Francesca Pontani: affascinata dall’antichità, dalla storia e dalla Tuscia

Francesca Pontani, trentottenne, professione archeologa. Una laurea in Lettere, Quadriennale e Vecchio ordinamento, voto 110 e lode.
All’Università de La Sapienza di Roma il suo piano degli studi l’ha sviluppato tutto intorno l’antico Egitto, tanto da laurearsi in Egittologia discutendo la tesi dal titolo: “Kahun. Città del Medio Regno”, relatrice Loredana Sist, correlatrice M.G.Biga.

La sua definizione di archeologia e perché ha scelto di fare l’archeologa
Per me l’archeologia è la scienza dell’uomo; per me “archeologia” significa capire l’uomo e parlare, quindi, di noi stessi. Parlare di noi stessi in una prospettiva che è quella della comprensione del passato, nel quale c’è tutto il nostro presente. Noi siamo il risultato della storia che ci ha preceduto e che fisicamente sta ancora intorno a noi e che continua a plasmare la nostra realtà e le nostre decisioni.
Come dice Sabatino Moscati, le pietre non sono mute ma parlano. Le “pietre” antiche ci parlano, ci raccontano della nostra esistenza e di quella nostra memoria collettiva che dovrebbe guidarci nelle scelte di ogni giorno: materiali, sociali, esistenziali. Io considero fondamentale lo studio del mondo antico perché è il solo strumento per ricostruire questo filo di continuità con il passato, le nostre origini.

Il suo attaccamento alla Tuscia da dove nasce?
Io frequento e vivo la Tuscia fin da quando sono nata. Sono nata e cresciuta a Roma, ho studiato a Roma e fatto la pendolare con Roma, per lavoro, da sempre, ma mia madre è di Tuscania e mio padre è di Grotte di Castro, quindi frequento i piccoli paesi di questo territorio da tutta la mia vita. Ho sempre passato le mie estati nella Tuscia e soprattutto sul Lago di Bolsena. Da piccola tante cose non le capisci, respiri e assorbi i paesaggi e la storia etrusca di questo territorio e poi, inconsapevolmente, fai dei raffronti e dei paragoni con i posti (caotici) in cui vivi quotidianamente (Roma, Quartiere Montesacro). Metti tutto questo (visioni, sensazioni, odori, colori, visi, paesaggi) dentro un cassetto della mente e lì restano chiusi per anni. Ma mi sono resa conto che la vita, ad un certo punto, ti fa riscoprire le tue radici in un momento ben preciso, quando sei pronta per potertene prendere cura di nuovo, soprattutto con la preparazione professionale, l’esperienza e la consapevolezza della meraviglia archeologica e naturalistica che c’è intorno a noi. Questo è accaduto a me e questo sto cercando di fare.

Quali sono le sue attività nel territorio viterbese?
Come Archeologa faccio parte del Comitato Scientifico del “Museo Archeologico delle Necropoli Rupestri” di Barbarano Romano (in base alla Delibera comunale di novembre 2015). Oltre la parte scientifica mi occupo della comunicazione sia redazionale che visual e content editor: scrivo e gestisco il Blog del Museo (https://museoarcheologicobarbaranoromano.com/ ) e la Pagina Facebook, che abbiamo deciso di chiamare @LoveEtruriaRupestre. Questa decisione nasce dall’idea di per poter così raccontare nel modo più completo possibile il fenomeno dell’archeologia rupestre, che è un fenomeno unico nel suo genere, senza paragoni e confronti con il resto d’Italia: “L’impressione di fantastici miraggi di città del passato che sembrano sorgere tra le macchie, dall’addensarsi delle sagome intagliate”, queste le parole di Massimo Pallottino che, 35 anni fa, descriveva il fascino della Tuscia di Viterbo.
Del territorio viterbese mi occupo anche attraverso le attività dell’Associazione Archeotuscia onlus, con la quale sto organizzando l’Ottavo Convegno sulla Storia di Tuscania (18 marzo 2017); scrivo sulla rivista La Loggetta di Piansano; parlo del territorio della Tuscia viterbese sul mio blog ArcheoTime e sul mio canale youtube Archeotime (per es. La Tomba del Cervo; La Necropoli delle Scalette). Indietro nel tempo, ho lavorato per alcuni anni con www.italiavirtualtour.it per il quale ho redatto i testi e i contenuti, per es., di Montefiascone, Bolsena, Oriolo Romano, Vejano, Viterbo, per citarne alcuni.

