Daniele Vessella porta la voce impalpabile della disabilità al Midossi

di Paola Maruzzi

daniele vessella

Lo scorso 3 aprile Daniele Vessella, sceneggiatore per la Disney e autore di un romanzo autobiografico, ha incontrato gli studenti dell’ITT del Midossi per raccontare la sua esperienza di resilienza oltre le barriere della disabilità. L’iniziativa si è inserita nel più ampio progetto di Autonomia e Orientamento che, tra gli scopi, ha quello di fornire visioni alternative a ragazzi che seguono percorsi differenziati.

“Siamo partiti l’anno scorso in via sperimentale e il successo, dal punto di vista dei risultati attesi, è stato subito percepito dai docenti coinvolti – spiega Gaetano Mancino, referente Inclusione dell’Istituto civitonico –. Il prossimo appuntamento sarà con l’imprenditore Riccardo Taverna, in occasione dell’Earth Day del 29 aprile: presenteremo i risultati di un’azione sul territorio che ha coinvolto direttamente i ragazzi, i quali hanno mappato le barriere architettoniche fornendo un contributo alla community di WeGlad”.

Sollevare il tema della disabilità significa, quindi, partire dalle varie forme di resistenza e di pregiudizi, dal saperle riconoscere e, successivamente, riconvertirle. Emblematica in tal senso è la testimonianza di Vessella, il cui incipit professionale s’imbatte, appunto, in un iniziale rifiuto divenuto volano di un nuovo percorso espressivo. Daniele ha parlato a una platea di giovanissimi pur essendo impossibilitato ad esprimersi a voce, ha messo in gioco un pensiero costruttivo e versatile nonostante sia “inchiodato” alle sue importanti difficoltà motorie.

 

Sognavi di fare il disegnatore e invece hai fatto lo sceneggiatore per la Disney. Come ci sei arrivato?

 

È stato un percorso tortuoso. Volevo diventare un disegnatore Disney, ma quando Massimo Vincenti, direttore della Scuola Romana dei Fumetti, vide i miei disegni mi sconsigliò quella strada perché, se paragonati a quelli fatti da mani sane, il confronto non avrebbe retto e non avrei mai sfondato. Tuttavia, valutando qualche mio scritto, mi suggerì di puntare sulla sceneggiatura. Lì la mia disabilità non si sarebbe vista, avrei potuto far muovere i personaggi come avrei voluto e il disegnatore avrebbe eseguito le mie direttive. Accettai il suggerimento di Massimo storcendo il naso: volevo diventare un disegnatore e non sapevo nemmeno cosa fosse una sceneggiatura, ma questo mi bastava per entrare nel mondo del fumetto e in quello Disney, in un modo o nell’altro. Per fortuna, mi appassionai subito all’essere il direttore d’orchestra di una storia; appesi le matite al chiodo e, appena finiti i corsi, mandai, tramite un disegnatore Disney, tre soggetti con Paperino protagonista e uno venne approvato. Da quel momento, iniziai a lavorare per Topolino come sceneggiatore.

 

Con il libro “Dall’altra parte” ti sei misurato con la scrittura autoriale, raccontando sfaccettature di te che non avevi ancora mostrato. Cosa ti ha spinto a farlo?

 

Sono partito da una domanda: cosa sanno gli altri di cosa significa non parlare se non si vive il problema in prima persona? Ho voluto mettere l’accento su questo aspetto per provare a far riflettere sul fatto che, visto la loro preziosità, non bisogna buttare le parole come se fossero carta straccia. Ho un intero mondo che vorrebbe esplodere durante una conversazione, ma resta nascosto perché nessuno ha il tempo, né la pazienza di leggere i miei gesti e io non voglio farmi il sangue amaro con chi non capisce che persino alzare un dito richiede uno sforzo enorme. Mi innervosisco io, insieme al mio interlocutore e tutto diventa paradossale, come un cane che si morde la coda. In quei frangenti, mi isolo e penso alle mie storie.

 

 

Si può davvero sfondare la gabbia della disabilità?

Sono certo che la libertà non esista: tutti siamo prigionieri di qualcosa, chi di una carrozzina, seppure non l’abbia scelta, chi di un cellulare, chi di un gioco. Per non disperdere questi pensieri, ho voluto metterli su carta, così chi leggerà il libro saprà come la penso su determinati argomenti e, magari, potrebbe rifletterci sopra.

 

A sentirsi prigionieri dei propri limiti sono soprattutto gli adolescenti che si affacciano a nuove sfide per la prima volta. Che messaggio hai da dare a loro?

 

Tutti abbiamo dei limiti e, se diventano insuperabili, bisogna prendere altre vie, guardandole da altri punti di vista e, magari, raggiungere l’obiettivo che ci si era prefissato.

Ma è inutile e deleterio, secondo me, continuare a sbattere su una barriera troppo alta da oltrepassare, perché si perde di autostima e senza quella componente non si va lontano. Agli adolescenti dico: rincorrete i sogni fino allo sfinimento ma, se vedete che la meta è troppo difficile da raggiungere, cambiate aria.

 

Quali progetti professionali ti piacerebbe realizzare?

Spero che il mio futuro sia sempre immerso nella scrittura, magari con un best seller che mi renderà famoso in tutto il mondo! Mi piacerebbe realizzare un progetto per il cinema, per esplorare l’unico settore che mi manca. Una volta, un regista mi chiamò per fare il co-sceneggiatore a un film, poi cambiò il produttore che si fidava solo di lui e dissi arrivederci a quell’ambiente. Ma io non mi arrendo tanto facilmente e, prima o poi, riprenderò quel campo!

 

 

L’attenzione alla disabilità, almeno sulla carta, ha fatto grandi passi in avanti negli ultimi decenni. Dal tuo punto di vista si tratta di cambiamenti sostanziali o sono solo di facciata? 

 

Davvero? Io non mi sono accorto di nulla, anche perché vedo le stesse barriere di decenni fa. Per ottenere un finanziamento bisogna aspettare mesi e, se non si possono anticipare quei soldi, tocca rinunciare a quel determinato servizio. Per ottenere un nostro diritto bisogna battere fortemente i pugni, per ottenere qualsiasi cosa bisogna dar battaglia, come è sempre successo. Forse nell’ambito scolastico è cambiato qualcosa, ma non frequento più quel campo da anni e non saprei cosa dire a riguardo. Posso affermare che la mia esperienza con le istituzioni è tutt’oggi negativa, ma da inguaribile sognatore spero in un’evoluzione.

 

Quali sono i luoghi comuni legati alla disabilità che vorresti far saltare?

Vorrei sdoganare il fatto che disabilità non è per forza sinonimo di stupidità, spesso dietro a problemi tangibili e visibili si nascondono menti geniali. Vorrei anche abbattere il muro di ipocrisia e compassione che spesso ci circonda, non ce ne facciamo niente! Mi piacerebbe abolire il timore che ha la gente nel rapportarsi con una persona diversamente abile, non abbiamo mai mangiato nessuno! Leggo tutto questo negli sguardi di chi tenta di approcciare un discorso con me, dal tono della voce alto, troppo alto, ma è comunque comprensibile per chi si trova davanti una persona diversa dalle altre per la prima volta. E, anche se capisco che comunicare con noi è spesso complesso, vorrei far sapere che abbiamo un mondo che vale la pena conoscere ed esplorare.

 

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