Il grande patrimonio culturale della Tuscia:”C’è poca attenzione sulla difesa e la conservazione dei nostri beni”

di Luciano Costantini

La tutela e la valorizzazione del grande patrimonio culturale della Tuscia”. Al termine della conferenza/convegno, organizzata da Archeotuscia e che si tiene a Viterbo presso la Sala Auditorium Carivit di valle Faul, sorge spontanea e magari maliziosa l’idea che forse a chiudere il titolo dell’interessante meeting avrebbe dovuto comparire un bel segno interrogativo. Il tesoro che questa terra conserva nelle sue viscere o espone alla luce del sole viene valorizzato davvero in tutta la splendida bellezza che meriterebbe? E ancora: esistono i mezzi, le risorse, il personale in grado di difenderlo? Interrogativo doppio, per la verità, che non può che riservare una risposta negativa. Univoca. Almeno a giudicare dai risultati della conferenza convegno che arrivano dalle testimonianze, pure se necessariamente sintetiche, dei convegnisti: la Soprintendente per l’Area Metropolitana di Roma, Viterbo ed Etruria Meridionale Margherita Eichberg, Maria Letizia Arancio già funzionario del Sabap, Vincent Jolivet dell’Università di Parigi e Felice Orlandini ispettore di Polizia e ispettore onorario del Mibac. Presenti il vescovo Lino Fumagalli, il sindaco Giovanni Arena e gli assessori Allegrini e De Carolis. La Eichberg, legge il lungo cahier de doleance che opprime la Tuscia: difficoltà burocratiche nel definire le varie competenze, cioè dove comincino gli edifici o le case e dove parta la vegetazione. In pratica, dove scatta e dove termina il ruolo della Sovrintendenza rispetto, per esempio, ai Beni Culturali o all’Ambiente. Una confusione che i continui e lentissimi avvicendamenti di pertinenza vanno ad appesantire. “Guardate – sottolinea – che senza tutela non ci può essere valorizzazione, il bene naturale e quello archeologico sono strettamente connessi”. Poi un riferimento all’Università che sembra avere tutta l’aria di un rimbrotto: “Abbiamo avviato una buona collaborazione, ma dobbiamo lavorare di più e meglio insieme. Dobbiamo fare squadra per il bene della collettività, evitando che il tesoro vada alla malora”. Ce n’è anche per le amministrazioni comunali, passata e presente, che non sono ancora riuscite a recuperare i 14 affreschi di palazzo Spreca, sottratti al patrimonio artistico della città. Un ringraziamento, invece, per “i meravigliosi contadini che sono i giardinieri di questa splendida terra e per Archeotuscia che ci è stata e ci è preziosa nel nostro lavoro”. Interviene il professor Jolivet che illustra i risultati degli scavi eseguiti nell’arco di quaranta anni in sei siti e che adesso fanno parte dello scrigno dell’Etruria Meridionale, più precisamente del Viterbese. Il bilancio finale non è confortante: ritrovamenti poco pubblicizzati e scarsa attenzione in generale. La relazione di Maria Letizia Arancio è un grido di “rabbia e di amore per questa terra che dobbiamo tutelare”. Un appello forte e commosso, accompagnato dalle lacrime. L’intervento dell’ispettore Felice Orlandini è una denuncia vera e propria. Manca soltanto la carta bollata. “La Tuscia è da anni che viene depredata dei suoi gioielli. Una centrale della criminalità organizzata di settore che parte dai furti delle opere d’arte, opera per il loro occultamento, fino a rivenderli sui mercati internazionali. Nel migliore dei casi c’è poca attenzione sulla difesa e la conservazione dei nostri beni. Un esempio? Gli affreschi di palazzo Spreca. Sono stato io a sequestrali, io a riportarli a Viterbo e io depositarli al museo. Sono stati esposti in due mostre e alla fine sono tornati dove erano stati recuperati. Lontani dalla città e lontani dalla Tuscia, in attesa che qualcuno si impegni a riportarli a casa. Chissà quando”.

 

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