La Rete Solcare nasce nel 2019, acronimo che sta per Sociale, Cura, Responsabilità ma anche Sostenibilità. La Rete, composta da cinque aziende multifunzionali della provincia di Viterbo, vuole creare un modello di sviluppo di agricoltura diverso, sostenibile sia dal punto di vista economico che sociale, offrendo a persone svantaggiate e disabili una possibilità di inserimento reale nel mondo del lavoro.
Gioacchino Sansoni è titolare dell’azienda capofila del progetto, ovvero il Podere La Branda, azienda agrituristica situata a Vetralla in località la Branda, nata giuridicamente nel 1993 con il rilancio di attività familiari che hanno origine alla fine del secolo scorso. In seguito alle inevitabili successioni testamentarie, sarà poi nel 2003 che nascerà la prima certificazione di produzione biologica, un punto di partenza a cui poi seguiranno attività di fattoria didattica, l’agriturismo, prima come solo ospitalità e poi anche con organizzazione di eventi.
Tutto si può riassumere che da sempre la più vera – e nobile – cultura della terra ottimizza le proprie risorse coniugando il senso del lavoro e del tempo con quello del capitale sociale e della vita?
L’agricoltura ha come proprie caratteristiche il senso del tempo, dell’attesa e della maturazione dei frutti, così come il valore del lavoro anche fisico nella realizzazione di qualcosa di concreto. Sono peculiarità fondamentali in agricoltura sociale e soltanto dell’agricoltura, dove ti misuri con un terzo elemento su cui non hai controllo: le condizioni meteorologiche. Tutto questo ti fa rimettere in gioco continuamente e favorisce il riappropriarsi della dimensione reale del vivere quotidiano, non c’è nulla di virtuale…
Come inizia il suo avvicinamento nell’agricoltura sociale e poi la nascita di SolCare, la prima ad applicare un discorso di rete solidale?
L’avvicinamento all’agricoltura sociale è avvenuto intorno al 2001, grazie al 1° Master in Agricoltura sociale promosso dall’Università della Tuscia dal prof. Saverio Senni: è sua la definizione di agricoltura sociale ed il promotore di una serie di studi e ricerche nell’ambito. SolCare nasce alla fine di un percorso iniziato nel 2016/2017 con altri imprenditori agricoli di Viterbo e provincia, già dediti a tirocini formativi per disabili o persone svantaggiate; avevamo anche avuto rapporti con gli uffici del collocamento mirato provinciale e dell’Arci viterbese. Poi nel 2018 partecipiamo per caso come rete costituenda ad un bando di Confagricoltura e lo vinciamo. Da qui la spinta e le risorse economiche per dare forma concreta al progetto SolCare.
In cosa oggi sono orientati i vostri progetti. Quale tipo di fragilità andate a coinvolgere?
Attualmente abbiamo un progetto ambizioso che, se riesce nell’attuazione così come lo abbiamo in mente, può costituire un punto di partenza anche per altre realtà agricole sociali sparse in Italia; è un progetto di formazione agricola che porterà alla coltivazione di specie ortive da parte di ex tossicodipendenti e disabili mentali lievi da avviare sui mercati tradizionali, con l’obiettivo di rendere autonomi e il più possibili partecipi le persone in difficoltà, al fine di assicurargli un posto ed un ruolo all’interno del contesto sociale in cui loro possano riconoscersi e infine, non considerarsi più disabili.
Quali sono i motori che scaldano questa realtà economico-sociale.?
Solidarietà, empatia, senso di responsabilità, competenza, rispetto, orgoglio, dignità…Oltre a questi aggiungerei anche il senso di responsabilità sociale verso i propri dipendenti e verso i consumatori, la trasparenza e tracciabilità dei prodotti, la volontà di far crescere il sistema assistenziale con cui facciamo i conti ogni volta che ci affidano una persona in difficoltà o organizziamo tirocini formativi.
Qual è il suo progetto più ambito che pone l’agricoltura sociale come nuova frontiera nelle interrelazioni tra uomo e natura?
