Leopardi è stato uno dei rappresentanti più illustri dell’Accademia degli Ardenti

Di Luciano Costantini

Accademia degli Ardenti e Giacomo Leopardi, un rapporto documentato e prezioso, ma che, purtroppo, sta anche a testimoniare la colpevole dimenticanza di Viterbo nei confronti di uno dei grandissimi della nostra letteratura. Una dimenticanza davvero imperdonabile. Per la verità nell’ottobre del 1998, in occasione del bicentenario della nascita del genio di Recanati, fu celebrata una Giornata di studi, di ricerche e pure di impegni, che però non ha avuto alcun seguito. Eppure Leopardi è stato uno dei rappresentanti più illustri dell’Accademia e dunque del firmamento culturale viterbese. Un dettagliato per quanto prezioso studio del filologo Lorenzo Abbate, docente di Lettere all’ateneo di Macerata e attuale responsabile del riordino del patrimonio della Biblioteca degli Ardenti, ripercorre le tappe e spiega l’impegno dello scrittore all’interno degli Ardenti con il ruolo di “corrispondente”. Sponsor – oggi questo sarebbe il termine più appropriato anche se non precisamente raffinato – dell’ingresso del conte Giacomo nel cenacolo viterbese è lo zio Camillo Antici, che nel 1817 è direttore di Polizia a Viterbo e poi maggiore onorario delle truppe pontificie. Ovviamente, può godere di conoscenze importanti in città e spinge per l’iscrizione del nipote e del proprio fratello Carlo all’Accademia degli Ardenti attraverso una segnalazione di padre Valerio Tobia Marsigli che, oltre ad essere reggente del convento della Quercia, è originario di Camerino, cioè marchigiano come Giacomo e lo zio Carlo Amici, nonché fratello di Camillo. Insomma, una raccomandazione d’altri tempi anche se fortunata. Il canonico, in data 9 maggio 1817, spedisce al segretario dell’Ardenti “due opuscoletti”, opere del nipote e di Carlo, sottolineando come l’iscrizione dei due “recherebbe decoro alla nostra Accademia”. Il lavoro del “Signor Conte Giacomo Leopardi di Recanati” in particolare consiste nella versione italiana del secondo libro dell’Eneide di Virgilio. Non trascorrono neppure due mesi che Carlo Antici e Giacomo Leopardi vengono ”fatti  soci corrispondenti” dell’Ardenti e il 13 luglio vengono loro recapitati i diplomi di affiliazione. Seguono, nel giro di qualche giorno, i ringraziamenti al sodalizio dei due nuovi iscritti. Queste, in sintesi, le tappe del Leopardi accademico. Magari può risultare più interessante segnalare l’orgoglio, l’onore, ma pure il promesso impegno del poeta e scrittore, testimoniati nella missiva, spedita da Recanati il 25 luglio, e inviata agli Ardenti dopo l’iscrizione: “…ve ne ringrazio, e delle cure vostre mi rallegro colla mia nazione, alla quale resta tanto poco del vero amore non dirò delle patrie particolari, ma della nostra comune gloriosissima e sovrana patria che è l’Italia. Con infinito piacere ho veduto nel Libro delle vostre Leggi, che il primo Officio di una delle Classi alle quali v’è piaciuto di scrivermi, è aver cura di mantener bella e incorrotta la nostra lingua”. Leopardi definisce “degnissimo” l’impegno dell’Accademia a mantenere il tesoro della lingua madre “malgrado degli stranieri e soprattutto della scioperaggine degli italiani, la quale dopo averci tolto quanto ha potuto, vorrebbe anche insozzarci e guastarci e quasi toglierci affatto questo prezioso avere della lingua Regina, certo non suddita. Per cooperare a questa gloriosa impresa io farò quanto potrò, che pure sarà pochissimo, e spero che l’amore che porto ardentissimo alla nostra patria, e la gratitudine e la corrispondenza che debbo all’onore che Voi mi avete fatto, aiuteranno la debolezza e piccolezza mia a far quello che da se (sic) non potrebbe. Sono, o Signori, con somma stima e gratissimo animo. Vostro Umilissimo e Obbligatissimo Servo, Giacomo Leopardi”.

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