Paola Lanchi,Angsa Viterbo: l’impegno per il progetto “Oltre Noi”

Di Nicoletta Di Luigi

Nell’ottobre 2020 è nata ANGSA Viterbo Aps, associazione per i disturbi dello spettro autistico. L’associazione si propone di essere un punto di riferimento nel nostro territorio per la difesa dei diritti delle persone con autismo e delle loro famiglie, “non abbassiamo la guardia, la strada per i nostri diritti è ancora in salita” (Giovanni Marino, presidente Angsa nazionale).  La missione è quella di programmare e costruire il “dopo di noi” e poter realizzare progetti che conducano questi ragazzi a percorsi di vita autonoma. Tutto sgorga dalla forza di un gruppo di genitori di ragazzi autistici della nostra provincia, guidati dalla presidente Paola Lanchi.

Ci racconti di lei come mamma e come presidente dell’associazione: il duplice ruolo.

Sono diventata mamma di A. 28 anni fa, quando di autismo non si conosceva nulla. Come mamma mi sono resa conto da subito che nel bambino qualcosa non andava. Nonostante le rassicurazioni del pediatra, non mi sono arresa e ho continuato a cercare qualcuno che desse una risposta alle tante domande che mi si ponevano ogni volta che notavo atteggiamenti diversi dagli altri bimbi. Nei primi tempi nessuno mai mi ha parlato di autismo e anche io non ne conoscevo l’esistenza. Non c’era l’assistenza che c’è oggi, anche se ancora c’è da lavorare; non c’erano le associazioni per avere un supporto: mi sono dovuta inventare tutto. Nel paese dove abitavamo su mia forte richiesta, A. è stato il primo bimbo ad avere il sostegno fin dalla materna, poi ci siamo trasferiti in città per dargli un’apertura diversa sul mondo. Mi sono dedicata completamente a lui lasciando anche un buon lavoro, poi però sono arrivati i risultati e le soddisfazioni: è stato per anni campione italiano di nuoto paralimpico e ha partecipato anche a un campionato europeo. Siamo riusciti a renderlo autonomo il più possibile e ora per sua scelta vive in una casa famiglia.

E l’idea della Associazione come nasce?

Sin dal mio arrivo a Viterbo, circa 15 anni fa, mi sono sempre dedicata al volontariato nell’ambito della disabilità. Avevo però sempre a cuore l’autismo e le mamme con figli in questa condizione mi cercavano per avere consigli, soprattutto perché a Viterbo non esisteva un’associazione di riferimento. Cosi quattro anni fa insieme a un’altra mamma abbiamo portato a Viterbo una sezione di Angsa Lazio, subito i soci si sono aggregati e insieme abbiamo deciso di costituire un’associazione sul posto per facilitare i contatti con il territorio. Il 3 ottobre 2020 siamo nati come ANGSA VITERBO APS con l’obiettivo di far conoscere l’autismo e fare formazione, determinante per lavorare con i nostri ragazzi.

Quanto la pandemia ha rallentato i vostri progetti?

Siamo nati in piena pandemia e ovviamente questo ha limitato molti dei nostri progetti. Ma non siamo stati completamente fermi: appena costituiti abbiamo aderito alla rete provinciale, per la realizzazione di uno sportello sull’autismo provinciale, l’adesione è stata motivata dalla corrispondenza degli interventi educativi e formativi proposti nel progetto con le finalità associative di ANGSA VITERBO APS. Successivamente siamo entrati a far parte della Consulta Comunale e del Tavolo per la Disabilità. Ci siamo iscritti ai laboratori tematici europei. Per Natale abbiamo prodotto dei calendari per farci conoscere sul territorio comunale e provinciale. Per il 2 aprile, giornata mondiale della consapevolezza dell’autismo, abbiamo stampato degli opuscoli dove era descritto l’autismo in modo semplice da poter distribuire in molte scuole del territorio. Poi abbiamo organizzato una corsa virtuale con delle magliette identificate ANGSA VITERBO.

Come si traduce l’idea che nel tempo conduce i ragazzi alla realizzazione dei programmi di vita nel rispetto della propria unicità e individualità?

La domanda è molto complessa ed è ciò che ogni genitore si chiede appena si riesce ad accettare la diagnosi di autismo. Appena la si accetta ciascun genitore inizia a immaginare cosa e come potrà realizzare il proprio figlio, nel breve, medio e soprattutto lungo periodo. Il famoso “dopo di noi” è un concetto grandissimo, una strada lunghissima che si percorre a piccoli ma continui passi. Si inizia cercando di far acquisire ai nostri bambini quante più abilità possibili, sin dalla scuola materna. Spessissimo anche le basilari abilità che tutti noi diamo per scontato che i nostri figli debbano avere, vanno costruite una a una, bisogna lavorarci per mesi o anni. Parliamo anche di cose tipo utilizzare la forchetta, fare pipì, chiedere da bere e mille altri gesti quotidiani.

