“Con Terre di Faul Filippo Miele ha esportato Viterbo in tutta Italia”.

Diego Galli

La “storia” di Filippo Miele comincia nel 1985, a Spoleto, ma sono ormai ben 28 anni che la Tuscia può contare sulla presenza di questo viterbese d’adozione. La sua permanenza nel nostro capoluogo è stata sempre costante, tanto da convincerlo a dare vita a qualcosa di ambizioso: il birrificio “Terre di Faul”. Come ci spiega Filippo, all’interno dello spazioso stabile dove è ubicata la sua azienda, il suo “sogno” è cominciato una volta terminati gli studi in Scienze della Comunicazione: “Una volta conseguita la laurea ho iniziato a guardarmi attorno, cercando di capire quale fosse la mia vera strada. Nel 2012, sondando il mercato, ho compreso che uno dei maggiori settori in crescita, in Italia, era quello del food and beverage”. Ridendo, il giovane imprenditore ci rivela come la sua passione per le bevande alcoliche sia sempre stata, in realtà, una cosa molto seria: “Questo è un mondo che mi ha sempre attirato. Provengo da una famiglia di distillatori e già il mio bisnonno era noto a Viterbo per essere il proprietario della distilleria Gorziglia. Anche questo mi ha portato, nell’aprile 2014, a dar luce al microbirrificio Terre di Faul”. Il suo, però, non è stato un percorso semplice e in discesa. Prima di poter aprire la sua azienda, Filippo ha dovuto specializzarsi ed acquisire l’esperienza necessaria. Questa “palestra” è cominciata con dei corsi di formazione presso l’Università di Perugia e il laboratorio C.E.R.B. (Centro di Eccellenza per la Ricerca sulla Birra), uno dei più importanti centri scientifici italiani riguardo questo ambito, ma non sono mancati studi e letture di vario genere, come anche un tirocinio negli Stati Uniti. “Nel 2013 ho effettuato un tirocinio presso un birrificio in Arkansas. Qui ho potuto capire, un poco, come funzionasse un microbirrificio e cosa ci fosse dietro alla produzione della birra. È stato molto importante, perché il passo dal fare birra fatta in casa ad avviare una produzione vera e propria è davvero grande”. Da cotte di 20 litri (per cotta si intende il procedimento di creazione del mosto, che poi sarà fatta fermentare per produrre la birra), il viterbese per adozione è passato a cotte di 800-1000 litri e, di conseguenza, a una produzione molto più impegnativa. Come continua a spiegarci Filippo: “Il mercato italiano di questo settore è cresciuto molto negli ultimi anni, tanto da permettere la nascita di molti nuovi microbirrifici e oggi se ne contano circa 1000. Per cercare di distinguermi da questa massa ho deciso di realizzare un birrificio di tipo agricolo, puntando anche a dei finanziamenti statali. Purtroppo, questi non sono mai arrivati poiché lo stanziamento di quell’anno era già stato raggiunto, ma la mia avventura ha comunque avuto inizio”. Essere un birrificio di tipo agricolo, tra i vari oneri, ha comportato per l’ideatore di Terre di Faul, l’utilizzo di almeno il 51% di materie prime proveniente dai propri terreni, in questo caso l’orzo, un cereale abbastanza semplice da coltivare, che Filippo coltiva su cinque ettari di terreno presi in affitto nella Tuscia da alcuni anni. Oggi, nonostante il duro lavoro, le cose per Terre di Faul sembrano andare piuttosto bene: “La produzione è in crescita costante. Sono partito con un volume di 200 ettolitri di birra e quest’anno punto a produrre almeno 450-500 ettolitri”. Quello che ci viene descritto è letteralmente un fiume di birra e per accoglierlo sono stati preventivati nuovi investimenti, come un ingrandimento della cantina di fermentazione, che vedrà presto l’aggiunta di un quarto fermentatore. Parlando di distribuzione, il giovane produttore di birra ci spiega un particolare davvero affascinante, ovvero che la maggior parte della bevanda ambrata viene attualmente distribuita al di fuori del Lazio, raggiungendo quasi ogni regione italiana. “Ho cominciato con una piccola distribuzione locale e producevo circa un 40% di bottiglie e un 60% di fusti. Nel 2015, però, è cominciata una vera metamorfosi e la vendita ha cominciato a farsi sempre più importante su Roma e meno su Viterbo e provincia. All’inizio del 2017 avevo già raggiunto quasi ogni zona d’Italia, fatta eccezione per Sicilia, Molise e Umbria”. Questo mercato, nonostante il boom di consumo, è però vittima di una crisi molto particolare: “Negli ultimi mesi si sta diffondendo un fenomeno che vede i big della grande distribuzione intenti ad acquisire i microbirrifici. Il primo caso, in Italia, è avvenuto lo scorso anno con l’acquisizione del birrificio ‘Birre del Borgo’ di Rieti da parte della multinazionale InBev; questa pratica è sempre più frequente poiché i piccoli produttori, insoddisfatti dei propri introiti, accettano di essere assorbiti all’interno delle grandi aziende”. La via scelta da Filippo, ovviamente, non è quella di vendere Terre di Faul al miglior offerente, tutt’altro: “La mia idea è quella di aprire una taproom (una sorta di pub in stile inglese, ndr), magari in centro a Viterbo, dove poter vendere direttamente la mia birra, massimizzando i guadagni. Solo così è possibile evitare di entrare nel loop di aumentare la produzione, e di conseguenza i costi, ma non i ricavi. Vendere direttamente mi permetterebbe di bypassare il problema dei costi di distribuzione, aumentando i guadagni. Questo è il mio obiettivo del prossimo futuro”. Per questo giovane umbro, che ha scelto la Tuscia come casa e luogo dove dare inizio a qualcosa di grande, il sogno è, quindi, ancora in corso. Nel frattempo, la birra Terre di Faul esporta le origini viterbesi in tutta Italia, anche se non proprio tutti conoscono la tetrapoli etrusca che, dicono, abbia dato origine alla nostra città e all’acronimo “FAVL”: Fanum, Arbanum, Vetulonia, Longula.

 

 

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