Liceo Buratti, Clara Vittori: sono un dirigente fiero della mia maestritudine

di Rossella Cravero

Sarà la maestritudine, come ama definire le sue origini nella scuola dell’infanzia, saranno i tratti delicati e la voce pacata di chi è abituato a convincere i più capricciosi, di sicuro Clara Vittori ha trovato la formula giusta per portare il Liceo Mariano Buratti a farsi riconoscere e apprezzare nel panorama scolastico della provincia Viterbese. Due indirizzi, classico e linguistico, 1350 alunni, 150 lavoratori tra insegnanti e personale Ata, il liceo Buratti ha, più che mai, ingranato la marcia del successo.

Quattro anni fa gli esordi al Buratti?

Come sempre la partenza è il momento più difficile. Sono arrivata qui, in concomitanza con il debutto della Buona Scuola e nel bene e nel male qualcuno mi ha identificato con questa riforma. Un cambiamento che ho appoggiato e sostenuto, prendendo quello che c’era di positivo. Il primo scoglio è stato l’alternanza scuola lavoro. Nel corpo docente ho trovato resistenza nel far accettare che potessimo organizzare dei percorsi didattici che potevano essere di completamento per un apprendimento disciplinare di formazione liceale. Ho trovato un gruppo di docenti volenterosi che mi hanno appoggiata. E’ stata dura, mi sono messa a studiare le esperienze degli istituti che già avevano intrapreso questa strada, e pian piano ci siamo messi in linea. L’alternanza è un percorso che deve concorrere a delle competenze sull’essere, serve per far capire allo studente che non si impara solo nei contesti formali, ma anche nella praticità di esperienze diverse.

Quali progetti offre oggi il Liceo Buratti?

Oggi siamo riusciti a tessere una rete di rapporti sul territorio che ci consente di offrire grandi opportunità agli studenti. Stiamo portando avanti un progetto sull’educazione economica finanziaria che si sviluppa su più piani. Al principio grazie alla collaborazione con l’università i ragazzi vengono formati su temi di macroeconomia come Pil, deficit, welfare, lavoro e tecnologia, poi con l’aiuto di un’associazione che si occupa di educazione finanziaria si passa al percorso sul risparmio: che cosa vuol dire fare una pianificazione economica finanziaria della propria vita? Poi dal generale si va nel particolare: abbiamo costruito un aggancio con il lavoro: se devo mettere in piedi un’impresa, come mi muovo, cosa devo fare? Gli studenti hanno fatto un lavoro sul brend, settore turismo, con Giulio Della Rocca, studiando la città di Viterbo, la sua storia e le sue potenzialità turistiche, incontrando un esperto di arte, poi un professore dell’Unitus che si occupa di marketing. Un altro progetto finanziato dalla regione Lazio si intitola “Dal campo al piatto percorsi di educazione ambientale e all’alimentazione consapevole” Anche in questo caso sono intervenuti diversi soggetti: dalla nutrizionista per parlare di cibo e gusto, a un’altra esperta che sta portando avanti un laboratorio del gusto che è un qualcosa che si educa, pr poi passare a un lavoro sulla sostenibilità ambientale e l’economia circolare, un altro sulla agricoltura civica. I ragazzi hanno visto il documentario Amaranto e hanno potuto avere un incontro con le registe. Stanno leggendo Terra madre e arriveranno ad allestire di un piccolo orto verticale in cortile.

Grandi opportunità grazie a bandi e finanziamenti?

Sì la difficoltà è proprio questa. E’ molto faticoso stare dietro ai bandi. Al bando Regionale sul gusto hanno aderito in pochissimi, perché bisognava trovare un Ente con cui fare un’associazione temporanea di scopo, quindi o ti sei creato una rete di agganci sul territorio o non ci riesci: avevamo sette giorni di tempo per espletare tutte la documentazione. Ho rintracciato Francesca Durastanti, un agronomo specializzata in agricoltura sociale con cui avevo fatto un progetto anni fa e di cui conosco la competenza, e lavorando sodo ci siamo riuscite, siamo stati l’unica scuola in Regione a partecipare. Tutti gli altri erano enti, fondazioni, associazioni, noi lo abbiamo presentato come liceo. Il liceo ha strutturato la proposta progettuale abbiamo vinto 10mila euro, è chiaro che in questo modo abbiamo la possibilità di offrire ai ragazzi delle esperienze più qualificate.

Il dirigente scolastico ormai è un manager a caccia di finanziamenti?

I finanziamenti sono fondamentali, ma non si tratta di correre dietro i soldi, quanto di utilizzare i soldi per qualificare quello che vai ad offrire, è una grande fatica, per tutta l’amministrazione e lo puoi fare solo se hai una squadra competente che ti segue.

Ultimamente il Buratti ha vinto anche con progetto all’avanguardia di Digital Story telling?

