“La Banda partigiana di Montebuono, una storia di Maremma”, la nuova ricerca di Giulietto Betti e Franco Dominici

di Silvio Antonini  

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“La Banda partigiana di Montebuono, una storia di Maremma” è l’ultima fatica, in ordine di tempo, per Giulietto Betti e Franco Dominici ad ulteriore conferma di come, in termini di Seconda guerra mondiale e Resistenza, la Maremma e l’entroterra grossetano rappresentino ad oggi, con ogni probabilità, l’area storiograficamente più, per così dire, coperta del Paese. Un’affermazione tutt’altro che esagerata se si pensa alle precedenti uscite che hanno visto i due come autori o curatori: Banda armata maremmana, 1943-1944, La Resistenza, la Guerra e la persecuzione degli ebrei a sud di Grosseto (2014), Banda Arancio Montauto, 1943-1944, La Resistenza fra Toscana e Lazio (2016) e Fascismo, Resistenza e altre storie in Maremma (2020). A queste, occorre poi aggiungerne altre sortite a due mano dei singoli studiosi e, da ultimo, i vari contributi usciti qua e là su siti on line e su riviste specializzate.

Una ricerca che ha certo riguardato principalmente il Grossetano, interessando però considerevolmente anche il Viterbese e lambendo il Senese e l’Orvietano. Aldilà, comunque, delle particolari aree geografiche interessate, i prodotti finali di questa ricerca sono universalmente, e implicitamente – elemento questo che ne rafforza il portato -, una valida risposta a tutte le interpretazioni che, per pigrizia intellettuale o deformazione politica, tendono a replicare una lettura grossolana e strumentale del periodo concernente la Lotta resistenziale. Tecniche, metodologie e deontologie messe qui in atto che, chiaramente, valgono per la ricostruzione di tutta la storia umana ma non occorrono tante motivazioni per intendersi su come il periodo qui in oggetto sia quello su cui oggi fa di più perno l’uso politico o, come è in voga dire adesso, pubblico della storia.

Nelle monografie sopra menzionate la storia si viene a trovare còlta sul fatto, analizzata attraverso l’uso più vasto possibile delle fonti: archivistiche, bibliografiche, emerotecarie, orali e di pietra. L’autore si presenta come intermediario tra i fatti ricostruiti ed il pubblico di lettori contemporanei e futuri, non necessariamente edotti in materia. Nella fattispecie si assiste ad un continuo interscambio tra generale e particolare snodato su più livelli: la storia mondiale, quella nazionale, quella regionale – provinciale ed, infine, del singolo centro abitato o, anche, del solo caseggiato rurale.

Ecco quindi che veniamo al testo in recensione. In passato gli autori hanno affrontato ora i caratteri generali della Resistenza in Maremma, quella che nella Lotta partigiana sarebbe stata logisticamente collocata, grossomodo, all’interno del Raggruppamento monte Amiata, ora le singole esperienze di banda ed individuali. Qui siamo nel particolare, cioè la Banda partigiana di Montebuono, dalla località ove questa si era formata, operante tra i centri di Sorano e di Castell’Azzara, in collegamento con la Banda Arancio Montauto. Una banda, e qui siamo nel generale, che come dappertutto si forma sull’intesa tra figure storiche di antifascisti del posto, giovani desiderosi di porre fine a guerra e fascismo e militari sbandati, compresi quelli alleati in fuga dai campi di prigionia. Nel particolare, si approfondiscono due figure: il soldato statunitense di origini messicane, Antonio Martan, ed il neozelandese Laurence Douglas Roderick, il “Capitano Rodric” della banda, il cui primo piano è qui posto in copertina. Ambedue hanno tragicamente sacrificato le loro giovani vite alla Liberazione del Paese. La banda si scioglie formalmente con l’eccidio nazifascista di suoi cinque componenti, consumatosi a Manciano il 14 marzo 1944, sebbene l’attività partigiana sarebbe continuata sino alla Liberazione del territorio.

All’operato fattivo della banda sono dedicati i capitoli centrali del libro. Tra le varie azioni segnalate, di tenore sia difensivo sia offensivo, si registra anche un sequestro di persona ai danni di Carlo Favron, Segretario del Partito fascista repubblicano di Selvena e Ministro della Società mineraria del monte Amiata, processato e giustiziato da un plotone di soldati sovietici, il 17 febbraio 1944.

È preso in esame anche il versante opposto, vale a dire quello della repressione antipartigiana ad opera dei fascisti italiani, inquadrati nella Guardia nazionale repubblicana (Gnr) e nelle istituzioni facenti capo a Salò. Si fanno i nomi dei responsabili della caccia ai renitenti, delle violenze ed intimidazioni a danno della popolazione civile e dell’uccisione dei combattenti partigiani. Si parte dai vertici locali, come il Capo della Provincia, Alceo Ercolani, il Comandante della Gnr di Pitigliano, Angelo Pini, e giù sino a giungere ai responsabili del singolo fatto.

La seconda parte del volume è costituita da una sostanziosa appendice che va ad occupare quasi la metà del tutto. Essa si dipana su due versanti documentali: da un lato la ricostruzione del seguito relativo alle vicende affrontate, segnatamente in relazione ai processi per l’uccisione dei partigiani Martan e Calvino Gagliardi, anche previa trascrizione delle cronache de “Il Tirreno”, di documenti attorno alla banda prodotti nel Dopoguerra e di lettere di precisazione. Dall’altro lato si trova la restituzione della storia generale dei comuni di Sorano e Castell’Azzara durante il Secondo conflitto mondiale, con elenchi caduti, dispersi etc.

Un capitolo è dedicato ad Ezio Lombardi, Combattente partigiano a Roma in Bandiera rossa, unico originario del Grossetano Caduto alle Ardeatine.

L’appendice si chiude con una serie di foto ritraenti persone e luoghi narrati.

Si giunge così alla fine senza quasi neanche accorgersene, grazie ad una scrittura vivace, priva di superflui didascalismi o di lungaggini d’altro tipo, e ad una narrazione efficace ed intrigante che incollano alla lettura.

(“La Banda partigiana di Montebuono, una storia di Maremma”, Arcidosso, Effigi, 2023, pp. 204, € 16.00)           

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