Graziella Fiorucci e lo straordinario mondo di Amici di Galiana onlus

di Nicoletta Di Luigi

Graziella Fiorucci

Una piccola oasi di solidarietà e del fare si nasconde dentro il parco comunale viterbese Prato Giardino, una porta in legno con l’insegna Hakuna Matata fa da ingresso a una casa speciale e uno spazio verde con tanto di serra e orto, dove Amici di Galiana Onlus ha da tempo creato con opere di bonifica una propria base per progetti e laboratori integrati. Qui incontriamo Graziella Fiorucci, presidente dell’associazione dal 2012. – Amici di Galiana onlus, opera sul territorio viterbese dal 1992 e nasce come comitato spontaneo di familiari, amici ed utenti di quella che allora era detta Unità Territoriale di riabilitazione di Viterbo per sollecitare gli Enti preposti ad affrontare le necessità ed i problemi degli adulti portatori di handicap, alla realizzazione di strutture e servizi finalizzati al recupero della loro potenzialità residua e al “dopo di noi”-

Cominciamo dagli inizi, dal suo ingresso nel mondo del volontariato

Il mio primo approccio con l’associazione avviene nel 1999 per amicizia di una dirigente della Asl che mi aveva chiesto di collaborare con il comitato costituito non proprio attivo al momento. Inizio la carriera come vicepresidente e dal 2012 sono presidente. I volontari sono i soci dell’associazione che sono genitori o parenti di persone con disabilità intellettiva che vengono seguiti dal Dipartimento Asl Disabile Adulto che segue Viterbo e provincia, una struttura che funziona molto bene e si fa carico della disabilità adulta a 360 gradi sotto la guida del dott. Marcelli.
La mia preparazione viene sul campo come zia di un bambino down, già sensibile quindi a questo tipo di problematica, nel tempo ho poi fatto corsi di formazione. Quando sono arrivata l’attività dell’associazione era un po’ stagnante, ma poi, attivando la mia rete di amicizie, sono nati i primi laboratori integrati con persone che non avevano mai approcciato alla disabilità. Così, dopo una fase di assestamento, nel 2000 noi già parlavamo di autonomia, di integrazione, di dopo di noi…non lo sapevamo però lo facevamo. Tutti i nostri laboratori sono stati integrati così le gite, il teatro e l’animazione teatrale anche con i clown di corsia, i pernotti brevi…abbiamo avviato le prime forme rudimentali del dopo di noi.

L’abbiamo vista come coordinatrice del progetto Pratogiardino, frutto di una partnership con Asl e politiche sociali del Comune. L’istituzione fa la sua parte?
La rete con le istituzioni è fondamentale poichè in questo settore ci si deve solo interfacciare con professionisti, ai quali va lasciato l’impianto di un progetto efficace e continuo. Abbiamo servizi sociali e professionalità che funzionano, la struttura del Disabile Adulto della Asl di Viterbo è all’avanguardia sia a livello regionale che nazionale. Per la realtà della disabilità, esiste un modo di lavorare molto valido che va valorizzato senza lasciare spazio a contrasti o lamentele. Nonostante i problemi e le difficoltà, partiamo dalle risorse che abbiamo.

Pratogiardino l’incubatore dei vostri progetti. Come è nato il progetto? E quali sono gli altri progetti nel cassetto?
Il progetto Prato giardino è nato perché una mamma di un bambino gravemente disabile ha scritto della propria situazione disperata al Presidente della Repubblica, da qui lo staff del presidente ha demandato tutto alla prefettura che ha convocato tre associazioni, asl e comune come attori del territorio per creare una risposta. Noi abbiamo recepito la richiesta e abbiamo messo a disposizione per il mese di agosto questo spazio abbastanza protetto e fruibile, aiutati anche dal comune stesso per risolvere criticità e mettere in sicurezza il luogo. C’è stata una massima collaborazione dal Comune e Asl che hanno ritenuto quali fossero i casi più gravi da inserire nel progetto; c’è stata poi la formazione da parte della asl ai volontari e la sicurezza di presenza di operatori esperti venuti dalla cooperativa che già li assisteva a casa per garantire loro la continuità. E’ stato un progetto sperimentale per chi ha una disabilità grave, ma che è riuscito a portare nelle famiglie i sorrisi dei ragazzi. Il progetto Prato Giardino è un buon esempio di coprogettazione e di corealizzazione, dove c’è stata continuità e presenza dell’istituzione, ma soprattutto volontà da parte di tutti gli attori coinvolti che il progetto riuscisse bene. Ora a febbraio abbiamo messo un punto per considerare di allargare il progetto a un’utenza maggiore. Ci siamo presi cura di questo spazio verde e abbiamo intenzione di creare un percorso sensoriale con piante e materiali diversi, aperto a tutti i bambini e anche alle mamme. Adesso è una bozza ma vorremmo includere scuole elementari e asili. D’altronde questa è una parte ben messa rispetto al resto del parco. Prato giardino è quindi l’incubatore dei nostri progetti, ci stiamo strutturando per aprirlo ad altre attività. E in estate speriamo che il progetto riprenda, tutti concordi che debba essere ampliato e con fondi strutturati messo nel piano di zona.