Il nostro progetto più ambizioso è quello di vedere i prodotti a marchio SolCare e da agricoltura sociale in generale sulle tavole di tutti gli italiani: sarebbe il segno che esiste un patto sociale tra cittadini ( consumatori e imprenditori) che si aiutano a vicenda: noi produciamo con l’ausilio di persone diversamente abili o svantaggiate e voi acquistate e date linfa a questo progetto virtuoso.
Si può tessere una rete ancora più ampia in cui unire le forze di altri per favorire ancor di più il recupero e l’inclusione sociale di soggetti svantaggiati mediante il lavoro agricolo e far crescere altri progetti rimasti sospesi?
Certamente, la rete SolCare cerca questo tipo di collaborazioni, sia con Enti che con privati; il requisito unico che chiediamo è serietà. Se qualcuno pensa che l’agricoltura sociale sia solo un altro mezzo per produrre a basso costo o vender meglio i prodotti si sbaglia e attualmente non abbiamo bisogno di queste collaborazioni. Piuttosto ci interessano le possibili collaborazioni con le Asl, che hanno dimostrato da subito il loro interesse per le nostre iniziative e con cui dovremmo a breve siglare una convenzione che agevola ancor di più questi rapporti istituzionali. Da sottolineare, inoltre, anche i legami che stiamo tessendo con altre realtà della provincia: una tra tutte l’associazione Amici di Galiana di Viterbo, con loro abbiamo iniziato il nostro primo progetto di rete “ Hakuna Matata 2.0”, tirocini formativi per 10 ragazzi che ha visto le aziende della rete collaborare tra loro e collaudare i nostri rapporti interni e di partnership con l’esterno.
L’Unitus segue con attenzione il fenomeno dell’agricoltura sociale?
Sì, l’Unitus, in particolar modo il DAFNE con il prof. Saverio Senni che consideriamo il nostro mentore in materia, da sempre ha studiato il fenomeno e dato spunti di riflessione interessanti e salienti su cui lavorare e migliorare la fruibilità dei servizi di agricoltura sociale, oltre a fare opera di divulgazione in materia sia in Italia che all’estero. Con il DAFNE, peraltro, SolCare ha sottoscritto una convenzione proprio per lo sviluppo delle tematiche di agricoltura sociale e la possibilità di studio dei fenomeni connessi, nell’ottica di analizzare in maniera scientifica il fenomeno e trarne importanti suggerimenti operativi.
Dal punto di vista umano cosa le consegna questa esperienza?
Tante cose: la semplicità dei ragazzi nel farti domande sui cicli biologici e naturali, il loro stupore nello scoprire le patate sotto terra o i lamponi rossi tra le foglie del lamponeto, il modo genuino che alcuni hanno di trovare la soluzione a problemi pratici, i sorrisi, gli sguardi…
La sua sicuramente è una esperienza armata di passione e competenze, motivazione e formazione e crediamo di un forte amore per la sua terra, per la Tuscia…
La Tuscia ha forti connotati rurali e li mostra con orgoglio, giustamente, assurgendo probabilmente alla provincia più bella del Lazio (e dintorni) a partire dal paesaggio, creazione degli agricoltori che nei secoli hanno plasmato il territorio e lo hanno conservato fino a noi. Questa cultura così tradizionalista deve però ora fare un passo in avanti nel senso di inclusione e di coinvolgimento reale di tutte le sue rappresentanze. Solo evolvendo e includendo tutte le forze ed energie sociali potremo effettivamente svilupparci anche sul piano turistico e dell’offerta enogastronomica; non abbiamo nulla da invidiare ad altre aree del Paese, anzi, semmai le riforniamo di nascosto (olio, nocciole, ecc.)…Quello che ci manca è la cultura dell’accoglienza e ciò in parte si ritrova anche in campo sociale.
Lo sviluppo turistico potrebbe essere la chiave di volta per il decollo dell’economia provinciale e, quindi, di tanti progetti legati anche all’agricoltura sociale che vede impegnati imprenditori agricoli e soggetti svantaggiati, l’uno accanto all’altro.