Ogni abilità è una conquista…

Lascio immaginare quanto lungo e faticoso è il percorso che porta i nostri ragazzi a poter viversi il proprio spazio vitale in autonomia. Si passa di certo per tanta terapia in ogni fase della loro vita. Il programma individuale di vita vede di certo al centro la scuola, dove la socializzazione e l’integrazione sono elementi insostituibili e imprescindibili. Nel mentre si svolgono laboratori di vario genere, man mano che i ragazzi crescono. Il problema enorme si affronta una volta usciti da scuola.

Soprattutto la scuola a distanza quanto ha arretrato i loro miglioramenti, quanto è mancato un ambiente strutturato e pensato per loro, organizzato per i loro bisogni?

La prima fase di lockdown è stata durissima. Nessuna scuola aveva protocolli e ambienti idonei. Con la Dad, la stragrande maggioranza dei nostri ragazzi non riesce a seguire, meno ancora a partecipare. Devo dire però che, complessivamente, i maestri, i professori e i dirigenti, hanno fatto l’impossibile a volte per sopperire a queste mancanze strutturali. Nella recente ultima fase, anche la normativa ha previsto una serie di interventi a favore dei ragazzi disabili che potevano andare comunque a scuola e, ove possibile, le scuole potevano organizzare lavori in piccoli gruppi con i compagni di scuola. Questo si è realizzato in poche occasioni ma siamo certi che se l’esperienza dovesse ripetersi un’altra volta, sapranno offrire questo servizio ai ragazzi più svantaggiati.

Quanto il mondo del lavoro aiuta i vostri ragazzi?

Il mondo del lavoro non è ancora pronto ad accogliere i nostri ragazzi e solo in rare esperienze fantastiche i nostri ragazzi riescono a trovare un lavoro stabile, adatto alle proprie abilità. Solo con un lavoro, come tutti noi, i ragazzi trovano la propria dimensione e realizzazione. Si sentono utili, parte della società e possono anche sperare in una esperienza di vita autonoma in casa famiglia o strutture simili. Tutti questi progetti dovrebbero essere accompagnati e favoriti dalle istituzioni, da norme specifiche che magari esistono ma di difficilissima realizzazione e con fondi totalmente inadeguati ai bisogni complessivi dei ragazzi di tutta Italia.

Il vostro piano preciso è quello di un “dopo di noi” con un percorso particolare e mirato per i ragazzi. Nello specifico come deve svilupparsi?

Come già detto, il “dopo di noi” è esigenza condivisa da tutti. Di certo vanno create strutture ricettive magari piccole ma molto radicate e ben dislocate in tutta la provincia. Molti dei nostri ragazzi adulti sono sparsi in varie regioni d’Italia perché sul territorio non c’è accoglienza specifica per loro. Immaginate la sofferenza sia nostra sia dei ragazzi: essere costretti a vedere i propri affetti solo alcune volte all’anno. Abbiamo alcuni grandi progetti per il territorio che vogliamo sviluppare. Serve l’indispensabile aiuto dai Comuni, dalle Regioni, dalle ASL per ottenere le autorizzazioni e i finanziamenti necessari. Scuola – Lavoro – Abitare , questi sono i tre pilastri del percorso da fare. Nel mentre sono indispensabili terapie, formazione sia per i genitori sia per i professionisti addetti alla loro cura e crescita (assistenti, professori, ecc).

La soluzione collettiva  ad hoc non esiste…

Una ricetta per tutti non esiste. La società deve essere  in grado di mettersi in loro ascolto, di “conoscere” e “capire” ciascuno dei nostri ragazzi e offrirgli una soluzione, cucita su misura dell’individuo e non per la “categoria” autistici.

Quanto le istituzioni sostengono il progetto?

A livello personale e umano troviamo sempre la disponibilità dei professionisti che, a vario titolo, si devono interessare dei nostri ragazzi. Mi sento di ringraziare tutti, veramente, e per quanto riguarda Viterbo possiamo ritenerci fortunati. Ciò che non va sono i soliti problemi italiani legati alla burocrazia assurda, alle norme spesso scritte male e senza fondi disponibili, cosa che rende vana e inutile la norma stessa. Dobbiamo creare alcune “buone prassi”. Abbiamo bisogno di individuare alcuni percorsi virtuosi e condivisi fra le Istituzioni e le associazioni in modo di avere certezze che, seguendo queste prassi, si arrivi a meta. Siamo impegnati anche con la Consulta del Volontariato, nei Tavoli Tematici distrettuali per cercare di realizzare queste “buone prassi”.