Il mondo del Terzo settore sta cercando di innovare e sperimentare nuove forme. Qual è oggi la forma che richiede urgenza?
La rete c’è, ma la continuità di progetti validi sul territorio è fondamentale e urgente. Non è che non ci sono i fondi, spesso e volentieri ci sono ma non vengono utilizzati, e quindi il problema è come arrivare a quei fondi e il coinvolgimento di enti pubblici che devono fare da capofila nei progetti. E’ tanto e non facile il lavoro per accedere a fondi che ti garantiscano continuità e stabilità; è una progettazione che deve essere fatta da un professionista soprattutto per i bandi europei e regionali.

La partecipazione e il sostegno di una più vasta platea di cittadini alle attività è sentita?
Come reclutate gli eventuali volontari, solo con il Servizio Civile?

È più l’errore di non saper comunicare che la risposta, i laboratori sono sempre stati partecipati. Viterbo è una città molto attiva per il volontariato. I volontari arrivano o per semplice conoscenza dell’associazione durante le manifestazioni o anche per passaparola oltre il progetto di servizio civile.

L’associazione si occupa principalmente del disabile adulto, ma si è impegnata ad abbracciare il mondo del disabile in maniera allargata. Vi occupate anche di agricoltura sociale…
Il progetto di agricoltura sociale ci ha un po’spostato dai laboratori: abbiamo iniziato qui a Prato Giardino come incubatore quando abbiamo bonificato tutto e ci siamo resi conto dell’importanza del beneficio del lavoro a contatto con la natura. Dal 2012/2013 siamo qui e abbiamo messo in piedi la serra con la semina delle piantine, un ricco orto ogni anno, la raccolta dei prodotti e la cucina di questi. Da questo tipo di attività siamo venuti a contatto con una rete di aziende del viterbese che hanno avuto l’idea di costituirsi come rete giuridica e che avevano attivato dei tirocini di lavoro in azienda con i ragazzi mandati dal dipartimento asl disabile adulto. Noi ora siamo all’interno di questa Rete Solcare, di cui fanno parte cinque grandi aziende della Tuscia, multifunzionali e votate all’agricoltura sociale. Quando ci siamo resi conto che questi tirocini potevano poi diventare attività lavorative, abbiamo messo in piedi una cooperativa di tipo b, con i familiari delle persone disabili. Ora questa cooperativa sta assumendo i ragazzi che stanno uscendo dalla formazione e dai tirocini finanziati dalla regione. Questo lo stiamo facendo anche con il Ceis, con l’Arci, e anche insieme alla Caritas…ci stiamo focalizzando sull’adultità, sull’inserirli nel mondo reale, tralasciando le attività dei laboratori. In tutta la nostra attività il nostro faro guida è sicuramente la Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità recepita dall’Italia nel 2009.

Qual è il progetto che in tutti questi anni di attività le ha dato maggiore soddisfazione?
Il progetto di maggiore soddisfazione è proprio questo di agricoltura sociale, Hakuna matata 2.0 che rientra nella Rete Solcare. In questa esperienza abbiamo visto dei cambiamenti fantastici nelle persone coinvolte. E’un progetto finanziato dalla regione dove 11 ragazzi disabili che hanno scelto di partecipare liberamente sono direttamente a contatto con i tutor dell’azienda, che si sono messi in gioco per insegnare a questi ragazzi i rudimenti dell’agricoltura. Non esiste in Italia un’altra rete di agricoltura sociale come Solcare. E’ un bellissimo esempio di buone prassi e cambiamento dell’approccio alla disabilità: sono infatti le buone pratiche che lo cambiano, che spostano il punto di vista e la prospettiva.

Da viterbese cosa pensa della città? Qual è il suo angolo preferito?
Viterbo è un gioiello che dovrebbe essere più valorizzato; il nostro è un territorio fantastico di cui spesso non capiamo neanche il potenziale. Ritorniamo all’importanza della programmazione a lungo termine poiché non si può vivere sull’emergenza. Vedo tante potenzialità sprecate e tanta gente con voglia di fare che desiste, che si demotiva, tante eccellenze sulle quali bisognerebbe focalizzarsi e a cui dare la possibilità di emergere. E’ necessario ritornare a parlare di valore e di bellezza e incoraggiare le nuove generazioni.
Il mio angolo preferito è sicuramente il quartiere di San Pellegrino dove avevamo il centro diurno a piazza San Carluccio, nato con noi e che spero ci riassegnino nuovamente e si riesca a cogestire.

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