Ci sono settori della nostra Tuscia Rupestre totalmente sconosciuti e ricchi di storie da raccontarci. Cosa si fa o si può fare?
Sì la cosiddetta “Tuscia Rupestre” è ricca di innumerevoli storie da raccontare. Cosa si può fare? Prima di tutto sarebbe doveroso imparare a rispettarla! Un concetto molto semplice ma che è molto difficile da mettere in pratica. Ci sono località straordinarie con tagliate etrusche immerse nei boschi che ho scoperto, recentemente, essere diventate discariche abusive a cielo aperto. Il mio è un grido di allarme che deve essere rivolto a sensibilizzare tutti, cittadini e amministratori; inoltre bisognerebbe saper comunicare, soprattutto nelle scuole, l’eccezionalità e il privilegio di essere nati e di vivere in un territorio come questo.

In Italia abbiamo una lunga tradizione ma diamo giusta importanza al valore del patrimonio culturale?
No, non diamo giusta importanza al valore della nostra cultura storica e archeologica. Tant’è che se ne accorsero anche i viaggiatori del Grand Tour che definirono l’Italia “un paese dei morti”. Nel senso che l’Italia ha una grande storia e cultura che appartiene al passato, “ai morti” e, purtroppo, dall’Ottocento è rimasto tutto (o quasi) così.

Come vede l’intervento privato nei progetti culturali? C’indichi un caso simbolico
L’intervento dei privati lo vedo positivamente ed è prezioso, sia dal punto di vista di volontà umana, di fare, di metterci le braccia concretamente, sia dal punto di vista economico. Nella Tuscia di Viterbo operano molte associazioni culturali i cui volontari rendono possibile la fruizione di biblioteche, musei e aree archeologiche, che altrimenti resterebbero chiuse.
Un caso che mi viene in mente è la campagna di scavo archeologico della “Tomba a Casetta di Vel” a Norchia. Grazie all’armonica sinergia tra pubblico e privato nel giro di pochi anni si è riusciti con successo al recupero di questa tomba rupestre. L’operazione è stata infatti condotta dai soci Archeotuscia in stretta collaborazione e guidata dalla Soprintendenza Archeologica del Lazio e dell’Etruria. Fatte tutte le indagini, si pensava che il bellissimo corredo di Vel sarebbe rimasto chiuso e dimenticato. Invece l’entusiasmo per la scoperta ha portato alla nascita di una efficace forma di collaborazione che, a fianco della Soprintendenza e delle Associazioni di volontari, ha visto la partecipazione di privati, illuminati e sensibili alla valorizzazione del nostro patrimonio cultuale, nello specifico del mecenate Lorenzo Benini con la sua società Kostelia srl e il Trust Sostratos che hanno permesso non solo il restauro dello splendido corredo scoperto, ma anche la sua esposizione, in tempi rapidissimi, nel Museo Archeologico Nazionale della Rocca Albornoz di Viterbo.

Quali sono i siti della Tuscia da conservare su cui dover avviare il lavoro di
recupero?