Il bando chiedeva di allestire uno spazio che in qualche modo dovesse rispondere alle caratteristiche degli ambienti innovativi, che è un po’ l’idea che c’è dietro la progettazione dell’aula magna. Nel progetto dovevamo mettere insieme un ambiente che consentisse alla scuola di sviluppare un certo tipo di competenze, sia per gli insegnanti, sia per i ragazzi. Abbiamo scelto la metodologia dello story telling perché vicina alle discipline umanistiche, che sono in qualche modo le discipline portanti dei due indirizzi di studio, però è una metodologia che si utilizza anche in ambito lavorativo, nella gestione, nella leadership, oggi si parla molto, a me interessava che gli insegnanti si formassero sulla metodologia , abbiamo già avuto un piccolo percorso, con due professori dell’uiniversità della Tuscia, poi volevo abbinare abbinare questa metodologia ad un progetto per Makers, cioè per ideatori di strumenti, (noi abbiamo una stampante 3D) quindi arrivare all’utilizzo delle tecnologie legate alla creatività e alla immaginazione. Questo laboratorio che metteremo in piedi sarà un ambiente fisico che verrà utilizzato come aula la mattina, ma che scardina una serie idee come quella dei banchi allineati, avrà un salottino, avrà un tavolo tondo, abbiamo 20mila euro per allestire 80mq. Per noi diventa un ambiente per la formazione, per le riunioni, per i laboratori pomeridiani, e la mattina sarà l’aula di qualche classe fortunata, nel tempo, se riusciremo ad avere una terza sede più adeguata, la lasceremo solo per le altre attività. Allestiremo l’ambiente, utilizzeremo strumenti come video camere, i ragazzi nello stoytelling i ragazzi elaboreranno narrazioni che non saranno solo verbali e di testo ma di contenuti multimediali.

I docenti sono spesso la categoria più bistrattata, tanto lavoro dietro le quinte, poco retribuito e poco riconosciuto. Come fa a coinvolgerli?

All’interno di tutto il gruppo docente ci sono sempre insegnanti che hanno più piacere di altri a dedicarsi a un tema specifico. Il dirigente deve saper intercettare il bisogno formativo dei singoli. A volte nemmeno gli insegnanti si rendono conto di questo, quello che manca a volte è una visione a lungo raggio.

Un po’ psicologo, un po’ economista, un po‘ ingegnere: il dirigente deve essere di tutto un po’?

Come spiegavo prima la cosa più importante è avere quella che io definisco visione, la curiosità nell’ambito della conoscenza, perché se tu ci credi gli insegnanti ti vengono dietro. Saper capire che cosa c’è di buono nell’innovazione. Io sono andata due anni fa alla mostra Maker Fire , e mi si è aperto un mondo, ho scoperto che ci sono addirittura biblioteche con angoli per makers, questa aspetto della creatività manuale viene introdotta in ambienti insospettabili e quindi ho inserito un laboratorio per makers in un altro progetto a cui abbiamo partecipato e di cui stiamo aspettando l’esito.

Quale è stato il cammino per arrivare fino a qui?

Nasco come insegnate scuola elementare, fiera della mia maestridutine, a cui sono approdata a 25 anni e mezzo come vincitrice di concorso dopo essermi laureata in lingue, qui a Viterbo: sono stata una delle prime matricole della facoltà di Lingue. La mia vocazione era fare la maestra, lo dicevo già a 8 anni. Sono stata nella scuola elementare per 16 anni. Il concorso da dirigente l’ho fatto quasi per caso nel 2004. Ho passato gli scritti, quando è stato il momento di studiare per gli orali, mi stavo tirando indietro: avevo appena perso mio padre e avevo altri problemi di salute in famiglia, ma una collega anziana mi ha detto che non dovevo arrendermi in quel momento, perché poi me ne sarei pentita. Le ho dato ascolto e oggi sono qui.

Cosa sogna Clara Vittori per il futuro …

Qualche mese dopo essere arrivata al Buratti, un’amica mi ha chiesto se avevo intenzione a rimane qui. La domanda mi è sembrata strana, soprattutto dopo tutto quello che stavo facendo per inserirmi. Passato un anno, mi sono sentita rivolgere nuovamente la stessa domanda da altri: allora ho capito che forse qualcuno sperava in un mio allontanamento e così approfittando di un discorso di fine anno ho detto pubblicamente che non avevo alcuna intenzione di andarmene e che avremmo avuto molto tempo per raggiungere insieme nuovi obiettivi. La scuola militante mi piace molto, è una gran fatica, ma le soddisfazioni sono tante. A volte penso che intorno ai 60 anni potrei dedicarmi a qualcosa di piccolo ma sempre nell’ambito dell’educazione. Per ora questo è il mio posto, tra bandi, progetti e letture di sogni ad alta voce.

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