Seminario Sogin, Foddai archeologa:”La Tuscia non idonea ad ospitare siti il territorio va preservato”

I comitati uniti contro le scorie tracciano un bilancio conclusivo dopo la due giorni di seminario nazionale Sogin dedicato al Lazio, e quindi alla Tuscia, unico luogo prescelto nella regione, centrando i punti principali toccati dai relatori.

A porre l’accento sulla fittissima presenza di evidenze archeologiche nella Tuscia è stata la dottoressa Elena Foddai, archeologa: è vero che in pratica non esistono in Italia aree scevre da interesse culturale/paesaggistico, ma la Tuscia intera, la terra degli Etruschi, è di certo la meno idonea ad ospitare il Deposito. L’intervento ha evidenziato il fatto che il Lazio si è dotato di un PTPR (Piano Territoriale Paesaggistico Regionale), secondo cui gli impianti di smaltimento e di stoccaggio possono essere realizzati solo in certi tipi di paesaggio agrario: dunque, sovrapponendo la CNAPI e la tavola A del PTPR, si rileva di fatto un’importante incompatibilità.

Nelle aree individuate da Sogin come “potenzialmente idonee” nel territorio di Corchiano, ad esempio, i siti archeologici in corso di studio (grotte preistoriche e protostoriche; insediamenti protostorici, etruschi e romani; necropoli etrusche; acquedotti, cunicoli, conserve d’acqua di epoca etrusca, molte ancora inesplorate; resti di torri medievali; eremi rupestri frequentati nei secoli) sono così rilevanti che, prima di pensare alla realizzazione del Deposito, sarebbe opportuno valutare i fattori che potrebbero ostacolarne la realizzazione, come del resto recita il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (art. 26).

Senza considerare che nel substrato geologico di tufo sono scavati numerosissimi cunicoli, ovvero condotti idraulici di epoca etrusca, solo in parte esplorati, che drenano le acque meteoriche verso i fossi, rendendo tuttora coltivabili i campi, molti dei quali funzionano perfettamente dopo molti secoli. Un’intricata rete sotterranea che, nel malaugurato caso di contaminazioni, potrebbe persino fungere da veicolo e portare all’inquinamento delle acque.

Nella relazione di Rodolfo Ridolfi, per l’azienda Agricola Ridolfi, sono stati posti in particolare evidenza elementi che confermano la vocazione agricola della provincia di Viterbo, i rischi per le imprese del settore e soprattutto il fatto che se a Corchiano venissero sottratti 150 ettari di terreno agricolo sparirebbero più di trenta aziende agricole. Inoltre è stato sottolineato il fatto che i rifiuti radioattivi non potranno mai integrarsi con la grande qualità dei prodotti agricoli della Tuscia e che se il deposito di scorie venisse realizzato nella nostra provincia genererebbe un disvalore difficilmente recuperabile.

Nella relazione è stata posta particolare attenzione agli sviluppi futuri della localizzazione del sito utile alla realizzazione del deposito, mettendo in evidenza che la natura del nostro territorio porta di fatto ad escludere la Tuscia dalla CNAPI, perché in nessuna delle aree potenzialmente idonee esiste la piena rispondenza dei criteri di individuazione, posizione rafforzata anche dal successivo intervento di Stefano Aluffi Pentini, Verde Tuscia, focalizzato su agricoltura e turismo e sul serio rischio di spopolamento di un territorio senza più possiblità di sviluppo.

Ridolfi ha concluso il proprio intervento dichiarando che qualora Sogin avesse ancora intenzione di insistere con la Tuscia saranno intraprese importanti azioni legali.

Secco no alla realizzazione del deposito anche dal Comitato per la Salvaguardia del Territorio di Corchiano e della Tuscia, rappresentato dall’avvocato Vanessa Ranieri. “A Corchiano – spiega intervenendo al seminario -, sono stati individuati quattro siti, tutti circondati da aree di interesse comunitario e sociale”. Ma non solo. “In ballo c’è anche un importante accordo con l’Europa. Da Bruxelles stanno per arrivare ingenti fondi per la salvaguardia e la tutela del territorio, che però devono rispettare alcuni criteri.  Sicurezza alimentare dei prodotti, il rispetto della Rete natura 2000. Tutto l’opposto di quello che implicherebbe la presenza di un deposito di scorie radioattive. Dall’Europa – conclude -, ci dicono di tutelare il territorio e spenderci per la sicurezza alimentare. Dall’altro vogliono riempirci di rifiuti”.

