Quell’angolo appartato del Cimitero di san Lazzaro dedicato ai caduti di guerra

di Donatella Agostini

C’è un angolo appartato del cimitero di san Lazzaro, in cui aleggia un’atmosfera particolare: è la sezione che accoglie i caduti di guerra. È uno spiazzo delimitato da un prato verde, sul quale trovano posto croci bianche tutte uguali, a memoria di soldati morti troppo giovani per colpa di una guerra feroce e disumana. Al centro dello spiazzo si trova il Monumento ai Caduti della Prima Guerra mondiale: un basamento quadrato con una stele su cui è scolpita la frase “Viterbo ai suoi figli morti per la patria 1915-1918”. È un monumento sobrio e abbastanza anonimo, anche se non smette di colpire al cuore la lunga serie di nomi incisi ai suoi piedi. Quel monumento non è sempre stato così: quando fu eretto la prima volta era molto più articolato, e soprattutto era piazzato al centro della città.

Intorno al 1920, quando era ancora lacerante il dolore per le perdite subite da tante famiglie viterbesi, si costituì un comitato il cui compito era raccogliere i fondi necessari alla realizzazione di un monumento ai tanti viterbesi caduti nella guerra ‘15-‘18. L’importo necessario era di 100.000 lire, di cui 30.000 sarebbero state a carico del Comune, il rimanente da finanziare con i contributi degli stessi cittadini. Nel 1922 si raggiunse la somma e venne indetto il concorso, che fu vinto dallo scultore siciliano Bernardo Balestrieri. Il luogo dove sarebbe stato eretto il monumento venne individuato, dal comitato e dal Comune, nella zona antistante il Teatro dell’Unione, in piazza Verdi.

Balestrieri si mise all’opera e concepì un gruppo piramidale in travertino chiaro, arricchito da statue in bronzo. In cima posizionò quella del fante, in atteggiamento fiero e risoluto, addossato all’asta della bandiera che puntava verso il cielo. Alla base, le statue delle “Madri, Vedove e Spose” e dei loro figli. Il contrasto tra il colore scuro del bronzo e quello chiaro della pietra era molto suggestivo. Il monumento venne allestito e cominciò a fare bella mostra di sé davanti al Teatro. Ma negli anni in cui si tendeva a rimuovere l’orrore per quanto accaduto solo poco tempo prima, quel monumento – piazzato davanti al Teatro e a poca distanza dal cinema Margherita – era un richiamo continuo a ricordi non desiderati. Quel monumento rattristava i viterbesi. E, come per ogni questione che si rispetti, nacque un acceso dibattito tra i suoi detrattori e i suoi sostenitori, che si protrasse a lungo con toni anche accesi.

Il 15 dicembre 1924 “La Rocca”, l’unico giornale d’opinione pubblicato in quegli anni a Viterbo, si espresse: “A scrivere quanto si è detto, a citare quanto si è scritto sul Monumento ai Caduti, c’è da mettere assieme volumi e volumi. Pagine di critica, di estetica, d’umorismo, di giustissimo risentimento. Noi oggi non vogliamo ritornare a quel fausto od infausto giorno in cui venne fatta l’aggiudicazione. Il monumento è sorto e non lo si può mandare all’aria per cominciare da capo. Né vogliamo biasimare la località scelta. Il monumento è sito in piazza Verdi e sarebbe pazzesco rimuoverlo”.

Insomma, il povero monumento ai Caduti proprio non piaceva ai Viterbesi, che comunque accolsero con tutti gli onori re Vittorio Emanuele, in visita a Viterbo il 17 maggio 1925 per la solenne inaugurazione. In quell’occasione vennero accantonati i dissidi e celebrati retoricamente i caduti nella loro raffigurazione scultorea. L’opera d’arte continuava però a non incontrare il favore della cittadinanza. Nel 1938 il podestà Giuseppe Siciliano de Gentili deliberò lo spostamento del monumento nel giardino pubblico del Paradiso. La motivazione ufficiale era l’inizio dei lavori di risistemazione di piazza Verdi. Il monumento fu smembrato, ma anziché riassemblarlo nel giardino pubblico come disposto dalla delibera, giacque tristemente per decenni in un angolo di Pratogiardino. Nel 1944 le statue in bronzo vennero requisite per esigenze belliche. Si realizzava così il paradosso di un monumento ai caduti utilizzato per fabbricare cannoni per una nuova guerra.

Soltanto negli anni Cinquanta ci si ricordò di lui: la superstite struttura di travertino venne rimontata nel cimitero di San Lazzaro, dove la vediamo ancora oggi.

 

La foto è dell’archivio Mauro Galeotti.

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