RACCONTI BREVI/ Tre di notte

PAESAGGIO LUNA

Perlustro tutto il garage; alla fine lo trovo. È di un legno spesso, nessun angolo marcito dall’umidità. Lo trascino afferrandolo per le caviglie, pesa più di quanto mi aspettassi. Nel trascinarlo, involontariamente, la testa gli urta qualche scatolone sparso in terra, si formano piccole chiazze di sangue quasi a segnare il percorso. Smonto tutte e due le ante, le appoggio al muro verticali. Se iniziassi infilando la testa potrei metterlo in posizione fetale. Prima però bisogna spogliarlo.

Quasi tutti gli indumenti sono insaguinati, prendo la sacca per raccogliere la legna e ce li metto dentro. Nudo, dimostra il doppio degli anni, le rughe sul volto hanno scavato piccoli canali fin sotto al mento. Tasto la pelle raggrinzita sulla pancia, emana ancora calore. Il fetore di sangue e sudore è sospeso nell’aria; all’odore però ti abitui, basta concentrarsi su quello che stai facendo. Forse sto sprecando tempo, i vicini faranno domande sul perché non lo si vede più alle riunioni condominiali. Mi ci sta volendo il doppio del tempo che avevo previsto, il corpo umano non è fatto per essere incastrato da qualche parte, stiamo scomodi dovunque, solo quando si dorme vediamo avvicinarsi la comodità. 

Rimetto le ante, provo a chiuderlo, niente. C’è una piccola sega sul ripiano davanti a me, tagliarlo significherebbe risparmiare spazio non certo tempo. Scavalco l’idea del sezionamento. A forza di muoverlo stanno già comparendo dei lividi sulle ginocchia e sui gomiti, gli occhi sono ancora aperti; se c’è una qualche specie di esistenza dopo questa spero stia vedendo tutto. Gli avvicino le ginocchia al petto più che posso, faccio delle braccia una cinghia attorno alle gambe sperando non scivolino. La testa gliela piego in avanti, prima però chiudo le palpebre usando la manica del giubbotto per non lasciare impronte.

Stavolta si chiude. Tolgo il telo che era sulla bici di mio fratello e lo copro. Sono stanco, addosso mi percorre una vibrazione che si estende per tutto il corpo, provo a riprendere fiato, siedo a terra confuso dagli scatoloni coi ricordi infantili dentro e le macchie di sangue. Sono le tre di notte e giustamente in giro c’è solo freddo e noia. Mi allontano per un bel po’ con la necessità di rintracciare un posto che nasconda la sacca con i suoi vestiti riversati di sangue. Intercetto un rumore di passi poco distanti da dove sono ora, rimango immobile in mezzo al gelo con la smania di volermi sbrigare. Ruoto lo sguardo ma non riesco a captarne la provenienza. Secondo me sono fottuto.  

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