Alfonso Talotta, dal calcio all’arte guardando al museo nazionale di Budapest

di Luciano Costantini

Pianoscarano è il cuore di Viterbo, via sant’Andrea è il cuore di Pianoscarano, il civico 48 è il cuore pulsante di amore e di arte di Alfonso Talotta. Pittore e ceramista che con pennello e creta disegna e dà vita al proprio intimo. “Io – sottolinea – vado molto a sensazioni”. Tradotto: “sintesi di astrazione concettuale”. Come dire, riportare sul piano visivo ciò che detta la mente e l’animo. Principio difficilmente spiegabile a parole. Alla fine è sempre l’opera che coniuga i sentimenti dell’artista. Un artista nato quasi per caso perché il primo, grande amore di Alfonso in effetti è stato il pallone. Quasi inevitabile. “Ho iniziato – racconta – a dare i primi calci, qui a pochi metri da casa, nel campetto di don Sebastiano Ferri. Mi chiamava Calimero, non so perché. Non l’ho mai capito. Fatto è che divenni Calimero per tutti. Anche quando entrai nei ragazzi del Pianoscarano. Giocavo bene, così almeno dicevano gli altri. Nel ’73 sfiorai quasi il titolo di campione regionale Allievi. L’anno dopo il salto alla Viterbese. Qualche apparizione nella prima squadra. Poi il crack”. E cioè? “La rottura del menisco, il 2 novembre del ’75. Lo ricordo quel giorno maledetto perché quella domenica appresi, quasi per caso, della morte di Pasolini”. Il rientro sui campi all’inizio del ’76. “Ma sentivo che nulla era più come prima. A livello fisico, ma soprattutto mentale. Fine di un sogno, che però ne faceva crescere un altro che era emerso lentamente dentro di me, quello per la pittura>. Già, le famose sensazioni….”In effetti, fin da bambino trascorrevo gran parte del mio tempo nella bottega di mio zio Gino che era specializzato in restauri. Mi inebriava quasi il profumo del legno, dei colori, della colla”. Inevitabile quasi il passaggio al Liceo Artistico di via Genova, diretto dal compianto Ausonio Zappa. E l’incontro fatale con quattro personaggi che di Alfonso sono stati guida nell’arte e nella vita. “Il primo, naturalmente, mio zio Gino che mi fece respirare l’aria e l’atmosfera del legno e della tela. Il secondo, Alessio Paternesi, al quale puntualmente e con insistenza presentavo i miei dipinti. Ricordo che una volta, forse perché esasperato dalla mia continua presenza o perché era realmente sincero, mi disse: “Hai molta volontà, diventerai qualcuno. Chiaro per me fu un’autentica iniezione di fiducia”. Se nei lavori di Alfonso si legge la poesia è merito anche del terzo e del quarto dei suoi padri artistici. “Roberto Domenicucci che mi fece conoscere Montale e Pavese. E Mario Angelini, un insegnante che godeva dell’antipatia di tutti. Non era così per me. Nacque un rapporto splendido tra docente e discepolo che è durato nel tempo. Devo a lui la iniziale conoscenza dell’arte contemporanea”. Quattro personaggi che hanno segnata la crescita artistica, culturale, umana di Alfonso che, negli anni si è andata affinando sempre sul pennello e poi sulla ceramica che però non ha soppiantato la tela, ma semplicemente integrato ciò che il suo intimo riesce a far emergere. “Lo ripeto, vado molto a sensazioni”. Ma se si dovesse sintetizzare lo stile? Alfonso si concede una piccola pausa, poi si affida a una nota frase del pittore e scultore francese, Georges Braque: “Mi piace la regola che corregge l’emozione. Mi piace l’emozione che corregge la regola”. Per scoprire il significato più intimo del passaggio, il sommesso suggerimento è quello di visionare l’opera di Talotta. Non c’è che l’imbarazzo della scelta: decine e decine di mostre, in Italia e all’estero; gallerie prestigiose che oltre ai quadri hanno il prezioso merito di avere contribuito a far conoscere Viterbo e la Tuscia. Alfonso pittore/ceramista per amore. Ma la vita richiede anche un impegno più pragmatico. Emozioni sì, ma pure lavoro. Quaranta anni di attività artistica e oltre trenta come insegnante. Dal 2017 al 2019 è docente della Cattedra di pittura presso l’Accademia delle Belle Arti “Lorenzo da Viterbo”. E da ultimo docente di Arte e Immagine presso l’istituto Comprensivo di Vetralla, nel plesso di Cura. Ma ancora per pochi giorni perché, il nostro, dal prossimo settembre andrà in pensione. “Senza rimpianti. Vuol dire che mi dedicherò ancora con più tempo e passione a dipingere. E magari troverò nuovi stimoli…Ricorda? Vado a sensazioni”. Le sensazioni spesso costruiscono anche i sogni. “Be’ io ne ho uno, che il Coronavirus per ora ha infranto. Partecipare al museo nazionale Ludvig di Budapest per una mostra di una collezione italiana degli anni Sessanta/Settanta. Avrei dovuto presentare “Tracciati urbani”. Che dico un sogno? Sarò prontissimo per volare in Ungheria quando la rassegna si farà”.

COMMENTA SU FACEBOOK

CONDIVIDI