Il musicista Federico Amendola: la Tuscia luogo ideale per vivere e per far emergere e maturare talenti

di Donatella Agostini

Federico Amendola

Un personaggio dal curriculum di Federico Amendola – musicista e musicologo, compositore e direttore d’orchestra, studioso e docente di conservatorio – potrebbe a buon diritto rientrare nello stereotipo del Maestro inavvicinabile e sostenuto. In effetti vanta una carriera considerevole, cominciata con lunghi e impegnativi studi di pianoforte, cembalo e composizione, e proseguita con lo studio della direzione d’orchestra. Collaborazioni con direttori del calibro di Peter Maag, Gianandrea Gavazzeni e Claudio Abbado. Maestro di coro alla Rai, al Teatro dell’Opera di Roma e alla Scala di Milano, Amendola ha collaborato poi nella direzione della RIAS Orchester di Berlino, della norvegese Bergen Philarmonisches Orchester, della National Symphony of Taipei, e in altre prestigiose istituzioni. Diverse registrazioni discografiche all’attivo, ed esperienze nella composizione di colonne sonore nel cinema. Dal 2002 è docente di “Pratica della lettura vocale e pianistica” presso il Conservatorio di Palermo. A fianco della sua attività di direttore d’orchestra, da alcuni anni porta avanti una ricerca storico-musicologica incentrata sulla riscoperta e sul recupero delle opere di musicisti italiani meno noti, una vera miniera ancora da scoprire. Nonostante la prestigiosa biografia qui necessariamente sintetizzata, Federico Amendola è persona aperta al sorriso, disponibile, alla mano, pronta a raccontarsi e a raccontare: per esempio, il motivo per cui abbia scelto di vivere nella nostra Tuscia, e poi l’abbia resa centro strategico della sua attività attuale, rivolta principalmente ad interlocutori privilegiati come i giovani.

«Ho scelto la Tuscia per un motivo semplice: prima abitavo a Roma, e venivo sui Cimini a “ricaricarmi”; ma quello che era inizialmente una sorta di rifugio nel verde, è diventato poi residenza stabile». Ed è proprio qui che, nel 2020, è maturata l’idea di “Violininerba”, il primo corso di formazione per orchestra rivolto ai bambini che studiano uno strumento musicale: per dare loro l’opportunità di suonare insieme. «Qualcosa che sembra banale, ma non lo è affatto», spiega Amendola. «Non basta infatti essere padroni di uno strumento: bisogna saper interagire con gli altri dando il proprio contributo, e partecipare alla creazione di qualcosa di comune, di bello e di armonico. È una specie di sesto senso fisico: si ascolta ciò che si sta suonando, e allo stesso tempo si è in grado di ascoltare anche gli altri e di interagire in tempo reale con loro. È questo che rende questa attività particolarmente formativa, e appagante: il sentirsi parte di una sorta di organismo vivente, di cui ogni orchestrale rappresenta un organo vitale». Un organismo vivente e liquido, dotato di un cuore proprio che batte secondo il ritmo impressogli dal direttore dell’orchestra. «E’ lui al centro di questo cuore: è lui a imprimere le onde a questo mare».

Suonare in un’orchestra è un po’ una metafora della nostra vita sociale: tutti noi dovremmo comportarci come gli orchestrali. «Dovremmo, ma siamo sempre più individualisti e soli, barricati dietro i nostri gusci elettronici, mentre la nostra formazione culturale si va impoverendo», prosegue. Ecco quindi l’importanza di istituzioni scolastiche e di associazioni didattiche, come l’“Accademia degli S.vitati”, creata e presieduta da Amendola, la cui stagione di concerti, iniziata lo scorso Natale e in programma fino a giugno 2024, è arrivata alla seconda edizione. Gli eventi si svolgono nei locali del Museo Nazionale Etrusco di Rocca Albornoz, a Viterbo: un modo efficace e suggestivo di coniugare due differenti aspetti della cultura. «Il nome dell’Accademia, “S.vitati”, viene da San Vito, che è la località sui Cimini dov’è nata… ma anche perché per fare quello che facciamo, forse un po’ svitati lo siamo davvero!», aggiunge sorridendo. Il cartellone dell’attuale stagione ha in programma opere famose, come La Traviata e Le nozze di Figaro, ma anche concerti di pianoforte, di ottoni, di musica da camera e swing, in un excursus che va da Händel e il barocco fino ad approdare a Gershwin. Ad esibirsi sono i cantanti e gli strumentisti che studiano all’Accademia viterbese. Nel progetto di Amendola, sostenuto fortemente dall’attuale amministrazione, potrebbero diventare i futuri membri di una professionalità musicale cittadina al momento mancante. «Vorremmo tornare alla concezione di un tempo, di quando il Teatro Unione aveva una propria orchestra, fatta da professionisti della provincia, che venivano in qualche modo “coltivati” e valorizzati. Abbiamo scelto di lavorare “dal basso”, cioè dalla didattica, per far emergere e maturare talenti e professionalità del territorio». L’Accademia ha organizzato anche un corso di perfezionamento per cantanti lirici, al quale è ancora possibile iscriversi. Accanto all’approfondimento musicale, viene data particolare attenzione all’aspetto teatrale del bel canto, cioè al saper stare in scena, qualità fondamentale per i futuri cantanti lirici. I concerti si svolgono tutti di mattina, come richiamo all’epoca in cui una Viterbo più esperta e acculturata di oggi affollava le matinées. «Siamo soddisfatti dell’affluenza: si è creato anche un bel passaparola. Certo, non è immediato assistere ad un concerto: richiede un impegno mentale maggiore rispetto ai divertimenti facili di oggi, che una volta finiti lasciano soltanto il vuoto. Dobbiamo combattere contro questi nemici». Un altro nemico che si affaccia minacciosamente all’orizzonte della cultura è l’intelligenza artificiale, capace di sostituirsi gradualmente all’uomo non soltanto nei compiti esecutivi, ma anche nelle creazioni intellettuali, come la letteratura e la musica. «In effetti il pericolo c’è, ed è già presente: nella cinematografia meno di qualità già esistono colonne sonore realizzate dall’AI. Un orecchio esperto le percepisce, ma altrettanto non si può dire della maggioranza del pubblico, che al massimo può accorgersi che una colonna sonora è brutta… E’ un settore che va regolamentato con la massima urgenza». Forse nessuna intelligenza artificiale potrà mai riprodurre i moti del cuore umano, la pulsazione ineffabile che pervade un’orchestra fatta di esseri umani. Ognuno con la propria sensibilità, con il proprio talento, la propria creatività, eppure in grado di metterli a servizio dell’insieme, accantonando ogni tipo di individualismo. E mentre ognuno si concentra sulla propria partitura, il direttore li trasforma in un’unica composizione, di cui detta il battito. L’indimenticato Ferruccio Amendola, attore, doppiatore e direttore di doppiaggio, nonché papà di Federico, a proposito del suo lavoro, sosteneva che l’obiettivo di un buon doppiatore fosse quello di capire quello che l’attore ha voluto dire, e porsi al suo servizio. «Anche il compito ultimo di un buon direttore d’orchestra è quello di interpretare a fondo un’opera, al servizio di ciò che l’autore ha voluto dire. Certamente sì».

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