Il ruolo dei volontari? Come si entra in quel mondo in cui tutto assume contorni diversi e muta bruscamente di segno?

Credo che oggi il volontariato sia parte sociale insostituibile. Il volontario opera nelle pieghe del disagio, dove l’istituzione fatica ad arrivare, a volte. Il volontario opera per passione, per amore, non per dovere. L’impegno si moltiplica quindi spesso e si viene ripagati con emozioni, con un grazie, con un sorriso. Per entrare nella nostra associazione basta fare domanda scrivendo al viterbo@angsa.it

Alcuni esempi evidenziati dai media hanno mostrato che anche con la disabilità è possibile spostare un po’ i limiti. Ne è convinta?

Una vita autonoma è quella che in fondo tutti noi genitori sogniamo per i nostri figli, le difficoltà sono molte soprattutto economiche. Io sono pienamente convinta che col tempo tutto si può fare con i nostri ragazzi, perché i loro desideri sono gli stessi di qualsiasi altro ragazzo, mio figlio per esempio desiderava una vita autonoma e dopo tante fatiche è riuscito a entrare in una casa famiglia, e ora è felice.

Qual è, secondo lei, quel qualcosa in più che si può provare a fare di cui avete oggettivamente bisogno adesso?

E’ compito delle istituzioni quello di tradurre in fatti ciò che le norme prevedono. Il mondo imprenditoriale dovrebbe aprirsi all’accoglienza dei nostri ragazzi. Anche lo sport amatoriale, le associazioni sportive dilettantistiche dovrebbero maggiormente accogliere i nostri ragazzi. In alcuni casi lo fanno ma l’offerta da questo punto di vista è di certo molto minore alla domanda dei nostri ragazzi. L’integrazione nel mondo dello sport giovanile sarebbe fondamentale per i nostri ragazzi,  ma soprattutto per i ragazzi “normali” i quali sarebbero forse meno campioni nello sport, ma imparerebbero dai nostri ragazzi a essere campioni nella vita. In questo senso abbiamo alcune esperienze fra i nostri ragazzi con risultati incredibili che ci auguriamo diventino la norma e non l’eccezione.

Quando la disabilità grave entra in famiglia è come se si scatenasse un terremoto. A lei Paola chiediamo com’è cambiata la sua vita?

Nessuna famiglia è pronta ad accettare le difficoltà del proprio figlio: all’inizio c’è tanta paura, ma soprattutto un grande dispiacere per quel figlio che dovrà sempre lottare. E’ un dolore grande ma poi non si può far altro: rimboccarsi le maniche ed iniziare una lunga battaglia; tutti i giorni si hanno continui confronti con medici, istituzioni, scuola. Poi ci si abitua e rientra tutto nella nostra vita.

Come affrontate oggi la situazione di emergenza sanitaria? I progetti avanzano?

I progetti sono quasi tutti fermi o avanzano con tanta, troppa lentezza. Moltissimi dei nostri figli, né noi genitori, hanno avuto la possibilità di fare il vaccino. Questo impedisce l’inizio di progetti, lo svolgimento di tante iniziative.

La responsabilità sociale è un valore che deve ispirarci nel lavoro di tutti i giorni, in che modo entrate nel tessuto cittadino per far arrivare direttamente il messaggio?

A mio avviso “l’esempio” è lo strumento principale per trasferire le buone pratiche. Noi lavoriamo in modo particolare sui ragazzi delle scuole. A questo proposito quest’anno abbiamo stampato e distribuito in molte classi delle scuole della provincia 5000 opuscoli informativi interattivi. I ragazzi hanno lavorato e ragionato sull’autismo, hanno colorato e scritto e ci hanno restituito molti dei loro lavori via mail.

C’è un luogo, uno spazio nel nostro territorio che potrebbe essere magico per i vostri ragazzi? Dove può prendere vita un progetto-laboratorio in cui promuovere le abilità di autonomia e lavorative di ragazzi con disturbi dello spettro autistico e il ruolo attivo dei compagni di classe…

Attualmente questo spazio non c’è. E’ un nostro obiettivo, la realizzazione di un parco aperto a tutti, dove gioco, arte, musica, sport, divertimento, siano le basi per una crescita sociale di nostri ragazzi e dei loro amici. Un posto che non c’è che forse Peter Pan avrebbe chiamato l’Isola che non c’è ma che vogliamo si realizzi.

 

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