Vuoto di parole

La seconda edizione del concorso letterario “Dai voce alla tua storia”, promosso da Onda, Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere, con il patrocinio di Senior Italia-Federanziani e Sottovoce, il contributo incondizionato di Korian e Publitalia ’80 è stata dedicata al tema della solitudine dell’anziano, spesso causata dalla mancanza di autonomia, da malattie o da un tessuto sociale sgretolato, che porta a una condizione di estrema fragilità e ad un progressivo isolamento. Tra gli oltre 130 scritti ecco il racconto premiato scritto da Rossella Cravero.  

Alle 11 in punto. Non sgarra mai. La telefonata di Anna è sempre una certezza, ogni giorno alla stessa ora: Ciao mamma, tutto bene? Poche parole, il segnale di una presenza. Un filo capace di aggrapparmi alla realtà dell’oggi, fatta di piccoli passi, di un bastone a cui appoggiarmi, di una volontà che si fa sempre più debole. Guardo mia figlia nelle foto, anche quelle di quando era bambina, del matrimonio, dell’estate in montagna. Non ne ho altre. Gliele ho sempre chieste, ma lei non ama farsi fotografare. Mi sento brutta e lo sai. Dai, lascia stare, mi vedi in carne ed ossa, non è meglio? Il sabato pomeriggio, Anna arriva poco prima dell’ora di pranzo. Posa le buste della spesa in cucina, sistema in frigo il latte e i formaggi, porta i detersivi nello sgabuzzino della lavatrice. Sembra sempre che il tempo le sfugga via. Fermati un pochino, fammi questo regalo. Si siede in poltrona. Perché stai così in punta? Appoggia bene la schiena. Mamma, non te lo voglio ripetere ogni volta, ho poco tempo, devo mettere a posto anche casa mia, lavoro tutta la settimana. Ho solo oggi e domani. Sì, hai ragione, ma aspetta, regalami cinque minuti. Va bene, tranquilla sono qui. Non riesce a stare seduta, si avvicina alla libreria, inclina la testa per leggere i titoli dei libri. La guardo, vorrei dirle mille cose. Vorrei farle sapere che mi piace sentire la scia del suo profumo quando va via, e che quasi non vorrei aprire le finestre per cercare di trattenerla. Ma le parole si fermano in gola. Cosa stai leggendo? L’ultimo di Marai. L’ho quasi finito, vuoi che te lo passi? Casomai la prossima volta. Come sei messa con le medicine, devo andare dal medico a farti fare la prescrizione? No, ancora per una settimana sono a posto. Ma tu come stai? Tutto bene? I ragazzi? Sì, mamma, tutto nella norma. Prende il telefonino in mano, è il segnale che il mio tempo sta per scadere. Come una ragazzina a scuola, la soglia di attenzione nei miei confronti è colma. Sai che ieri sono riuscita a scendere e camminare nel parcheggio qui sotto per dieci minuti? Brava, dovresti farlo tutti i giorni. Ma non hai voglia di aria? Come fai a stare chiusa qui dentro, sempre e solo con un libro in mano? La voce inizia la salita, le sue parole si arrampicano sulla vetta dell’aggressività, per poi cadermi addosso impetuose, graffianti. Riesco solo ad alzare le spalle. Hai ragione, tesoro. Si alza, prende la borsa che aveva lasciato per terra vicino al tavolo. Beh, mamma io vado, mi raccomando. Faccio leva sul bastone, mi appoggio e sento le gambe ancora più deboli, la seguo a distanza. Anna è già arrivata alla porta, si gira, aspetta che la raggiunga, si abbassa verso di me, è un abbraccio sfuggevole, è una stretta che non riscalda, è uno sfiorarsi senza raggiungersi. Ciao mamma, ti chiamo domani. Resto a fissare la porta, sento i suoi passi decisi scendere le scale. Mi avvicino alla finestra, da dietro la tenda la vedo allontanarsi, ogni volta spero in un gesto, in uno sguardo rubato. Ma tutto rimane dentro questo nodo che non si è mai sciolto e che mi porto dentro da tutta la vita. Le gocce che stemperano la mia solitudine mi guardano dal comodino. Prendo il quadernino nero su cui scrivo quasi ogni giorno e che tengo nascosto sotto la biancheria. Lo troverà quando non sarò io ad aprire la porta. Leggerà quello che non riesco a dirle. Il mio non saper essere madre mi strappa le forze rimaste di questo sabato. Il suo sguardo accusatore mi inchioda ogni volta. La debolezza che non mi ha mai consentito di farle da scudo tra la vita e il dolore è stata la mia condanna. La ferita di un torto che non mi ha mai perdonato butta fuori il suo siero infetto. All’improvviso sento un dolore mai provato. La penna e il quaderno scivolano a terra. Anna, è il mio ultimo grido.

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