul capire cosa ci sia dietro alla trasformazione delle materie prime che avviene tramite processi fisici e chimici.

Rimpianti?

No, penso che sia stato un percorso, anche faticoso, ma molto bello. Riesco a fare una vita più soddisfacente di prima: non mi sveglio più alle 5, faccio colazione a casa, quello che per tutti sembra la normalità ora a me sembra una conquista. Forse la mia era una pasticceria troppo artigianale, non avevo ancora l’esperienza per ottimizzare la gestione, ma quando entri nel vortice della produzione è difficile guardarsi da fuori e aggiustare il tiro. Mi mancano tantissimo i miei clienti. Quando li incontro e mi dicono che mi rimpiangono mi fa immensamente piacere. Sento un affetto e un legame quasi personale, come se fossimo tutti parte di una grande famiglia. Ho lasciato un ricordo positivo e questo mi gratifica molto.

Non hai più pensato a una nuova produzione?

Ci ho pensato tante volte, avevo in progetto qualcosa, ma ancora sto meditando. Non mi piace l’idea di rientrare in una routine. Questo è quello che mi frena. Sto cercando di creare corsi amatoriali online. Mi piace molto far capire quello che c’è dietro alla pasticceria. Trovo che la pasticceria possa essere un buon mezzo per spiegare la scienza ai ragazzi, ai bambini. Tutti mangiamo e le trasformazioni del cibo sono fenomeni che osserviamo ogni giorno senza sapere perché.

Sei rimasta legata ad alcune realtà del territorio

Sto facendo alcune consulenze. Ho lavorato con Il Casaletto perché volevano sviluppare l’ambito della pasticceria. Sono stata molto contenta di collaborare con loro, sono molto bravi, utilizzano materie prime del territorio e di base ci accomuna la stessa filosofia che aveva fatto nascere Le Cose Buone. Poi sto aiutando una mia amica Gaia Garbarini  che ha aperto un’azienda agricola biologica, Apis Organic, tra Viterbo e Marta; produce miele, olio, prodotti ortofrutticoli, biscotti e dolci da colazione che distribuisce tramite Zolle a Roma. Prima delle chiusure per il Covid ho collaborato anche con Tiberio Proietti da Rosso Vignale.

A proposito di Covid e le chiusure dei ristoranti, cosa pensi di questo periodo?

Mi metto spesso nei panni dei ristoratori, avendo avuto un’attività so quanto stanno soffrendo. Sicuramente stare fuori da questo ciclone mi aiuta ad analizzare la situazione da una prospettiva diversa. Difficile stare dietro l’andamento folle di aperture e chiusure; forse cercherei di ritagliarmi una nicchia di mercato. Ho aperto una pagina Instagram Vado a cena dentro per fare luce su chi sta andando avanti inventandosi un nuovo modo di proporsi ai clienti. Spesso sono attività molto ben avviate, grandi ristoranti stellati. Spero possa servire come spunto anche alle trattorie, alle osterie e alle piccole aziende, che sono poi quelle più numerose sul territorio. L’altra sera con mio marito abbiamo fatto una cena stupenda a casa, grazie alla Tana dell’Istrice di Civitella D’Agliano. Abbiamo gustato una carne cotta nel forno a legna, che a casa non potresti mai fare. Credo che a tutti noi manchi l’andare a cena fuori: è un modo per assaggiare cose nuove, per scoprire culture diverse e lasciarsi impressionare dal contrasto dei sapori, dai colori, dalla musica, dall’ambiente  dalle coccole che ti può fare uno chef. Bisogna rimettersi in marcia con una nuova visione. Non è facile, ma è fondamentale non stare fermi ad aspettare.

 

 

 

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