Fabio Fabbri, Venti giorni al Porto, 18 gennaio – 6 febbraio 1897, Le Origini della Compagnia portuale di Civitavecchia

di Silvio Antonini

Il fatto storico gode già di una monografia specifica: Fronte del porto, Le Lotte dei portuali di Civitavecchia alla fine dell’Ottocento, ad opera di Francesco e Silvio Serangeli, editata nel 2006 dalla Compagnia portuale di Civitavecchia.

A tornare meritoriamente sull’argomento, dopo 17 anni, è il cattedratico Fabio Fabbri, docente di Storia del lavoro, con all’attivo diversi volumi sul tema, il cui raggio d’azione si estende alla Storia contemporanea italiana più in generale.

L’avvenimento preso in esame è quindi lo Sciopero che vide protagonisti i lavoratori del Porto di Civitavecchia, il principale scalo portuale per Roma, nel “fosco fin del secolo morente”, quasi nel bel mezzo tra la Comune di Parigi (1871) e la Rivoluzione d’ottobre (1917). Uno snodo fondamentale per la Storia del movimento operaio italiano, in sintonia con quanto stesse accadendo negli altri paesi europei. Grande risalto è infatti qui dato al contemporaneo Sciopero portuale di Amburgo.

La motivazione dello Sciopero civitavecchiese era data dal corrispettivo troppo esiguo dello scarico merci ai facchini: 20 centesimi a tonnellata. Così, il 18 gennaio 1897, gli scaricatori incrociavano le braccia per un’astensione ad oltranza destinata a durare, appunto, venti giorni. Quanto accadde in quel lasso di tempo sta a dimostrare le trasformazioni che erano in corso nella società italiana, con il Secolo lungo, l’Ottocento, che, sebbene lentamente, si stava preparando per cedere il passo a quello breve, alle porte.

Lo Sciopero, facendo perno su motivazioni in prima istanza puramente economiche, fa emergere immediatamente una contrapposizione di classe, nel caso specifico tra il proletariato portuale, vale a dire i facchini, e gli spedizionieri, cioè i padroni degli scambi marittimi. Il proletariato è, abbondantemente, ancora fuori dalla rappresentanza politica vera e propria, eppure, mobilitandosi, riesce a trascinare con sé gran parte del mondo sociale ed economico della Città marinara. Ogni sciopero aveva, ed avrebbe avuto, bisogno di sostegno, in special modo con denari e generi alimentari, per sopperire alla mancanza di introiti di scioperanti e famiglie. A Civitavecchia – ma il fenomeno avrebbe avuto a replicarsi altrove -, sono i commercianti e gli artigiani, cioè in aridi termini sociali la piccola borghesia, a far pervenire un aiuto indispensabile per sostenere il braccio di ferro con spedizionieri ed istituzioni. Una solidarietà che pone la classe operaia a guida dell’ambiente, per ora solo sociale, in seguito anche politico, in cui vive.

All’elemento di classe si va ad aggiungere quello che si sarebbe poi chiamato di genere. Nello Sciopero c’è un assoluto protagonismo delle donne: un elemento che, se non è inedito, l’occasione fa emergere in tutta la sua forza. Sono le donne, non più limitate all’opera di maternage, che incitano i lavoratori a scioperare, affrontano direttamente la forza pubblica, gridano: “Alla miseria aggiungete pure le manette? Non me ne importa, almeno in carcere mangerò; fuori invece muoio di fame”.

C’è poi l’aspetto che si potrebbe definire culturale. Lo sciopero fa breccia sull’opinione pubblica. C’è chiaramente l’organo del Partito socialista, “L’Avanti!”, nato neanche un anno prima, che dà dignità nazionale all’evento, soprattutto lanciando e sostenendo la campagna di sottoscrizione, con versamenti che giungono dalle aree e dai settori sociali più disparati del Paese. Per fare un esempio, la prima volta che compare la città di Viterbo sul quotidiano socialista è proprio nell’elenco dei sottoscrittori pubblicato il 5 febbraio 1897. Si assiste poi ad uno squarcio nella stampa, per così dire, indipendente, solitamente espressione dei ceti possidenti. A Roma, “Il Messaggero” manifesta chiaramente simpatia verso lo Sciopero, pur limitandone certo la prospettiva al perimetro economico. Ciò segnala un mutamento in atto nel dibattito politico italiano, un diverso approccio alle questioni sociali da parte dei ceti intellettuali, tradizionalmente egemonizzati dal conservatorismo.