Anche i privati cittadini partecipano al seminario, nella relazione di Alessandro De Carolis, sono state illustrate alcune delle incompatibilità delle aree VT12, VT-15, VT-16 e VT-20. Il cittadino si concentra sulla presenza di falde idriche affioranti e di aree inondabili. Mostra inoltre la vicinanza di aree naturalistiche regionali e di sorgenti che “costituiscono la fonte dell’acqua dei comuni di Corchiano e di Gallese”.

Spiega che “esistono nuclei di case residenziali interne alle aree ed altri nuclei a distanze improponibili” sottolineando la presenza, nei pressi, di vari affluenti del Tevere.

Riferendosi alle guide dell’ISIN e dell’ENEA ha illustrato, con preoccupazione, le varie tipologie di interventi previsti nelle celle calde, tra cui “Interventi sui cask, trasferimento degli elementi di combustibile da un cask a un altro, interventi straordinari sugli elementi di combustibile” e le attività del Parco Tecnologico “attività connesse alla gestione dei rifiuti radioattivi e del combustibile irraggiato, tra cui la caratterizzazione, il trattamento, il condizionamento e lo stoccaggio”.

L’ingegner Rossi, Presidente della Pro Loco di Gallese, ha posto l’attenzione su fattori determinanti quali i trasporti dei rifiuti dagli attuali centri di stoccaggio al potenziale sito del deposito unico, soffermandosi sulla differenza sostanziale che esiste tra i vari rifiuti radioattivi e sui differenti rischi connessi alla loro movimentazione. Altro tema trattato è stato quello relativo alla distanza dai centri abitati, nella sua relazione Rossi ha criticato la scelta arbitraria fatta da Sogin di attuare una soglia minima di un chilometro per i centri più piccoli e di adottare un criterio proporzionale per i centri più grandi. Scelta che di fatto porta ad escludere realtà urbane molto estese, il Presidente ha concluso l’intervento proponendo una soglia minima di sicurezza uguale per tutti di tre chilometri e una soglia massima di sei per i centri più grandi, in modo tale da equilibrare lo sviluppo della CNAPI tra i centri abitati più grandi e quelli più piccoli.

Ha concluso i lavori del seminario Raimondo Chiricozzi, per AICS Viterbo, mettendo in evidenza le criticità sismiche, vulcaniche, idrogeologiche ed economiche della Tuscia intera e dell’area ad est del lago di Vico. Chiricozzi nel suo intervento ha condensato tutte le controdeduzioni offerte a Sogin nelle autorevoli osservazioni prodotte dall’Associazione da egli stesso presieduta e fatto una radiografia chiara delle criticità e delle valenze della nostra Provincia, denotando una profonda conoscenza del territorio frutto di un impegno volto alla tutela ormai pluridecennale.

Impossibile non notare anche una distonia, emersa negli interventi di altri Stakeholder (portatori di interessi), in netto contrasto con quelli dei comitati che pensano al deposito nella Tuscia come una scelta impossibile.

È doveroso rendere noto lo scarso rispetto con cui sono stati trattati i relatori della sessione Tuscia, purtroppo il programma dei lavori e la calendarizzazione esatta delle date sono state rese note soltanto alle ore 18 del giorno precedente creando disagio e confusione tra gli Stakeholder. Solo su pressione insistente di alcuni relatori si è riusciti in extremis ad avere il programma, è da notare, con rammarico, che per le precedenti sessioni la programmazione è stata fornita con largo anticipo. In questo atteggiamento di scarso rispetto è ravvisabile una malizia poco rassicurante.

Altro tema in distonia con le posizioni contrarie prese dalla totalità dei relatori durante le due giornate è stato quello avanzato da Turriziani, per l’associazione Unindustria. Durante il suo intervento, il vicepresidente di Unindustria Lazio, responsabile per il settore green economy dell’importante associazione tra industriali, ha posto in risalto la necessità di dotare la Nazione del deposito e le grandi opportunità derivanti dalla realizzazione del medesimo. Opportunità che si traducono in posti di lavoro e appalti per la costruzione, sempre se in questo territorio esistano aziende dotate del know-how necessario, cosa di cui dubitiamo per una struttura del genere. Purtroppo il vice presidente, minimizzando i rischi per l’economia agricola e turistica della Tuscia e ripresentando l’improponibile paragone col deposito francese dell’Aube, non ha considerato le ricadute negative per il territorio che ospiterà il deposito. La visione che ha proposto Turriziani è stata chiaramente quella miope di chi vede solo opportunità meramente economiche e parafrasa tutto in termini speculativi. Da sottolineare che il responsabile per la green economy di Unindustria, per professione, si occupa di trasporto e distribuzione di carburanti, cosa che ovviamente contrasta con il suo ruolo nell’associazione.

COMMENTA SU FACEBOOK

CONDIVIDI