Turismo nella Tuscia fortemente provato dalla pandemia, il ferragosto il banco di prova della ripresa

di Luciano Costantini

Ferragosto dovrà, potrà forse essere una conferma o una deludente smentita sulla ripresa generale della Tuscia: dalle presenze agli spostamenti, dal fatturato dell’agroalimentare ai conti del commercio e dell’artigianato. In una parola, il bilancio di Ferragosto potrà precisare se la ripresa del turismo, dopo la devastante ondata del Covid, è davvero l’inizio di un trend positivo o l’effetto ingannevole di un rimbalzo. Devastanti i numeri del 2020, elaborati dalla Camera di Commercio di Rieti e Viterbo nel settore turistico: gli arrivi in provincia erano scesi del – 43,9% e le presenze – vale a dire almeno una notte trascorsa in un sito territoriale – avevano registrato un peggioramento del – 54,0%. In sintesi, un crollo di oltre la metà, rispetto all’anno pre Covid. Nel 2021 la situazione è migliorata: gli arrivi sono aumentati del + 10,1% e le presenze del + 15,3%. In particolare, lo scorso anno, 175.485 sono stati gli arrivi, 183.054 le presenze. Di questi, 26.903 gli arrivi e 93.716 le presenze stranieri. Totale, 199.666 arrivi e 664.972 presenze. Andando a spulciare tra le righe della ricerca Camera di Commercio, si scopre che la presenza straniera è in larghissima parte di provenienza Ue ed arriva all’85,16%, un dato praticamente identico a quello del 2020. In testa la Germania con un 40,80%, a seguire i Paesi Bassi, l’Austria, la Svizzera, la Francia e il Regno Unito. In grande ascesa il turismo proveniente dagli Stati Uniti: 2.956 contro 1.633 unità. Molto probabilmente grazie (per loro) al consistente apprezzamento del dollaro sull’euro. In sintesi, nella Tuscia l’indice di internalizzazione del turismo si è attestato al 12,11%, con una permanenza media di presenze e arrivi di 3,3. All’incremento generalizzato del flusso turistico ha fatto riscontro una crescita delle strutture ricettive. Una escalation continua: 758 totali nel 2014 (106 alberghiere 652 extralberghiere); 848 nel 2015 (108/740); 925 nel 2016 (114/811); 968 nel 2017 (113/855); 1.089 nel 2018 (114/975); 1.268 nel 2019 (113/1.155); 1.452 nel 2020 (119/1.333) e 1.590 nel 2021 (120/1.470). Soltanto nell’ultimo biennio le strutture ricettive nel Viterbese sono aumentate di 138 unità. Probabilmente il dato più interessante non è quello numerico, ma quello che si riferisce all’indicatore di qualità, che considera il numero di alberghi a 4 e 5 stelle rispetto al numero totale degli alberghi: la Tuscia presenta un valore pari al 23,53%, rispetto per esempio a quello della provincia di Rieti (19,23%) a fronte del 20,85% rilevato per l’Italia. Come dire, che una volta tanto siamo in buona posizione nella classifica nazionale per qualità anche se il numero delle strutture purtroppo è ancora abbastanza basso. Uno squilibrio dal quale emerge una prima, naturale riflessione, neppure nuovissima: il territorio ha enormi potenzialità, soltanto in minima parte sfruttate. E qui si aprirebbe il solito, eterno, inconcludente valzer delle responsabilità. Magari sarebbe più utile provare a fare squadra tra istituzioni pubbliche, imprese, politica, sindacati al fine di puntare a un progetto territoriale condiviso. Magari la sveglia del Covid potrebbe essere servita.

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