Tutta la Tuscia archeologica necessiterebbe di un lavoro di recupero, perché il tufo è delicato e se non si sta attenti a radici e rampicanti, queste frantumano tutto quello che trovano nel loro cammino, come mi è capitato spesso di vedere nelle necropoli etrusche. Salvo casi sporadici, tutto è lasciato un po’ a sé stesso e quindi la mancanza di costanti interventi causa un naturale e irreversibile deterioramento dei monumenti rupestri. Ci fu il grande boom dei percorsi e delle riqualificazioni all’epoca del cosiddetto “Anno degli Etruschi” nel 1985 ma, da allora, pochi sono stati gli interventi di mantenimento. Tant’è che, per esempio, la pannellistica e le indicazioni stradali per raggiungere i siti archeologici sono completamente scoloriti o danneggiati, ed è così che per raggiungere alcuni luoghi ci si affida al passaparola tra conoscenti.
I primi siti che mi vengono in mente: tutta l’area archeologica di Norchia (con la chiesa di San Pietro gravemente pericolante e sul punto di crollare definitivamente da un momento all’altro); Grotta Porcina (Vetralla); la Necropoli delle Scalette (Tuscania); la necropoli di Sasso Pinzuto (Tuscania); Pian di Mola (Tuscania); San Giovenale e Luni sul Mignone (Blera); l’area archeologica di Monte Bisenzio (Capodimonte); l’area archeologica dell’antica città di Castro (Ischia di Castro) e nello specifico l’eccezionale chiesa di S. Maria con i preziosissimi affreschi lasciati in balia degli agenti atmosferici; Pianezze (Grotte di Castro); Cagnemora (Bomarzo) con i suoi recenti e sorprendenti ritrovamenti; la Via dei Principi (Tarquinia); una musealizzazione di Cencelle (Tarquinia); Castel d’Asso (Viterbo); Acquarossa (Viterbo); e segnalo anche la strada antica presso Monte Romano-Vetralla che attraverso il mio blog ho portato all’attenzione pubblica minacciata da opera pubblica.

L’archeologia è un settore che affascina tanti giovani, ma quali sono gli sbocchi concreti professionali, una facoltà come Beni Culturali a Viterbo apre al lavoro?

Gli sbocchi concreti professionali sono intraprendere la carriera universitaria attraverso il dottorato di ricerca o aderire ai concorsi che bandisce il Ministero. L’università di Viterbo non la conosco nello specifico ma, in generale, tutte le università offrono sì una solida preparazione nel campo dell’archeologia, però senza una concreta preparazione per il mondo attuale del lavoro, che è diventato molto esigente, complesso e richiede sempre maggiori competenze e specificità professionali.

Cosa non va oggi nel suo lavoro? Cosa chiederebbe?
Non esiste un albo professionale e la professione di archeologo non è riconosciuta. Non veniamo adeguatamente pagati a fronte di alta professionalità e impiego anche fisico (e usurante) sul posto di lavoro. Inoltre gli scavi si fanno solo durante i lavori per grandi opere pubbliche e presto richiusi, alla velocità della luce (e quindi mal studiati) e con il fiato sul collo perché ogni giorno in più passato a studiare adeguatamente un contesto archeologico, a documentarlo, è una perdita di denaro per chi lì deve eseguire una metro, le condutture dell’acqua o una palazzina residenziale… l’archeologo è quasi (sempre) considerato di intralcio…

Quali sono i suoi progetti attuali? Quanto vive nella Tuscia e dove?
Nel cassetto ho il sogno di riuscire a promuovere la “Tuscia Rupestre” come patrimonio dell’umanità e portarla così alla giusta valorizzazione che merita, attraverso mass media e web, così che tutti italiani e stranieri la conoscano.
Pur vivendo, per ora, a Civitavecchia (ma mi sto per trasferire a Viterbo) faccio ormai da diverso tempo la pendolare attraverso tutta la Tuscia per iniziative varie di associazioni e musei.

E il suo luogo del cuore?
È difficile poter dire un solo luogo del cuore, perché ne ho tanti legati a momenti ben precisi della mia vita. Però, per un fatto affettivo e di cuore davvero, dico San Giovenale: ancora studiavo all’università e la Tuscia rupestre interna la conoscevo soltanto attraverso i libri dell’esame di etruscologia. San Giovenale è stato il mio primo vero incontro con la Tuscia Rupestre.
Camminare nel completo silenzio della campagna è un’esperienza che mi è rimasta impressa: in questo luogo affascinante, immerso nella natura che riproduce esattamente un pagus etrusco con la sua necropoli. Un viaggio nel tempo davvero, con una natura straordinaria tutta intorno che incanta.

In sintesi l’archeologia secondo Francesca Pontani apre il cuore e la mente alla ricerca affascinante di spiegazioni e interpretazioni. Naturalmente anche i paesaggi immensi e la loro varietà sono un elemento di continua suggestione e meraviglia. Per chi la vive nella passione come lei non finisce mai di stupire.
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