Viterbo-Parigi: biglietto di sola andata

Francesca Pasquini con il padre

VITERBO – PARIGI SOLO ANDATA

Mille volte ho pensato a quel giorno del 1987 quando moi padre si reco’ in un’agenzia viaggi per acquistare un biglietto aereo di sola andata destinazione Parigi per lui e per la sua famiglia.

Un biglietto che rappresentava piu di un semplice volo, era un passaporto per una vita migliore, per una speranza di guarigione, per una terra straniera, per una città in cui aveva messo i piedi solo due volte : in gita con la sua classe di ragioneria ed in viaggio di nozze.

Io avevo cinque anni, e l’aspetto era pressapoco quello della foto, non capivo cosa volesse dire quella partenza, ma nel mio piccolo avevo l’impressione di qualcosa di grande, lontano, come se quell’aereo fosse un’astronave e quel buio visto dagli oblo’, la notte dell’universo.

Papà , prima di partire studiava il francese con i libri e le audiocassette, ed a me aveva insegnato alcune frasi per gioco, grosso modo sapevo presentarmi e dire : « Ma maison est très jolie* » che non mi sarebbe servito a nulla, se non a divertire me ed a strappare un sorriso a lui nel sentire la sua bambina  pronunciare di nuovo, le sue prime parole, in una lingua che poi sarebbe diventata la sua e quella di sua figlia.

Quell’anno Viterbo non è volata con noi a Parigi è rimasta in Italia, e li con lei sono rimasti i nonni, gli zii, i parenti, gli amici, i luoghi familiari ; Viterbo e l’Italia che a volte riapparivano per un attimo in telefonate sempre troppo brevi o sotto la puntina del giradischi che suonava Lucio Dalla o Gianna Nannini.

Con noi era venuta solo la FIAT Ritmo Blu di papà, targata VT anche lei persa per le vie di una città più grande in mezzo ad un traffico fino ad allora sconosciuto.

Parigi per chi ci sbarca d’inverno  appare come la città descitta da Paolo Conte nell’omonima canzone, romantica e grigia, è la città dove va a morir d’amore la gente, circondata da pioggia e Francia e qui ogni parola ha il suo peso.

Trent’anni fa niente internet, cellulari o TV via cavo, le distanze erano distanze e la tecnologia non le accorciava, non le accorciava neanche il boccale di vetro con su scritto « Aria di Viterbo » regalatoci da amici. Un giorno chiesi a papà se veramente, là dentro, era racchiusa l’aria di Viterbo e papà mi disse che l’aria era la stessa dappertutto, cosa che non mi convinse, e che, forse, in quel momento, non penso’ neanche lui.

Non poteva tirare la stessa aria in due posti in cui si viveva in modo cosi diverso.

L’aria di Viterbo, la mia Viterbo,  profumava di faggeta, di lago di Vico e di Terme dei Papi ;  nell’aria di Viterbo c’erano dei suoni che a Parigi non si sentivano : le campane della Quercia e lo scorrere dell’acqua nelle fontane medievali ; ed il cielo al tramonto aveva, nei miei ricordi, delle tonalità diverse soprattutto se lo si osservava dalla Necropoli etrusca di Castel d’Asso, dove la luce ha il colore dell’ambra.

La mia Viterbo aveva dei sapori speciali :  il gusto del gelato al Fiordilatte di Chiodo, della pizza bianca di Biscetti, dei biscotti fatti dalle suore di clausura di Vignanello, dei crucchi della nonna,  del Chinotto del Calippo.

Le mie mani ricordavano una città ruvida di peperino, sanpietrini ed asfalto dove mi sbucciavo le ginocchia cadendo dalla bicicletta.

Viterbo, era fatta di persone e luoghi che oggi non ci sono piu : di Clara Bolognani, del tabaccaio di Piazza delle Erbe e di un caffé Schenardi ancora solido dove ci lavorava lo zio Otello.

Era la Viterbo vista dalla prospettiva  di una bambina alta poco piu di un metro e non la giravo da sola, ma per mano con papà, che ogni estate, quando tornavamo per le vacanze, mi portava « a fare due passi » nei luoghi della sua infanzia e della sua gioventù : la casa dove era nato a Pianoscarano, il Campo Sportivo dove lanciava il disco, i magazzini generali a Viale Trieste dove teneva la contabilità ad una commerciante e l’agenzia del Monte dei Paschi a Viale Trento dove andava a trovare i suoi vecchi colleghi. 

Non camminavamo mai a lungo senza fermarci o essere fermati da amico o un conoscente che immancabilmente si sarebbe poi rivolto a me chiedendomi : « Me la dici una cosa in francese ? » ed io avrei risposto, a seconda della simpatia che mi ispirava, « no » o « che cosa vuoi sapere » ?

Viterbo nel corso della mia giovinezza divento’ l’estate,, la libertà ; da metà luglio a inizio settembre mi sentivo italiana, non c’era la metropolitana come a Parigi e potevo uscire da sola, si passavano le giornate seduti sui muretti caldi  ed in due sul motorino, fumavamo le prime sigarette e cantavamo a squarciagola le canzoni degli 883.

Papà si era messo un passo indietro lasciandomi costruire i miei ricordi con i capelli al vento sulle giostre a Valle Faul.

La  fine della ricreazione suonava dopo Santa Rosa, quando tornavamo a Parigi, fine caldo, fine sole, fine libertà ed appuntmento all’anno prossimo.

Partivo sempre un po’ triste, perchè ogni anno, Viterbo mi offriva un’estate nuova; con amarezza lasciavo quella città che mi sembrava proteggere i suoi abitanti in un abbraccio di mura, che racchiudeva la mia storia, che mi aveva visto nascere.

Sapevo che la volontà di papà era quella di farci amare Viterbo, senza la prospettiva di tornare a viverci, un esercizio complesso, bisognava dosare l’equilibrio nel trasmettere l’attaccamento per una terra e la libertà di vivere felici in un’altra.

Viterbo rappresentava per lui le radici e Parigi un regalo della vita, il nostro futuro, la nostra base.

Oggi papà non c’e’ più, ed io come tanti espatriati mi sento come una figlia adotiva,, italiana in Francia e francese in Italia, casa mia è in piu posti e la mia famiglia anche,  forse papà aveva ragione, l’aria è la stessa dappertutto ed i luoghi si differenziano soltanto per le esperienze che ci viviamo.

Una famiglia è come un camping car, si può trasportare dovunque, ma i ricordi no, restano sempre legati ad un luogo, ad una persona, ad un momento preciso.

La mia famiglia è a Parigi, e Parigi negli anni è diventata la mia casa, la mia città, mentre Viterbo fa parte dell’eredità, del patrimonium.

E se prima vedevo Viterbo in papà, ora vedo papà in Viterbo, nei quartieri e nelle vie in cui ha vissuto, ed ora tocca a me trasmettere questo amore per la mia città d’origine, a mia figlia che è nata in Francia, poi toccherà a lei tessere la rete dei ricordi e delle amicizie, prendere l’astronave e venire in questa città, anche se le distanze non sono più le stesse, e non apparirà mai a lei così lontana come sembrava a me negli anni ottanta.

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