Sul versante eminentemente politico, lo Sciopero si consuma nel pieno della svolta autoritaria di fine Ottocento, a seguito della Disfatta coloniale di Adua (1° marzo 1896). In carica c’è il III Gabinetto di Antonio Starabba marchese di Rudinì, tutto incentrato a stroncare sul nascere il movimento operaio colpendo le sue istituzioni. I referenti politici nazionali per il territorio di Civitavecchia sono il deputato Tommaso Tittoni ed il senatore, e Sindaco, Giacinto Guglielmi, entrambi esponenti dell’aristocrazia fondiaria. C’è però una sorta di contropotere che avanza minacciando i poteri secolari di questa compagine. C’è il Partito socialista, nato da cinque anni appena, che, sul posto, se non ha ancora espresso una vera e propria classe dirigente, in senso politico, conta diversi esponenti, organizzatori, come si usava dire al tempo, con un radicamento considerevole fra la popolazione. Ci sono poi gli esponenti nazionali del Partito, come Filippo Turati ed Andrea Costa, che si espongono per la causa dello Sciopero o vengono direttamente a tenere comizi in città. Già, in quei frangenti si va affermando la guida socialista nelle rivendicazioni popolari e la questione classista, da appendice democratica e repubblicana delle aspirazioni risorgimentali qual era rimasta per decenni, prende ad assumere sembianze proprie. Nasce, o comunque si infittisce rapidamente, quel tessuto di camere del lavoro, circoli operai, cooperative, sezioni etc. per cui sarebbe stato coniato, per la prima volta, il termine di resistenza.

Tutti fattori che contribuiscono al successo dello Sciopero che ha termine il 6 di febbraio, senza annoverare incidenti o disordini di rilievo, nella calma e nella concordia cittadina. I facchini, difatti, hanno vinto, ottenendo il compenso degli scarichi a 44 centesimi la tonnellata, assieme ad altre migliorie, vedendosi altresì riconosciuto il ruolo di parte sociale nelle trattative. Ora c’è da fare un ulteriore passo: su suggerimento proprio di Costa, si costituisce la Società anonima cooperativa fra i facchini del Porto, il cui Statuto vede la luce il 29 marzo 1897. Al 20 maggio è fissata l’inaugurazione della sede.

Occorre perciò aggiungere un ultimo tassello alle trasformazioni di cui sopra. La nascita della Cooperativa dei portuali sancisce sul posto un altro passaggio in atto nell’organizzazione operaia in Italia: alle forme paternalistiche e di coesione sociale del mutualismo, affermatesi nel periodo immediatamente postunitario, si vanno affiancando, fino ad esautorarle politicamente, istituzioni riferite alla classe e alle sue rivendicazioni, in un’ottica ormai conflittuale.

E poi via, a cavallo dei due secoli, fino allo scompaginamento della Prima guerra mondiale. Proprio nelle agitazioni sociali e politiche di ritorno dal Fronte, alla consolidata guida dei portuali si sarebbero affiancate le altre figure operaie in quello che è del resto il secondo centro industriale del Lazio; nei fatti il primo, se lo si relaziona alla popolazione: i carboniferi, i cementieri ed i ferrovieri.

Una compattezza ormai di classe, che avrebbe edificato un muro compatto contro l’avanzata fascista, con il noto Battaglione degli Arditi del popolo di Civitavecchia.

Alla fine, il Fascismo avrebbe comunque avuto la meglio e la Cooperativa sarebbe stata ribattezzata Compagnia portuale, nome che conserva tuttora, anche se per i civitavecchiesi è sempre rimasta la Cooperativa.

Oggi Civitavecchia ha, come tutti i centri, subito enormi trasformazioni, trasformazioni che altrove hanno cancellato sino alla minima traccia di passato popolare. Nel traffico, nel caos, nel via vai della Civitavecchia odierna, della sua zona portuale, del lungomare, si arriva in via della Cooperazione, dove ha sede appunto la Compagnia portuale, al netto di tutti i mutamenti soggettivi ed oggettivi, politici e sociali, nel tempo che passa per tutte e per tutti, ancora significativo ed incisivo riferimento per questa storia. E di questa storia si parla segnatamente, in un modo o nell’altro, ad ogni tradizionale ricorrenza del 20 maggio, attorno alla quale la Compagnia festeggia pubblicamente il suo compleanno.

      

Fabio Fabbri, Venti giorni al Porto, 18 gennaio – 6 febbraio 1897, Le Origini della Compagnia portuale di Civitavecchia –Roma – Bari, Laterza, 2023, pp. 142, € 20.00.


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